di Tori Rodriguez Il "disturbo ipersessuale" stava per essere aggiunto al DSM-V, la controversa quinta edizione del manuale diagnostico psichiatrico uscito all'inizio di quest'anno. Si tratta del termine ufficiale per ciò che è a volte indicato come "dipendenza dal sesso". Anche se non può essere ufficialmente riconosciuta come un disturbo, l’ipersessualità o sessuodipendenza, chiamatela come vi pare – viene abitualmente attribuita al lato maschile. Il divario è notevole e importante. I sessuodipendenti rappresentati nel mondo della finzione, come quelli che si sono visti nella serie Desperate Housewives, nel recente film Shame e in Thanks for Sharing, sono quasi sempre uomini. Forse allora non stupisce che la ricerca sulla sessuodipendenza tra le donne sia piuttosto scarsa. Uno dei pochi studi incentrati in particolare sulla sessuodipendenza femminile è stato pubblicato proprio l’anno scorso, e ha mostrato alcuni risultati sorprendenti. Tra questi questi uno che colpisce in particolari modo è che l'esposizione alla pornografia in età infantile è un forte indicatore che lascia prevedere un comportamento ipersessuale con probabilità maggiore che non l’abuso sessuale infantile. Prima di questo studio, uno precedente che aveva incluso le donne – realizzato nel 2003 per confrontare i tassi di sessuodipendenza tra i maschi e le femmine in un campus universitario – ha rivelato che in realtà le donne sono ricadute nella classificazione "richiede ulteriore valutazione" e "categoria a rischio " in misura doppia rispetto agli uomini. Ma non avrete nessuna difficoltà a trovare anche ricerche sul desiderio sessuale femminile ipoattivo, conosciuto anche come "bassa tensione sessuale", il che rispecchia perfettamente le norme sociali del sesso, ovvero l’idea che gli uomini vorrebbero farlo sempre e le donne mai.
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Si è concluso ieri “Il viaggio di Marco Cavallo nel mondo di fuori”. Il grande cavallo azzurro di cartapesta (alto quasi 4 metri) che nel 1973 a Trieste ruppe i muri del manicomio di San Giovanni dando il via all'inarrestabile processo di cambiamento e alla Legge 180. Marco Cavallo, diventato storia della libertà riconquistata dagli internati e della possibilità che le persone hanno di realizzare i propri desideri, è rientrato ieri a Trieste. Partito da qui il 12 novembre da Trieste, ha viaggiato in tutta Italia attraverso 10 Regioni: Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Liguria, Toscana, Sicilia, Campania, Lazio, Abruzzo, Emilia Romagna e Lombardia. Ha fatto tappa nei sei manicomi giudiziari e in alcune delle sedi dei nuovi mini OPG. 16 le città che ha toccato in 13 giorni di viaggio per oltre 4.000 km. Intervista a Eric Laurent realizzata da Telam, Agenzia di stampa ufficiale argentina. T : Agitazione del reale è un titolo inquietante*. Come intenderlo in relazione alla questione del corpo ? L : Sì, spero proprio sia un titolo unheimlich, inquietante. Occorre risvegliare l'attenzione su un punto che Lacan ha toccato per chiarire alcuni paradossi in Freud. La zona di contatto tra la scienza e la psicoanalisi, in Freud, era il funzionamento dell'economia libidica. Dopo il 1920 l'economia del desiderio aveva come proprio orizzonte la pulsione di morte e un livello zero dell’energia, e questo, come diceva Sabina Spielrein, è il principio del Nirvana. Simile approccio permetteva di sostenere l'ipotesi della validità della seconda legge della termodinamica, che introduce l'inerzia entropica come orizzonte finale per l’energia. In tal modo questa ipotesi definiva qualcosa di reale nella psicoanalisi. Lacan, a sua volta, ha tentato di definire la pulsione di morte a partire da ciò che avviene nell'esperienza analitica, senza introdurre ipotesi supplementari. Prima ha mostrato che si potevano ignorare gli aspetti vitali – intesi come immaginari – della pura ripetizione significante. Nell’insegnamento di Lacan – come dice Jacques-Alain Miller – questo era uno dei paradigmi del godimento. Ha poi tentato, riuscendoci, di isolare una modalità di ripetizione che non fosse la ripetizione significante. Ha definito l’Uno del godimento, che si ripete nell'orizzonte dell'esperienza analitica, ma che non obbedisce alle leggi della ripetizione significante, né alla logica del fantasma. Questo orizzonte appare nelle analisi a lungo termine. Questa ripetizione dà il diagramma di un universo senza legge, senza necessità, che Lacan ha pensato come un incontro con la