Riflessioni a partire dalla serie TV Baby reindeer Marco Focchi Nell’uso che ne facciamo oggi, glamour è una parola decisamente laica. Indica il particolare stile, o fascino, che una persona emana e che la distingue da tutti gli altri. Glamour è tuttavia un’antica parola scozzese appartenente al lessico della magia. Indicava un’incantesimo attraverso il quale una persona riesce ad apparire più bella, più alta, più forte. Luoghi, dimore, persone, grazie alla potenza dell’incantesimo, potevano presentarsi nella versione magnifica, splendida, di se stessi. È un fenomeno che conosciamo nella psicoanalisi, anche se non nella sua forma magica. Freud per descrivere l’innamoramento parlava di un meccanismo di sopravvalutazione che fa apparire nell’altro doti abitualmente invisibili, che solo l’innamorato riesce a scorgere. L’amore imprigiona in un incantesimo segreto, e lo vediamo in alcuni degli esempi più alti della letteratura. Per esempio, ne La certosa di Parma, Fabrizio del Dongo attraversa la vita in una fuga vertiginosa di battaglie e di incontri con donne che mai riescono a fermarlo accanto a sé. Solo quando viene imprigionato nella Torre Farnese, insieme alla meraviglioso spettacolo della Alpi fino al Monviso che può ammirare da lì, scorge, in una stanza, la bellissima Clelia Conti, che accende in lui, questa volta, un amore vero. Solo quando è incarcerato Fabrizio può amare, non è più in fuga.
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La pratica psicoanalitica con i bambini. Intervento di Jacques-Alain Miller a Mosca il 4 ottobre 2013 nell’ambito del Quarto Atelier Lacan in Russia, sul tema: “Il bambino e i suoi sintomi. Pratiche orientate dalla psicoanalisi”. Miller introduce alcune presentazioni di casi ponendo due questioni cruciali: qual è la posta in gioco del caso clinico? Che cos’è un bambino? Il titolo è redazionale Jacques-Alain Miller Dieci colleghi presenteranno un caso clinico tratto dalla loro pratica. Teniamo conto che la loro pratica è orientata alla psicoanalisi, e questa pratica si esercita con i bambini. 1. La posta in gioco del caso clinico, dalla contingenza alla necessità. Che cosa vuol dire una pratica orientata alla psicoanalisi? Vuol dire che il trattamento di cui parliamo non è una psicoanalisi, ma che il terapeuta è in rapporto con la psicoanalisi. I dieci autori sono in analisi o sono analisti. In questi casi il trattamento non è una psicoanalisi, ma il terapeuta che conduce il trattamento vede la situazione a partire dalla psicoanalisi, racconta il caso tenendo conto del sapere analitico. Corso tenuto il 20 gennaio 2024 presso l'Istituto freudiano - sede di Milano René Raggenbass Vorrei innanzitutto ringraziare l'Istituto freudiano di Milano, e in particolare Marco Focchi, per avermi invitato a questo seminario. Sono lieto di essere qui con voi oggi, ed è un piacere ancora maggiore perché ero già stato invitato l'anno scorso, ma per motivi di salute non avevo potuto partecipare. Già due volte a Torino ho avuto modo di lavorare con colleghi italiani, e ho apprezzato molto la vivacità e l'intelligenza nel lavoro, cioè nell’interazione con tutti loro. Sono uno psichiatra membro dell'ASREEP-NLS e dell'AMP e lavoro in un gruppo di circa dieci clinici ad Aigle, in Svizzera. Non è molto lontano da Milano, infatti ci vogliono solo due ore e mezza per raggiungervi. Quando ho capito che avreste lavorato sulla questione della relazione oggettuale, ho provato subito un forte interesse, ma anche timore. La citazione di Lacan che ho scelto illustra la complessità dell'argomento. Marco Focchi La mia biblioteca, come ogni biblioteca, accoglie libri, e i libri sono cose, semplici oggetti disponibili. Sono però oggetti molto particolari, perché contengono pensieri, e questi non sono immediatamente fruibili. Occorre entrarci, frequentarli esplorarli, interrogarli, starci insieme per un po', e solo allora aprono spazi al di là del loro supporto fisico. Questi spazi bisogna saperli immaginare, e prima di tutto vedere. La mia amica Liliana, pittrice e scenografa, ha scorto, e fissato nella foto, un angolo della stanza dove lo spazio sembra inabissarsi, aprire uno scorcio verso l’infinito. È un effetto ottico, ma è un modo, mi pare, di vedere al di là del visibile, di vedere quel che gli oggetti non mostrano, di sbirciare il pensabile, o l'impensabile, potremmo dire. È il colpo d’occhio che solo l’artista può dare, quel che ci fa dire che l'arte è una forma di pensiero. Marco Focchi Tutti abbiamo una nostra comfort zone, dove i disagi sono minimizzati, dove ci si sente in uno stato di benessere, dove è assente il senso di rischio. Il conio dell’espressione è dovuto al teorico del management Alasdair White, che l’ha definita come una condizione ansiosa neutra, nella quale il livello di prestazione può realizzarsi senza che il soggetto di senta messo a repentaglio, perché tutto è sotto controllo. Ma esiste una condizione in cui tutto è sotto controllo? Alessandra Milesi La dafne odorosa che vedete nella foto ha attirato un insetto, che succhia avidamente il suo nettare. Il nome della pianta