SPIEGEL Intervista a Jerome Kagan 'Un sostegno non sarebbe meglio delle pillole?' Docente di psicologia a Harvard, Jerome Kagan è uno dei maggiori esperti mondiali in psicologia dell’età evolutiva. In un'intervista rilasciata a SPIEGEL esprime una feroce critica all’establishment della salute mentale e all’industria farmaceutica, accusandoli di classificare abusivamente come malati mentali milioni persone solo per interesse e avidità. Jerome Kagan ha alle spalle una brillante carriera come ricercatore in psicologia. Quando tuttavia considera oggi il proprio campo, è sopraffatto dalla malinconia e dall’inquietudine. Lo paragona a una splendido antico mobile di legno: una volta, da studente, si era dato il compito di restaurarlo con i suoi colleghi. Si era portato a casa uno dei cassetti, e ha trascorso tutta la vita a intagliarlo, a sagomarlo e a levigarlo. Poi ha tentato di rimettere il cassetto nel mobile, rendendosi conto però che il mobile nel frattempo era marcito. Se c’è qualcuno che ha la competenza professionale e l'autorità morale per fare un paragone tra la psicologia e un mobile finito a marcire, questo è Kagan. Una classifica dei cento maggiori psicologi del XX ° secolo pubblicata da un gruppo di studiosi americani nel 2002 ha collocato Kagan al ventiduesimo posto, prima di Carl Jung (al ventitreesimo), il fondatore della psicologia analitica, e di Ivan Pavlov (al ventiquattresimo), scopritore del riflesso condizionato che porta il suo nome. Kagan ha studiato psicologia dello sviluppo presso l'Università di Harvard nel corso di tutta la sua carriera professionale. Ha trascorso decenni osservando come crescono i neonati e i bambini, misurandoli, saggiandone le reazioni e, dopo che hanno imparato a parlare, interrogandoli ripetutamente. Le domande principali per lui sono: Come emerge la personalità? Quali sono i fattori innati e quali si sviluppano in seguito? Che cosa fa sì che alcuni individui siano sani e altri invece si ammalino mentalmente nel corso della vita? Nella sua ricerca, Kagan ha stabilito che il modo in cui ci formiamo nell’infanzia non è irreversibile, contrariamente a quanto a lungo è stato ipotizzato. Kagan sostiene inoltre che anche i bambini che hanno subito enormi privazioni nei primi mesi di vita possono egualmente svilupparsi in modo normale, purché siano successivamente posti in ambiente favorevole. Ha egualmente studiato il modo in cui nel secondo anno di vita l’individuo programmaticamente si umanizza: il vocabolario cresce improvvisamente d’un balzo, e si sviluppano l’empatia, la sensibilità morale e la consapevolezza di sé. Ma il contributo più significativo di Kagan alla ricerca evolutiva è consistito nell’analisi del carattere innato. Ha scoperto infatti che già a quattro mesi, circa il 20% dei bambini ha reazioni ritrose di fronte a situazioni, oggetti o persone nuove. Ha definito questi bambini come "altamente reattivi" e ha osservato che tendono a svilupparsi come bambini e come adulti ansiosi. Il 40% dei bambini, quelli che chiama "bassamente reattivi", si comportano invece in modo opposto: sono rilassati, facili da curare e curiosi. Nella vita adulta poi non si lasciano turbare facilmente. Kagan avrebbe potuto dar seguito alla sua scoperta in un modo "bassamente reattivo" ritirandosi e lasciando che la successiva generazione di ricercatori ad ammirare le sue ricerche. Ha invece attaccato la sua professione nel libro recentemente pubblicato "Psicologia dello spettro: crisi nella professione e ritorno". Nel libro segnala che questa crisi ha avuto conseguenze disastrose per milioni di persone, che sono state abusivamente diagnosticate come malati mentali. SPIEGEL: Professor Kagan, ha studiato lo sviluppo dei bambini per più di cinquant’anni. In questo periodo, la loro salute mentale è migliorata o peggiorata? Kagan: Diciamo che è cambiata. Nelle famiglie più povere soprattutto, tra gli immigrati e le minoranze, i problemi di salute mentale sono aumentati. Oggettivamente parlando, gli adolescenti in questi gruppi hanno più opportunità oggi di quante ne avessero cinquant’anni fa, ma rimangono ancora ansiosi e frustrati, perché la disuguaglianza sociale è cresciuta. Il numero di casi diagnosticati come disturbi da deficit di attenzione e come depressione è cresciuto tra i poveri. SPIEGEL: Si potrebbe anche dire che è salito alle stelle. Nel 1960, i disturbi mentali erano praticamente sconosciuti tra i bambini. Oggi, fonti ufficiali affermano che un bambino su otto negli Stati Uniti ha problemi mentali. Kagan: È vero, ma ciò è dovuto soprattutto a pratiche diagnostiche sfocate (fuzzy). Torniamo indietro di cinquant’anni anni. Troviamo un bambino di sette anni che si annoia a scuola e disturba le lezioni. Allora lo si chiamava pigro. Oggi si dice che soffre di disturbo d’attenzione con iperattività, ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder). Ecco perché i numeri sono saliti alle stelle. SPIEGEL: Gli esperti parlano di 5,4 milioni di bambini americani che mostrano i tipici sintomi di ADHD. Sta dicendo che questo disturbo mentale è solo un'invenzione? Kagan: Esatto, è un'invenzione. Quando un bambino non riesce bene a scuola viene mandato da un pediatra, e il pediatra dice: "È 'l'ADHD, gli dia il Ritalin." Infatti, il 90% di questi 5,4 milioni di bambini non ha un metabolismo anomalo della dopamina. Il problema è che se c’è un farmaco a disposizione, i medici fanno la diagnosi corrispondente. SPIEGEL: La presunta crisi sanitaria tra i bambini è non quindi in realtà nient’altro che una bufala? Kagan: Potremmo fare un po’ i filosofi e chiederci: "Che cosa significa malattia mentale?" Quando si fanno colloqui con bambini e adolescenti di età compresa tra dodici e i diciannove anni, il 40% può essere classificato come ansioso o come depresso. Ma se si va a vedere più da vicino e ci si chiede quanti di loro siano gravemente compromessi da questi problemi, il numero si riduce a 8%. Descrivere ogni bambino depresso o ansioso come un malato mentale è ridicolo. Gli adolescenti sono ansiosi, è normale. Non sanno in quale università andare, la loro fidanzata o il fidanzato li hanno appena mollati. Essere tristi o ansiosi fa parte della vita, come provare rabbia o frustrazione sessuale. SPIEGEL: Che cosa significa il fatto che milioni di bambini americani siano erroneamente dichiarati malati mentali? Kagan: Beh, soprattutto