contingenza. Di questo parla l’agitazione del reale. Non dell’immaginario del moto browniano, che obbedisce alle leggi della meccanica statistica, ma dell'incontro dei corpi con la contingenza del godimento che porta a considerare il sinthome. Per chi pensa che la depressione sia un sottoprodotto dell’insipido materialismo occidentale, un recente studio, condotto da alcuni ricercatori del Queensland, potrebbe risultare sorprendente. La depressione semplicemente non è di gusti tanto difficili, e quando si tratta di disturbi depressivi, in alcune zone del Nord Africa e del Medio Oriente se ne soffre più che nel Nord America e nell'Europa occidentale . Secondo i ricercatori, che hanno raccolto i dati disponibili sulle diagnosi cliniche fino al 2010, in Algeria, Libia, Siria e Afghanistan, le cose sono andate peggio per via del numero complessivo di anni in cui i cittadini di questi paesi hanno vissuto con il peso della depressione. Per i paesi del Medio Oriente occorre comunque considerare che si tratta di dati raccolti prima che le primavere arabe trasformassero completamente la vita delle persone. Il Giappone ha avuto i punteggi migliori, insieme all'Australia e alla Nuova Zelanda. I ricercatori hanno tuttavia circoscritto le aspettative sui risultati de loro lavoro, riconoscendo che i dati sono limitati ad alcune parti del mondo. Curiosamente, il Regno Unito e gli Stati Uniti – paesi in cui l’attenzione sulla malattia mentale e le riflessioni culturali sulla depressione sono in rapida ascesa – sembrano essere molto meno colpiti dal male di alcune parti dell'Africa e dell'Europa orientale. La seconda interessante analisi dei dati concerne l’età. Il grafico riguardante la suddivisione per sesso non contiene sorprese: il numero di donne che sembra soffrire del disturbo è circa il doppio di quello degli uomini, e questo rispecchia i risultati di alcuni dei più importanti studi sull’incidenza della depressione. L'analisi in base all’età mostra invece in che misura la depressione stia diventando un problema che colpisce persone ancora giovani. Le persone di età compresa tra i venti e i ventiquattro anni sono le più colpite, seguite dalla generazione immediatamente successiva. Quando si arriva a considerare i cinquantenni, età in cui cominciano a farsi strada le domande esistenziali, le percentuali diminuiscono. Sopra i sessanta, rallentano piuttosto bruscamente. Può essere rassicurante invecchiare, dopo tutto. La depressione sta dunque crescendo? Lo si potrebbe pensare stando alla proliferazione di segnalazioni e di analisi sulla malattia. I ricercatori tuttavia dicono sì e no: la depressione è la malattia al secondo posto come incidenza sociale: ne soffre circa una persona su venti. Le cose stanno peggiorando, dicono, però potrebbe dipendere dai dati demografici. "L’incidenza è aumentata del 37,5% tra il 1990 e il 2010, ma questo è dovuto alla crescita della popolazione e all'invecchiamento", dicono. "Contrariamente a quanto afferma la recente letteratura sull'argomento, i nostri risultati suggeriscono che l'epidemiologia, sia del disturbo depressivo maggiore sia della distimia (depressione più lieve), è rimasta relativamente stabile nel tempo." Un famoso studio longitudinale protrattosi per settantacinque anni su un campione di studenti di Harvard indaga su quel che fa la prosperità o la miseria della vita di Scott Stossel Nel giugno 2009 The Atlantic ha pubblicato una storia di copertina sul Grant Study, uno degli studi più ampi e prolungati sullo sviluppo umano. Il progetto, iniziato nel 1938, ha seguito per settantacinque anni duecentosessantotto studenti maschi di Harvard, misurando una gamma sorprendente di tratti psicologici, antropologici, fisici – che andavano dal tipo di personalità, al quoziente d’intelligenza, alle abitudini nel bere, ai rapporti famigliari – nel tentativo di determinare quali fattori contribuiscano maggiormente a una positiva crescita umana. Milano, 28 febbraio 1981 Conferenza di Jacques-Alain Miller ROSA ELENA MANZETTI – Jacques-Alain Miller ha accolto questo invito alla conferenza: “Lacan e l’insegnamento della psicoanalisi”. Miller è il curatore delle pubblicazioni dei seminari di J. Lacan ed è stato direttore editoriale della rivista “Ornicar?”. Dopo lo scioglimento dell’École freudienne, voluta da Lacan nel gennaio 1980, è ora segretario generale dell’ École de la Cause freudienne, la nuova formazione riunitasi attorno a Lacan. Dopo l’appuntamento di Torino nel novembre dello scorso anno, in cui J.