viene attribuito a un botanico vissuto nella Roma imperiale all’epoca di Nerone. Sembra che vedendo la pianta, le cui foglie sono simili all’alloro, gli sia venuto in mente il mito di Dafne e Apollo. Sapete la storia no? Cupido, infastidito dalla vanterie di Apollo, che con le sue frecce aveva ucciso il serpente Pitone, si vendica scagliando ad Apollo la freccia d’oro, che fa innamorare, e a Dafne quella di piombo, che sollecita invece la repulsione. Apollo così, innamorato, insegue Dafne che lo respinge con tutte le sue forze, e che pur di non cadere nelle mani del dio chiede alla madre Gea di essere trasformata in alloro. D’Annunzio rievoca questo mito ne La pioggia nel pineto, raccontando “la favola bella che ieri ti illuse, che oggi mi illude.” Questa favola è quella eterna del desiderio che, appena serra la sua presa sull’oggetto inseguito, questo si trasforma, o si spoglia di attrattiva, e lascia languire eternamente nell’insoddisfazione. Ma solo noi umani, condannati, in quanto parlanti, secondo Lacan, all’assenza di rapporto sessuale. L’insetto della foto sembra invece pienamente appagato: la dafne che lui cercava era proprio quella che ha trovato, cosa che a noi, esseri parlanti, non capita mai! Clotilde Leguil
Lezione tenuta presso l'Istituto freudiano, sede di Milano, il 2 dicembre 2023 Il Seminario IV sulla relazione d’oggetto è stato considerato da Jacques-Alain Miller un seminario sulla figura della madre. Mentre il Seminario III sulle psicosi è un seminario sul padre, e più precisamente sulla preclusione del Nome-del-Padre nella psicosi, il Seminario IV è in effetti un Seminario che fa della figura della madre, della madre reale, la madre onnipotente, il personaggio centrale dell'elaborazione. Conferenza tenuta a Milano il 1 dicembre 2024 presso l'Istituto freudiano Clotilde Leguil Perché mi sono interessata al termine “tossico”, che si è diffuso nei nostri discorsi oltre i confini linguistici? Cosa mi ha spinto a innalzare questo termine a nuova metafora, a fenomeno discorsivo da interpretare? La mia ipotesi era che la parola “tossico” permettesse di cogliere i termini attraverso i quali si formula il disagio della civiltà del nostro tempo. Per questo ho scelto come sottotitolo “Saggio sul nuovo disagio della civiltà”. Per cominciare, vorrei dire che mi sono interessata al termine "tossico" sulla scia del mio saggio sul consenso, “Céder n'est pas consentir” (PUF, 2021). Attraverso questo significante del nostro tempo, ho visto la formulazione di una nuova forma di esperienza, quella della cosiddetta esperienza “tossica”. Questa esperienza soggettiva, esistenziale, psichica, mi sembrava rimandare a una nuova dimensione del soggetto, nella misura in cui il soggetto contemporaneo si formula a partire dall'esperienza del corpo, dal rapporto con il vivente, dal rapporto con le pulsioni. Ho anche interpretato il termine “tossico” come una nuova modalità di angoscia del XXI secolo. In sostanza, ho preso sul serio l'invito rivolto da Lacan all’analista nel 1953, alla fine di Funzione e il campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, a “inserire nel suo orizzonte la soggettività del suo tempo (1)”. L'analista è invitato a conoscere “le volute in cui la sua epoca lo trascina in un continuo lavoro di Babele (2)” e a conoscere "la sua funzione di interprete nella discordia dei linguaggi (3)”. In questa intervista ELP TV (Escuela Lacaniana de Psicoanálisis) pone tre domande a Marco Focchi: Qual è la situazione attuale della “questione trans” in Italia? Sono previste modifiche alla normativa vigente?
Jean-Pierre Deffieux Con il termine frigidità ci si riferisce comunemente all'assenza di piacere e/o di orgasmo per una donna durante i rapporti sessuali. Non usiamo questo termine per il maschile, l'uomo non è frigido, è impotente o eiaculatore precoce. Questa distinzione ha tutto il suo valore: per la donna l'accento è posto sull'assenza di quel che è provato, sentito, per l'uomo l'accento è posto sull'organo e sulla sua potenza. La frigidità è stata una moda, così dice Lacan nel seminario Ancòra: La “cosiddetta frigidità” è una moda che può essere collegata alla controversia degli anni Trenta, “la disputa sul fallo”. Oggi molto meno di moda, la frigidità viene raramente menzionata sul divano dello psicoanalista e nella vita in generale. La teoria analitica non s’interroga più su questa assenza o privazione di godimento. Negli anni Trenta la posizione frigida era intesa come una rivendicazione, una risposta al fatto che lo sviluppo della sessualità femminile si concludesse con il Penisneid, una reazione alla condanna a non avere. Il riconoscimento di una libido femminile e di un organo femminile era una posta in gioco importante nei circoli analitici e intellettuali di allora. Questa disputa è nata almeno in parte, come conseguenza dei contributi di Freud sullo sviluppo dell'Edipo nella bambina. |
Marco Focchi riceve in
viale Gran Sasso 28, 20131 Milano tel. 022665651. Possibilità di colloqui in inglese, francese, spagnolo. Archivi
Novembre 2024
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