significa più soldi per l'industria farmaceutica e più soldi per gli psichiatri e i ricercatori. SPIEGEL: E che cosa significa per i bambini in questione? Kagan: Per loro, è un segno che qualcosa in loro non va, e può essere debilitante. Non sono l'unico psicologo a dirlo. Ma abbiamo contro di noi una potente alleanza: le aziende farmaceutiche, che stanno facendo miliardi, e una professione che bada solo ai propri interessi. SPIEGEL: Lei ha scritto una volta di aver sofferto di irrequietezza interiore da bambino. Se fosse nato oggi, apparterrebbe al 13% dei bambini che vengono dichiarati malati mentali? Kagan: Probabilmente. A cinque anni ho iniziato a balbettare. Ma mia madre ha detto: "Non c'è niente che non va in te: la mente sta solo lavorando più in fretta della lingua.». E ho pensato: "Accidenti, che bello, sto balbettando solo perché sono così intelligente." SPIEGEL: Oltre all’ADHD, una seconda epidemia dilaga tra i bambini: la depressione. Nel 1987 un adolescente americano su quattrocento è stato trattato con antidepressivi, nel 2002 eravamo già a uno su quaranta. A partire da che età è possibile parlare di depressione nei bambini? Kagan: Non è una domanda a cui sia facile rispondere. Negli adulti la depressione comporta una grave perdita, un senso di colpa, o la sensazione di non riuscire a raggiungere l’obiettivo che si voleva perseguire. I neonati, ovviamente, non sono ancora in grado di provare queste emozioni. Ma raggiunta l'età di tre o quattro anni un bambino può sviluppare qualcosa di simile a un senso di colpa, e se perde la madre a quell'età, avrà un momento di tristezza. Così, da quel momento può verificarsi una lieve depressione. Ma la sensazione di non essere in grado di raggiungere un obiettivo fondamentale nella vita e di non vedere alternative diventa importante solo a partire dalla pubertà. Questa è anche l'età in cui l'incidenza della depressione cresce drammaticamente. SPIEGEL: Di fatto bambini sempre più piccoli sono sempre più trattati con antidepressivi. Kagan: Sì, solo perché le pillole sono disponibili. SPIEGEL: Quindi vorrebbe abolire completamente la diagnosi di depressione tra i bambini? Kagan: No, non vorrei spingermi fino a questo. Ma se una madre porta la figlia da un medico e dice che di solito la ragazza era molto più allegra di ora, il medico dovrebbe prima di tutto cercare di scoprire qual è il problema. Dovrebbe vedere la ragazza da sola, magari fare qualche test prima di prescrivere farmaci e certamente far fare un EEG. Alcuni studi dimostrano che le persone con una maggiore attività nel lobo frontale destro rispondono poco agli antidepressivi. 'Gli psichiatri dovrebbero chiedersi quali sono le cause' SPIEGEL: Uno dovrebbe aspettare per vedere se la depressione se ne va da sola? Kagan: Dipende dalle circostanze. Prendete il mio caso: Circa trentacinque anni fa, stavo lavorando a un libro che riassume un importante progetto di ricerca. Avrei voluto dire qualcosa di veramente importante, ma non mi veniva molto bene. Così sono entrato in una depressione da libro di testo. Non riuscivo più a dormire, e presentavo anche tutti gli altri criteri clinici. Ma sapevo qual era stata la causa, quindi non sono andato da uno psichiatra. E come vaa finire? Sei mesi più tardi, la depressione era passata. SPIEGEL: In un caso come questo, ha ancora senso parlare di malattia mentale? Kagan: Gli psichiatri direbbero che ero un malato mentale. Ma cos’era successo? Mi ero dato uno standard troppo alto e non ero riuscito a soddisfarlo. Così ho fatto quello che la maggior parte delle persone farebbe in questa situazione: sono andato in depressione per un po '. La maggior parte delle depressioni di questo genere saltano fuori così. Ma ci sono anche persone con una vulnerabilità genetica alla depressione, per le quali i sintomi non passano da soli. Queste persone sono cronicamente depresse, sono malate mentali. È quindi importante guardare non solo i sintomi, ma anche le cause. La psichiatria è l'unica professione medica in cui le malattie si basano solo sui sintomi. SPIEGEL: E che sembra man mano scoprire disturbi sempre nuovi. Disturbi bipolari, per esempio, che non si riscontrano quasi mai nei bambini. Oggi si dice ne soffra quasi un milione di americani di età inferiore ai diciannove anni. Kagan: Mi sembra che veramente siamo andati troppo in là. Un gruppo di medici del Massachusetts General Hospital ha iniziato a vedere ragazzi che hanno presentato malumori di tipo bipolare. Non avrebbero dovuto farlo. Ma alle case farmaceutiche è molto piaciuto, perché i farmaci contro i disturbi bipolari sono costosi. L’onda è iniziata così. È un po' come nel XV° secolo, quando la gente ha iniziato a pensare che qualcuno potesse essere posseduto dal demonio o affatturato da una strega. SPIEGEL: Sta confrontando la psichiatria moderna con la lotta contro la stregoneria nel Medioevo? Kagan: I medici fanno continuamente errori, malgrado le loro buone intenzioni. Non sono cattivi, è che possono sbagliare. Prendere Egas Moniz, che è intervenuto chirurgicamente sui lobi frontali degli schizofrenici perché pensava così di curarli. SPIEGEL: E ha ricevuto per questo il premio Nobel nel 1949. Kagan: Sì, in effetti. Nel giro di pochi anni, migliaia di schizofrenici si sono trovati con i lobi frontali tagliati, fino a quando ci si è resi conto che si è trattato di un errore terribile. Se si pensa a quante persone sono state lobotomizzate, essere classificati come bipolari è relativamente innocuo. SPIEGEL: Non è tuttavia completamente innocuo. Dopo tutto la chimica del cervello dei bambini con questa diagnosi viene sistematicamente modificata con sostanze psicoattive. Kagan: Condivido la sua insoddisfazione. Ma questa è la storia dell'umanità: quelli insediati in posizione d’autorità sono convinti di fare la cosa giusta, e danneggiano coloro che non hanno potere. SPIEGEL: Questo suona piuttosto cinico. Ci sono alternative rispetto alla possibilità di dare psicofarmaci a bambini che presentano anomalie del comportamento? Kagan: Certamente. Un sostegno per esempio. Chi riceve una diagnosi di ADHD? I bambini che non vanno bene a scuola. Non succede mai ai bambini che vanno bene. Non sarebbe meglio un sostegno invece di pillole? SPIEGEL: Ascoltandola si potrebbe avere l'impressione che le malattie mentali siano semplicemente un'invenzione dell'industria farmaceutica. Kagan: No, sarebbe un’affermazione folle. Ci sono, naturalmente, persone che soffrono di schizofrenia, che sentono la voce del bisnonno, per esempio, o che credono che i russi stiano sparando loro raggi laser negli occhi. Questi sono i malati di mente che hanno bisogno di aiuto. Una persona che acquista due auto in un solo giorno e il giorno dopo non è in grado di alzarsi dal letto ha un disturbo bipolare. E uno che non può mangiare un boccone in un ristorante perché potrebbe esserci lì gente a guardare ha una fobia sociale. Ci sono persone che, per nascita o per via ereditaria, hanno seri punti di fragilità nel sistema nervoso centrale che li predispongono alla schizofrenia, al disturbo bipolare, all’ansia sociale o al disturbo ossessivo-compulsivo. Dovremmo saper distinguere queste persone da tutti gli altri che sono ansiosi o depressi a causa della povertà, del rifiuto, della perdita o del fallimento. I sintomi possono sembrare simili, ma le cause sono completamente differenti. SPIEGEL: Ma come si possono distinguere concretamente? Kagan: Gli psichiatri dovrebbero cominciare a fare diagnosi come fanno tutti gli altri medici: dovrebbero chiedersi quali sono le cause. SPIEGEL: I problemi di cui parla non sono nuovi. Perché crede che la psichiatria sia in crisi proprio in questo momento? Kagan: È una questione di misura. Gli studi epidemiologici sostengono che una persona su quattro è malata di mente. I Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta hanno recentemente annunciato che un bambino americano su ottantotto è affetto da autismo. Questo è assurdo. Significa che gli psichiatri chiamano autistico qualsiasi bambino si trovi in difficoltà nelle relazioni sociali. Se sostenessimo che chi non può percorrere un miglio in dieci minuti ha un grave handicap motorio, ci troveremmo di fronte a un'epidemia di gravi disabilità locomotorie tra le persone anziane. Può sembrare strano, ma è esattamente quel che sta succedendo oggi nella psichiatria. SPIEGEL: Non prova vergogna a volte, all’idea di appartenere a una professione che a suo parere dichiara erroneamente malata di mente gran parte della società? Kagan: Mi sento triste, non mi vergogno ... ma forse un po’ anche mi vergogno. SPIEGEL: Più di sessant’anni fa, quando ha deciso di diventare psicologo, voleva "migliorare le condizioni sociali in modo che fossero sempre meno le persone costrette a provare vergogna per un insuccesso scolastico o per il dolore psichico della depressione", come ha detto una volta. Fino a che punto c’è riuscito? Kagan: Non molto, purtroppo, perché ho avuto l'idea sbagliata. Ho pensato che la situazione familiare fosse determinante per avere successo nella vita. Ho pensato che se avessimo potuto aiutare i genitori a svolgere meglio il loro compito, avremmo potuto risolvere molti problemi. Per questo ho scelto di diventare psicologo infantile. Non sono stato in grado di riconoscere le forze più grandi: la cultura, la condizione sociale, ma anche la neurobiologia. Ho davvero pensato che tutto si decidesse nella famiglia, e che la biologia fosse irrilevante. SPIEGEL: Si è man mano reso conto che il legame tra la madre e il bambino non è poi così importante. Kagan: Sì è vero, anche se bisogna tener presente che il ruolo della madre fino a poco tempo fa non è mai stato accentuato. Alcuni commentatori cinquecenteschi hanno anche scritto che le madri non erano adatte alla cura dei bambini: troppo emotive, troppo iperprotettive. Ma quando la borghesia è venuta alla ribalta nel XIX° secolo, le donne non avevano più bisogno di uscire per andare a lavorare. Avevano un sacco di tempo a disposizione. La società le ha così incaricate dicendo loro: “Sei tu che devi ora plasmare questo bambino." Al tempo stesso i bambini della classe media non erano più costretti a contribuire al bilancio familiare come invece i bambini di origine contadina. Non c’era più bisogno di loro e quindi correvano il rischio di sentirsi inutili. Ma quando un bambino non si sente necessario, ha bisogno di un altro segno. Così l'amore è diventato improvvisamente importante. E chi dà l'amore? Le donne. Alla fine è arrivato John Bowlby e ha romanticizzato l’attaccamento materno. SPIEGEL: Bowlby, lo psichiatra britannico, è stato uno dei padri della teoria dell'attaccamento. Ritiene che le sue ipotesi siano sbagliate? Kagan: La gente voleva risposte semplici, e aspirava a una concezione addolcita dell’umanità, soprattutto dopo gli orrori della seconda guerra mondiale. Questo si combina bene con l'idea che solo i bambini che fin dalla nascita possono riporre fiducia nelle loro madri sono in grado di condurre una vita felice. SPIEGEL: L’ansia all’idea che lasciare i figli in asili nido possa danneggiarli persiste ancora oggi. Kagan: Purtroppo, anche se abbiamo già smentito quest’idea nel 1970. C’era Nixon in quel momento, e il Congresso stava considerando l'idea di centri nazionali d’assistenza diurna. Insieme a due colleghi ho ricevuto un grosso contributo per studiare l'effetto dei luoghi di cura diurna su un gruppo di bambini. I bambini del gruppo di controllo erano invece curati a casa dalle madri. Dopo trenta mesi ci siamo resi conto che non vi era nessuna differenza tra i due gruppi. Tuttavia, ancora oggi, quarant’anni dopo, la gente sta ancora sostenendo che i centri diurni danneggiano i bambini. Nel 2012. SPIEGEL: Professor Kagan, la ringraziamo per questa conversazione. Intervista realizzata da Johann Grolle e Samiha Shafy Fonte: Der Spiegel, 2 febbraio 2012
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L'effetto della crisi produce una grande incertezza
Intervista con Eric Laurent, realizzata da Pablo E. Chacon Contro le certezze universali, lo psicoanalista francese Eric Laurent rivendica la sua pratica come disgiunta dal regime di discorso attualmente dominante, quello della scienza. E mette in questione i risultati delle "soluzioni" globale al dolore di vivere, appiattite su un ottimismo mercantilista che semplicemente crea nuovi problemi e produce un'angoscia che, in assenza di orientamenti singolari, viene attenuata con farmaci, con la droga, con soluzioni immediate, compulsive, e con placebo come il consumo sfrenato e la felicità obbligatoria. Questa conversazione con Ñ digitale è stata realizzata in occasione della sua partecipazione al VIII Congresso dell'Associazione Mondiale di Psicoanalisi (AMP), che ha avuto luogo la scorsa settimana a Buenos Aires. Come è vissuta dagli analizzanti la crisi finanziaria globale, ora che sono sempre più esposti a effetti nocivi che vengono presentati come soluzioni? Sono sempre più in difficoltà, sempre più angosciati, smarriti. Direi che negli analizzanti l'"effetto crisi" provoca un'enorme incertezza. Quest'angoscia può essere ascoltata. La situazione appare fosca. Ci sono più depressi, o c'è una significativa assenza di desiderio, a seconda dei soggetti. Ma anche chi appare più animato, anche gli ipomaniacali, quelli che sfidano il feticismo circostante, sono provati. I sintomi cambiano, sono cambiati in quest'anno e mezzo? I sintomi sono quelli che conosciamo, quelli già presenti: le tossicodipendenze in genere. Tutto, o quasi tutto può trasformarsi in una dipendenza: il gioco d'azzardo, il sesso, il lavoro, e in risposta, nel discorso del padrone, c'è una maggiore volontà di controllare, di punire, di vietare, che naturalmente provoca nel soggetto una crescente volontà di distruzione. Lo si vuole proibire? Allora lo voglio ancora di più. È un fatto comune tra i giovani. Ma non solo tra loro. I giovani però, dimostrano così l'impotenza dell'Altro, la sua megalomania, e mostrano il loro modo di aggirare la punizione. Perché è altrettanto evidente la trasformazione dell'ideale di giovinezza: ora si deve raggiungere una "eterna giovinezza". È quel che viene chiamato "infantilizzazione generalizzata"? Diciamo che l'allentamento del legame sociale va insieme alla caduta delle rappresentazioni dell'autorità e dei divieti che questa implica. Sebbene Freud abbia detto che nella civiltà c'è qualcosa che non va, c'è il disagio, vi è ora un sovrappiù che invano si tenta di civilizzare, e che provoca il ritorno di una nuova volontà di godimento che è inarrestabile. Per questo motivo, che è di struttura, si producono una vigilanza e un divieto ancora maggiori. Il soggetto del tardo capitalismo, inerme, impotente, come può affrontare l'angoscia? Oggi sempre più spesso si fa ricorso all'alcol e alle droghe. Ci sono dei precedenti: c'è stato negli Stati Uniti, per un periodo del secolo scorso, il divieto di alcol, il proibizionismo. È stata una politica che ha accresciuto gli effetti del mercato nero e ha spinto i consumi. Lo stesso è accaduto per la droga: divieto, e "permissività". Poi c'è stata la guerra alla droga, che ha ottenuto l'effetto opposto a quello voluto. È una politica? Non lo escluderei. In questo momento, il farmaco è globalizzato. Appaiono nuove sostanze ogni momento, oltre alle mafie e alla diffusione delle armi a un livello senza precedenti. Lo Stato di diritto è in pericolo. Il Messico, per esempio, è sull'orlo della catastrofe. Legalizzare il consumo, non sarebbe un inizio di soluzione? Relativamente. Occorre però cambiare prospettiva. Recentemente, al vertice in Colombia, il presidente del Guatemala su questo argomento ha detto che occorrerebbe iniziare a pensare a un sistema diverso. Nello stesso modo si è poi espresso il presidente colombiano. Gli Stati Uniti infatti, concentrandosi sulla repressione di alcol e di droghe, ottengono l'effetto di sollecitare maggiormente il godimento e di spingere a una una maggiore vigilanza. Liberalizzare in modo incontrollato è però altrettanto assurdo che sognare di impedire la produzione di sostanze. A mio parere, la questione non è di liberalizzazione o di proibire in modo totale, ma di adattamento: il problema è come può essere regolata ogni sostanza per ridurre i danni agli stati, e per ridurre la gestione della poliziesca delle persone. Questo implica un calcolo politico. Tra la spinta al godimento e la sua proibizione, il problema non si risolverà con una dialettica di cui abbiamo già visto i risultati. È necessario inventare nuovi strumenti per orientarsi, anche strumenti giuridici che ci aiutino a uscire da questa falsa opposizione, che è il duplice volto della pulsione di morte. Così che cosa sta accadendo con i cosiddetti disturbi alimentari, anoressia, bulimia, obesità? Sono nella stessa serie di cui sopra. Bisogna però chiarire che questi sono mali tipici dei paesi che hanno "risolto" il problema della fame. Non si presentano infatti nelle aree dove non c'è cibo sufficiente e dove è in gioco la sopravvivenza. Quando però i problema della fame è "risolto", si vede come la pulsione orale sia indomabile. Anche qui abbiamo due facce: la restrizione o la produzione. Per il lato femminile c'è un'industria della bellezza anoressica. dall'altro lato c'è la bulimia: negli Stati Uniti, nell'arco di una generazione, è enormemente cresciuto il numero delle persone obese. I fattori sono simili e distinti al tempo stesso, e le determinazioni sono molteplici, come nel caso delle tossicomanie: distruzione del legame sociale, ansia, eccesso di zucchero, di sale, produzione di alimenti artificiale e così via. C'è anche un dato nuovo: la volontà di far sparire il tabacco. Questo va bene: limita il numero dei tumori al polmone ma, a sorpresa, ha fatto crescere il numero di casi di diabete. Perché il tabacco era un modo per controllare il peso. E il peso è un fattore determinante per il diabete. Ma non sono stati fatti prima degli studi? Alcuni medici riconoscono che questi effetti collaterali non sono stati calcolati. Il diabete ora è la causa più comune di morte nei paesi centrali. Questo non si può risolto con una proibizione: vietare lo zucchero, il tabacco, il sale, i grassi. Sono sogni, e il sonno della ragione produce mostri. Tra la spinta godimento e la proibizione si verificano delle impasse. Come risolverle? Penso occorrano soluzioni "su misura" per ogni caso. Pensare soluzioni globali, leggi universali per risolvere questa situazione, norme igieniche imposte dalle burocrazie sanitarie, è un altro sogno. È possibile però trovare per ognuno un percorso al di fuori di queste impasse, in base al particolare rapporto che si ha con il godimento. La psicoanalisi non è dappertutto. La sua dignità come pratica implica alcune forme di incompatibilità con le regole della civiltà. La psicoanalisi non inventa buone notizie. Non promette la felicità immediata. Ma la cosa più importante è che non è una scienza, e il regime del discorso dominante è quello della scienza. La psicoanalisi è una disciplina critica, che constata gli effetti della scienza. E 'il discorso che discute gli effetti della scienza sulla civiltà. E tratta i soggetti, uno per uno. Ma il punto d'arrivo della psicoanalisi è anche criticato, è spesso respinto, perché non può essere conseguito al di fuori del quadro di una cura analitica. Criticato? Rifiutato? In effetti. Per ottenere una certezza singolare occorre passare attraverso l'esperienza analitica. Questo viene spesso rifiutato. La scienza, tuttavia, non fa esperienze singolari. Presuppone la ragione, il calcolo e il lavoro. La psicoanalisi occupa un posto strano, come quello di un immigrato. L'ordine simbolico infatti, come già si sapeva, non esiste più. Ci sono solo le leggi della scienza. Ma la scienza non può spiegare tutto. La teoria del tutto non esiste. La diffusione della scienza in questo nuovo ordine, rimanda il soggetto alle sue angosce fondamentali, non sapendo come orientarvisi. E l'uscita, in questa visibile oscurità, non sembra passare attraverso le buone intenzioni, le religioni private o le sue varianti new age Fonte Rivista Consequencias LGBT + A: la vita sognata degli asessuali
di Dominique Carpentier Il 24 aprile 2013 ha avuto luogo su Internet la prima giornata degli asessuali, un movimento che negli ultimi anni, spiega Liberation, ha cercato di riunire sempre più persone che sostengono una sessualità "senza sesso". Il fenomeno merita attenzione, soprattutto da quando l'asessualità è diventata la parola d'ordine di almeno l'1% delle persone nel mondo, che si sostengono su questa nuovo tipo di identificazione. In nome del "rispetto" dovuto a ogni essere umano questa nuova denominazione vuole essere riconosciuta come un "quinto genere" (Lesbiche, Gay, Bisessuali,Transessuali più A come Asessuati) con il "diritto" di esistere a titolo della propria differenza. Ci sono dunque gli "A" come asessuali e gli "S", S per il sesso, cioè i soggetti che tentano di annodare il godimento e il desiderio, cercando di cavarsela come possono con l'equivoco. Gli A sanno bene che non c'è rapporto sessuale, e inoltre rivendicano di non credere, alla pertinenza del desiderio, a ciò che va sotto questo termine. Il desiderio è ingombrante, soprattutto nel modo in cui si esprime. La parola d'ordine del movimento è tacere sulla pulsione, che scompiglia e disturba le relazioni tra i soggetti. Questo punto è sostenuto dalla blogger e giornalista Peggy Sastre, autore di "Niente sesso. Aver voglia di non fare l'amore". La Sastre ha precisato che l'asessualità non è né l'astinenza, in senso religioso, né il rifiuto del corpo in quanto tale, ma piuttosto la rivendicazione del diritto di affermare di non avere voglia ... di fare l'amore, come sostiene il titolo del suo libro. Sono soggetti che "preferiscono di no." Una foto pubblicata per la prima giornata ufficiale degli asessuali sul sito AVA (Associazione per la Visibilità degli Asessuali) mostra una figura che indossa una maglietta con davanti la scritta "Preferisco i dolci" e dietro la bandiera del movimento con la scritta "Asessuale". Jacques Alain Miller, nel suo testo "Una fantasia" quasi dieci anni fa, ha scritto: "Il più plusgodere è salito in posizione dominante. Esso è correlativo a quel che chiamo una stato del corpo proprio e, in quanto tale, è asessuato. È al comando, ma di cosa? In effetti non comanda un "funzionamento", ma un "fallimento", che per l'appunto scriviamo $, che contrassegna il fallimento sul piano sessuale. Nulla impedisce di considerare che $ significhi: non c'è rapporto sessuale. D'atra parte la lettera S è anche l'iniziale di sesso. Questo porterebbe a dire che l'inesistenza del rapporto sessuale è diventata evidente, fino a poter essere resa esplicita, scritta, dal momento in cui l'oggetto a minuscola è salito a livello sociale. " Inventando questa comunità organizzando per rivendicare una "normalità" dell'astinenza, questa associazione, per noi lettori di J. Lacan e di J. A Miller, è un esempio di come nel mondo ipermoderno, il soggetto risponda alla domanda "Che fare del proprio corpo? ". Sul loro sito web si legge: "L'asessualità è legata a Internet: è sul forum AVEN, creato nel 2001 che i primi asessuali ha cominciato ad avere scambi, e ha cominciato a delinearsi il profilo dell'asessualità. AVEN ha ora più di 30.000 membri in tutto il mondo, di cui quasi 3.500 in Francia. Questa giornata dell'asessualità, è un'occasione per farsi sentire e per aiutare le persone che soffrono e che possono vergognarsi della loro situazione. Nella nostra società, dove una sessualità florida è legata al benessere, non "mordere la mela" può apparire incongruo o patologico. L'asessualità non è una questione di comportamenti o di pratiche, ma di desiderio." Ma di quale desiderio si tratta? Questo movimento ha oggi una certa visibilità. In un episodio del Doctor House, si vede che è il partner di una donna che dice asessuata a soffrire di una patologia cerebrale che impedisce il buon funzionamento della sua libido. È noto il cinismo del nostro dottore, ma l'episodio è comunque indice che il movimento trova ascolto. Nel numero 2099 (siamo già lì!) di "Plus belle la vie", una soap opera in prima serata in onda ogni giorno dall'agosto 2004 su un grande canale nazionale, la giornalista di Liberation cita un episodio che presenta una giovane donna asessuata. Il movimento è ormai riconosciuto. Il corpo desacralizzato, come invita a considerare Marie-Hélène Brousse, è passibile di trasformazione, di essere cambiato nelle sue parti, è sede di esperienze inedite e futuribili, il corpo diventa un oggetto ingombrante. Si tratta di '"essere" il proprio corpo, somma di componenti intercambiabili, piuttosto che di averlo, per evacuarne il desiderio, la pulsione, il carattere etero. Appellandosi alla genetica per non dover rispondere all'enigma dell'assenza di rapporto sessuale, per evacuare il godimento stesso, il soggetto si libera a dal fatto di avere un corpo (sessuato) per sostenere un godimento privato, senza altro, senza causa. Il "Forum-asexuel.fr" definisce l'asessuale come "una persona che non sente il bisogno di avere rapporti sessuali." Bisogna notare tuttavia, che in realtà, ed è piuttosto singolare, essere asessuati non impedisce, all'occasione, la possibilità di fare sesso! Questo non sembra serio! Quindi dobbiamo cercare di capire cosa propone questo movimento. Si tratta di una richiesta di "riconoscimento", che denuncia il panessualismo freudiano? Si può leggere sui blog di alcuni asessuali che si tratta di lottare contro la pubblicità sessualizzata che pervade il nostro mondo. Perché no? Si tratta inoltre di sfatare l'idea di un soggetto mosso da una libido incontrollabile, o quanto meno ingombrante. Quindi, liberiamoci della pulsione e gettiamo alle ortiche ortiche l'etero. Ci sarebbe una condizione naturale, nascere asessuali, rivendicato da alcuni A, che contraddice la psicoanalisi, semplicemente la fa scomparire. Essere asessuale è un fatto genetico, e non c'è altro da dire. Fantasma de equivoco sono semplicemente spazzati via, il genoma regola e spiega il rapporto umano, riducendo il desiderio a "ho voglia, o non ho voglia," senza mettere di mezzo una causa. Il plusgodere, come il dolce che abbiamo menzionato sopra, soddisfa il soggetto e lo rende "felice". Per indicare forte e chiaro che non si tratta di una patologia, gli asessuali si preoccupano di rivendicare un " rispetto" tradotto in un "sono così." Dobbiamo tuttavia saper individuare dietro questa assenza di costruzione teorica del movimento, un odio verso la psicoanalisi, appena velato.  Il corpo infatti viene messa da parte, come se la pulsione fosse nemica del soggetto. Il corpo si disfa della pulsione, si rende estraneo al linguaggio, al fallimento, al malinteso tra i sessi, tra parlanti. Riprendendo ancora J. A Miller: "Oggi, se la mia fantasia conduce da qualche parte - è da vedere - se questa fantasia è vera, il discorso della civiltà non è più il rovescio della psicoanalisi, è il successo della psicoanalisi. Congratulazioni! Ben fatto! Ma al tempo stesso, mette in discussione il mezzo di psicoanalisi, l'interpretazione, e la fine o anche il suo inizio. Si potrebbe dire - se si considera che il rapporto tra civiltà e psicoanalisi non è più quello tra diritto e rovescio e che il plusgodere è al posto di comando, il soggetto lavora, le identificazioni cadono sostituite dalla valutazione omogenea della capacità, mentre il sapere opera per mentire. La psicoanalisi è stata inventata per rispondere al disagio della civiltà e che la civiltà tende a sopprimere il godimento per far esistere il rapporto sessuale. Sembra sulla buona strada. Autoerotismo e eterosessualità s'incontrano, e si annullano reciprocamente. Precisando che la civiltà ipermoderna "concorre a produrre un reale che fallisce, in modo tale che che il rapporto tra i sessi diventa sempre più difficile" Miller sostiene, che l'uno da solo, è lo standard post-umano, buono a compilare i questionari per essere valutato, l'uno da solo è comandato da un plusgodere che si presenta sotto l'aspetto ansiogeno. " Siamo così invitati a cercare di cogliere questa ipermodernità che si traduce in un crescente rifiuto dell'invenzione, promosso invece dal nostro orientamento . È la nuova era degli uno da soli che si riuniscono per credere al rapporto sessile, pur denunciandolo. Gli ultimi interventi del Ministro della Sanità sul piano previsto per autismo vanno nel senso dello sradicamento della psicoanalisi a favore di metodi che isolano e segregano i soggetti. P. Sastre, scrive ancora in un articolo a proposito del film di Sophie Robert, di triste memoria: "La psicoanalisi ha toccato il fondo? " e perora la causa della scienza che secondo lei ignoreremmo. È una carica contro l'invenzione freudiana. Sembra più che mai necessario essere in sintonia con i tempi, attenti a ciò che viene detto, scritto, diffuso. Dobbiamo saper leggere il mondo in cui viviamo e saper pensare quel che ci aspetta con l'aiuto di Freud e di Lacan. Fonte: LQ n° 324 Sette mesi prima di morire, il famoso psichiatra americano Leon Eisenberg, che ha scoperto il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), ha detto che si tratta di "un esempio di malattia immaginaria".
L'affermazione, fatta dall'eminente studioso, è stata pubblicato dal settimanale tedesco Der Spiegel. I primi tentativi di spiegare l'esistenza di questo disturbo sono stati negli anni '30. I medici che allora avevano in cura bambini dal carattere irrequieto e con difficoltà di concentrazione formulavano la diagnosi di sindrome postencefalica, anche se la maggior parte di loro non era mai stato affetta da encefalite. Fu proprio Leon Eisenberg negli anni '60 a tornare a parlare del disturbo. Nel 1968 tale diagnosi fu inclusa nel "Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali " Uno dei principali risultati di Eisenberg è stato quello di convincere la comunità scientifica a credere che l'ADHD avesse cause genetiche. L'idea che il bambino sia nato già con il disturbo fa sparire il senso di colpa dei genitori e il trattamento farmacologico non viene messo in discussione. Pochi mesi prima della sua morte tuttavia, Eisenberg ha confessato che secondo lui uno psichiatra infantile dovrebbe in realtà cercare di stabilire le cause psicosociali che possono provocare determinati comportamenti. Si tratta però di un processo che richiede molto tempo, e quindi "prescrivere una pillola per l'ADHD è molto più veloce ". Accanto a queste rivelazioni è interessante menzionare un altro studio, condotto dalla psicologa americana Lisa Cosgrove. Secondo questo ricercatrice, dei 170 membri appartenenti al gruppo di lavoro del DSM, il 56% intratteneva una o più relazioni finanziarie con le aziende farmaceutiche. Fonte: RT - Actualidad/Ciencia del 25 maggio 2013 di Jamie Doward
Secondo il principale organismo che rappresenta gli psicologi clinici della Gran Bretagna non c'è nessuna prova scientifica che diagnosi psichiatriche come schizofrenia e disturbo bipolare siano valide o anche solo utili. Con una mossa dirompente, che ha già provocato una feroce reazione da parte degli psichiatri, la divisione di psicologia clinica (DCP) della British Psychological Society pubblicherà lunedì una dichiarazione dove si asserisce che data la mancanza di prove, è il momento per un "cambio di paradigma" nel modo in cui vengono considerati i problemi di salute mentale. La dichiarazione mette effettivamente in dubbio il modello biomedico predominate della psichiatria sul disagio mentale - l'idea cioè che le persone affette da problemi mentali siano curabili dai medici attraverso l'uso di farmaci. Il DCP ha affermato che la decisione di esprimersi sulla questione "riflette le sue fondamentali preoccupazioni sullo lo sviluppo, sull'impatto personale e sul nucleo di ipotesi alla base dei sistemi diagnostici", utilizzati dalla psichiatria. La dott.ssa Lucy Johnstone, psicologa clinica, una delle consulenti che hanno contribuito a redigere la dichiarazione del DCP, ha sostenuto l'inutilità del punto di vista che considera i problemi di salute mentale come malattie con cause biologiche. " Vi è ora al contrario la prova schiacciante che le persone entrano in crisi a causa di un insieme complesso di circostanze sociali e psicologiche: il lutto e la perdita affettiva, la povertà e la discriminazione, i traumi e gli abusi", ha detto la dottoressa Johnstone. La provocatoria dichiarazione del DCP è stata pensata in tempo perché uscisse poco prima della pubblicazione del DSM-5, la quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dell'Associazione psichiatrica americana per i disturbi mentali. Il manuale è stato accusato di ampliare la gamma di problemi di salute mentale che vengono classificati come disturbi. La quinta edizione del testo, che esce a due decenni di distanza dalla precedente, classificherà per esempio le manifestazioni di lutto, le crisi di collera e le preoccupazioni per il proprio stato di salute come malattie mentali collegate rispettivamente al disturbo depressivo maggiore, al disturbo disturbo nella regolazione dell'umore e al disturbo somatoforme, . Le omissioni del manuale provocano polemiche come le inclusioni. Il termine "disturbo di Asperger" non apparirà infatti nel nuovo manuale, e i suoi sintomi saranno invece classificati come "disturbo dello spettro autistico", termine di nuovo conio. Il DSM è utilizzato in diversi paesi a vari livelli. La Gran Bretagna utilizza un manuale alternativo: la classificazione internazionale delle malattie (ICD) pubblicato dall'Organizzazione mondiale della sanità, ma il DSM è tuttavia molto influente e controverso. Lo scrittore Oliver James, formatosi come psicologo clinico, ha accolto con favore la decisione del DCP di esprimersi contro le modalità di diagnosi psichiatrica, e ha sottolineato la necessità di allontanarsi da un modello biomedico di disagio mentale per muoversi verso uno che tenga conto dei fattori sociali e personali. Nell'Observer di oggi, James dichiara: "Abbiamo bisogno di cambiare in modo fondamentale l'organizzazione della nostra società per dare ai genitori migliori possibilità di andare incontro alle esigenze dei bambini e per evitare le ricadute negative nell'età adulta." Il professor Sir Simon Wessely, membro del Royal College di Psichiatria e docente di psicologia medica al King College di Londra, ha tuttavia sostenuto che è un errore affermare che la psichiatria si è concentrata esclusivamente sulle cause biologiche del disagio mentale. In un articolo dell'Observer asserisce inoltre che è indispensabile creare sistemi di classificazione per i disturbi mentali. "Un sistema di classificazione è come una mappa", spiega Wessely. "E proprio come ogni mappa è provvisorio, pronto per essere modificato man mano che il paesaggio cambia. Lo stesso vale per la classificazione dei disturbi mentali." Fonte: The Observer, 12 maggio 2013 di Allen Frances
Le organizzazioni più accreditate per rappresentare gli interessiI dei professionisti della salute mentale e dei pazienti attualmente non rendono loro un buon servizio. È iniziato un periodo davvero insensato, in cui le assurdità proposte dall'American Psychiatric Association, l'Istituto Nazionale di Salute Mentale e la British Psychological Society entrano in conflitto tra loro. Maggio, evidentemente, è il mese più crudele per la salute mentale. Tutto è iniziato con l'offerta da parte del DSM-5 delle sue nuove e infondate diagnosi, che etichetteranno in modo fuorviante milioni di persone che stanno bene ma sono un po' preoccupate in malati mentali, trasformando l'attuale inflazione diagnostica in iperinflazione, e distogliendo l'attenzione e le risorse dalle persone che hanno davvero bisogno di aiuto. L'Istituto Nazionale per la Salute Mentale ha poi incautamente considerato non valide tutte le diagnosi basaste sulle sindromi DSM. L'Istituto però non ha oggi nulla da offrire al loro posto se non la promessa, sopravvalutata e irrealizzabile, di un futuro modello della malattia mentale strettamente biologico che richiederà decenni perché venga messo a punto - ammesso e non concesso che possa essere realizzato. Nonostante la sua denominazione, l'Istituto Nazionale per la Salute mentale sembra aver perso ogni interesse per lo stato attuale di salute mentale dei pazienti che, negli Stati Uniti, subiscono i draconiani tagli di bilancio e soffrono di un sistema di cura completamente disorganizzato . La British Psychological Society ha ora imboccato la propria via agli di atteggiamenti estremisti, proponendo un donchisciottesco cambio di paradigma, spostandosi dall'idea che il cervello abbia alcunché a che vedere con la malattia mentale o che la schizofrenia e il disturbo bipolare siano concetti in qualche modo utili. L'idea proposta è che invece che come problemi di salute mentale questi disturbi debbano essere inquadrati in primo luogo in termini psicologici e sociali. Questa è una follia del tipo Alice attraverso lo specchio. Il riduzionismo biologico dell'Istituto Nazionale per la Salute Mentale trova un assurdo riflesso nel riduzionismo psico-sociale della British Psychological Society . I dirigenti responsabili di potenti organizzazioni dovrebbero avere idee migliori che non quella che malattie mentali complesse possano essere ridotte a risposte semplificative e riduzioniste. Abbiamo bisogno di un modello di malattia mentale attento agli aspetti biologici, a quelli psicologici, e a quelli sociali. Abbiamo bisogno di persone responsabili che rispondano agli attuali bisogni insoddisfatti dei pazienti - che non si lascino incantare da grandi progetti utopici proiettati in un lontano futuro e che si interessino ai problemi urgenti posti dal presente. Il DSM-5, l'Istituto Nazionale per la salute Mentale, e la British Psychological Society hanno tutti commesso errori dello stesso tipo: hanno tutti promesso prematuramente un grandioso cambiamento di paradigma che non è neppure lontanamente possibile. I cambiamenti di paradigma emergono dalle nuove scoperte scientifiche, non da dichiarazioni che risultano essere mere spacconate, per quanto ben intenzionate. I pazienti e gli operatori sono ridotti a essere gli effetti collaterali di questa polemica ridicola. I pazienti che hanno bisogno di aiuto possono anche perdere fiducia in un Istituto di Salute Mentale che sembra essere così confuso e così confusivo. Gli operatori in genere sono persone modeste e competenti e meritano una guida diversa, che non sia così arrogante e maldestra. È giunto il momento di avere in mente una precisa domanda quando si preparano manuali diagnostici o quando si fanno affermazioni sulla malattia mentale, destinate a essere ampiamente diffuse: "Quel che diciamo potrà favorire o potrà ostacolare l'accesso dei nostri pazienti a cure di qualità? Il mio appello all'American Psychiatric Association, all'Istituto Nazionale di Salute Mentale, e alla British Psychological Society è che ci risparmino le vuote promesse di cambiamenti prematuri di paradigma e che invece ci aiutino a prenderci cura dei nostri pazienti. Allen Frances è un professore emerito alla Duke University ed è stato il presidente della task force del DSM-IV. Fonte: Huffington Post del 25 maggio 20131 Da Affaritaliani dell'8 maggio 2013
************************************* Convegno dela Scuola lacaniana di psicoanalisi sul tema: "I resti sintomatici. La psicoanalisi di fronte all’al di là del terapeutico " 11 e 12 maggio 2013 Dalle ore 10 di sabato alle 14 di domenica. Sala degli Affreschi , Società Umanitaria, Via San Barnaba, 48 – Milano ************************************** Le tavole rotonde: 1) Effetti di cura, resti dell'esperienza 2) La tirannia dell'oggetto 3) Tracce di sapere. Testimonianze del lavoro nei Cartelli della Scuola 4) Esiste la parola fine? Testimonianze degli AE e dagli argomenti attorno a cui abbiamo suddiviso il lavoro delle Sessioni Simultanee: 1) Che cosa resta della difesa 2) Il godimento perduto e i suoi recuperi 3) Presa del sintomo sul corpo Parteciperanno il Presidente AMP Leonardo Gorostiza, oltre al Presidente EFP Gil Caroz, così come i Presidenti delle altre Scuole Europee."I resti sintomatici sono ciò che rimane al termine di un percorso di psicoanalisi, che non elimina del tutto il sintomo. E' piuttosto un processo di trasformazione che rende un ostacolo un elemento propulsivo. Per il singolo, ma anche per la società. La psicoanalisi proprio oggi può essere un'alternativa allo scientismo imperante. Perché non tutto si rivolve con un'equazione matematica. C'è qualcosa di più nelle nostre vite, un lato glamour che non è quantificabile... Sono questi i temi del convegno "I resti sintomatici. La psicoanalisi di fronte all’al di là del terapeutico", organizzato a Milano il prossimo 11 e 12 maggio. Ad anticiparli ad Affaritaliani.it è Marco Focchi, psicoanalista e psicoterapeuta, membro del comitato scientifico organizzatore, presidente dal 2008 al 2011 della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi e direttore dell'Istituto freudiano per la clinica, la terapia e la scienza di Milano. Ha scritto diversi libri (tra cui "Il glamour della psicoanalisi") e tiene periodicamente conferenze e seminari in Italia e all’estero. Innanzitutto che cos'è il sintomo in psicoanalisi? "Bisogna distinguere tra il sintomo in medicina e in psicoanalisi, perché c'è una concezione diversa. Nel primo caso viene considerato una fonte di sofferenza da eliminare totalmente per tornare a una situazione di benessere precedente. Una "normalità" pre-esistente che invece non esiste in psicoanalisi. Il trauma è in questo caso un elemento strutturale e il sintomo è già un primo tentativo di guarigione, per riprendere la definizione che ne dava Freud. Il sintomo in psicoanalisi non è qualcosa di disfunzionale, al contrario: l'obiettivo è far ritrovare al soggetto quella funzionalità che è stata smarrita. I resti sintomatici, in questo senso, sono come gli "avanzi da cucinare": con gli "avanzi della nevrosi" si può fare qualcosa". Un processo di accettazione? "Non proprio. L'accettazione sembra una rassegnazione. Qui invece c'è un processo di trasformazione, da ostacolo a elemento di propulsione. Bisogna separare il sintomo dalla sofferenza per riutilizzare in modo attivo ciò che prima era fonte di dolore". Perché la decisione di evidenziare proprio ora il tema dei resti sintomatici? "Viviamo in un'epoca dominata dallo scientismo, ovvero la tendenza ad applicare il metodo scientifico ad ogni campo come se così, con un intervento tecnico, si potesse risolvere tutto. Una pillola o una procedura vengono presentate come chiavi di ogni processo in una logica soluzione-risposta. Ma tutto questo è falsante. Qui si tratta di fare una traversata di se stessi per ritrovare e rielaborare soluzioni proprie. Bisogna mostrare l'utilità di un aspetto sintomatico che non è solo malattia, come hanno già fatto in passato Proust piuttosto che Virginia Woolf o Nietzsche, che vedeva la malattia come via elettiva alla salute". La psicoanalisi può aiutare anche la società oltre al singolo? "Assolutamente sì. La nostra prospettiva è sempre stata rivolta verso un impegno sociale. Basta con le torri d'avorio, facciamo entrare la psicoanalisi nella società E' un metodo fortemente esportabile, dalla scuola ai temi di salute pubblica, proprio perché ha un risvolto socio-politico". La psicoanalisi è... glamour? "Glamour è un termine che ha ricevuto nobiltà letteraria con Walter Scott, che ha ripreso un'antica parola scozzese: indica un incantesimo che fa apparire le cose più belle di quanto siano. In questo senso mette in gioco la credenza e sfugge allo scientismo. Il glamour non si può ricondurre alla certezza di un calcolo matematico. Quando ci innamoriamo, il glamour rende l'altro unico ai nostri occhi. Ma questo non è un inganno. C'è una sopravvalutazione erotica del partner, che non è però un errore di valutazione, ma è qualcosa che va al di là dei normali scambi tra persone. In questo glamour la cui luce avvolge la persona amata c'è qualcosa di più, che non è quantificabile. E così accade anche a livello di società. Una volta c'erano i nobili, gli stemmi, i blasoni, gli arcana impèrii che avvolgevano solo alcune classi privilegiate. Oggi il glamour si è democratizzato" CULTURE Troppo scientismo oggi. La psicoanalisi glamour come via d'uscita Mercoledì, 8 maggio 2013 - 14:07:00 Di Maria Carla Rota |
Marco Focchi riceve in
viale Gran Sasso 28, 20131 Milano tel. 022665651. Possibilità di colloqui in inglese, francese, spagnolo. Archivi
Agosto 2024
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