-A. Miller ed Eric Laurent hanno dato una testimonianza interessante intorno alla situazione della psicoanalisi, eccoci a questo nuovo appuntamento in cui il nodo si stringe su qualcosa di molto importante: l’insegnamento della psicoanalisi. Credo sia il nodo che nella storia del movimento psicoanalitico ha provocato una serie di questioni e sta provocandone anche attualmente e su questo lascio la parola a J.-A. Miller. di Caroline Eliacheff, psichiatra, psicoterapeuta Il quinto manuale diagnostico delle malattie psichiatriche, il famoso DSM, pubblicato in maggio, costerà all'Associazione di psichiatria americana la modica cifra di... venticinque milioni di dollari! Chi denuncia questo "sperpero colossale"? Lo psichiatra americano Allen Frances, curatore della versione precedente. Il pasticcio non è solo finanziario. Allen Frances ha il merito di riconoscere gli errori del passato, allo scopo, scrive, di salvare la psichiatria e soprattutto la normalità, minacciata da chi vuole convincerci che siamo tutti malati. Secondo Allen Frances, chi lo ha concepito, tra i quali lui, non aveva tutti i torti: si è voluto sviluppare uno strumento utile come riferimento per la ricerca che, vittima del proprio successo, ha sostituito la conoscenza clinica. La conseguenza più disastrosa è l’inflazione diagnostica. Allen Frances riconosce di aver fallito nel prevedere tre false epidemie nei bambini: l’autismo, l’iperattività e le patologie bipolari, con gli errori e le prescrizioni di farmaci che le accompagnano. Non è tenero con le aziende farmaceutiche che paragona ai cartelli della droga, giacché gli antipsicotici legalmente commercializzati sono diventati più pericolosi, in termini di salute pubblica, dei prodotti venduti dai trafficanti. La sola cosa che Allen Frances non riconosce, pur essendo provata, è che la maggior parte di quanti hanno concepito il manuale intrattiene rapporti finanziari con le case farmaceutiche. Non c’è critico più severo di lui per quanto riguarda il DSM5: "Il DSM5 è il risultato di un'ambizione smisurata, di una realizzazione scadente, e di un processo di elaborazione chiuso. Rischia di trasformare un’inflazione diagnostica già dilagante in iperinflazione, di svuotare di ogni valore la diagnosi psichiatrica e di provocare una nuova ondata di false epidemie". Possiamo quindi aspettarci che il "disturbo dell’umore" trasformi in disturbo mentale le normali espulsioni di collera della vita quotidiana. Per garantire una supposta migliore prevenzione della malattia di Alzheimer, prevenzione che non siamo in grado di fare, si inventa un "disturbo neurocognitivo minore" che tocca la maggior parte delle persone che invecchiano bene, e che può destare in loro solo preoccupazione. Con una crisi bulimia la settimana per tre mesi un normale ghiottone diventa affetto da " iperfagia bulimica ". Malgrado un’unanime levata di scudi, il DSM5 ha esteso la diagnosi di depressione maggiore alle persone in lutto sin dalle prime settimane. Vuol dire per una gran numero di persone. Per quanto riguarda la scoperta della "dipendenza comportamentale", consiste nell’estendere la dipendenza da un prodotto a tutto il nostro comportamento, appena sia un po’ compulsivo, da internet, al sesso o al cioccolato. La buona notizia è che la "sindrome di rischio di psicotico " è stata respinta. Anche se, in realtà, non del tutto: ora c'è una "sindrome con sintomi psicotici attenuati" che rischia di causare un disastro nella la salute pubblica per via di coloro che saranno diagnosticati come psicotici senza mai diventarlo. È giunto il momento di ricordare che non far danni è la principale qualità di uno psichiatra. Allen Frances. Saving normal, HarperCollins Publishers Fonte: Huffington Post, 06. 11. 2013 di Elisabeth Roudinesco Nata il 26 novembre 1940, Sibylle Lacan, seconda figlia dal primo matrimonio di Jacques Lacan con Marie Louise Blondin (1906-1983), è morta nella sua casa di Parigi la notte tra il 7 e l’8 novembre 2013. Traduttrice dallo spagnolo, l’inglese e il russo, aveva pubblicato nel 1994 Un padre (Gallimard), libro tradotto in quindici lingue, dove ha raccontato con emozione, con talento e con tenerezza, il complesso rapporto che la legava a suo padre: "Quando sono nata, mio padre non c'era già più. Potrei anche dire che, quando sono stata concepita, mio padre non viveva già più con mia madre. All'origine della mia nascita c’è un incontro tra marito e moglie in campagna, quando tutto era già finito. Sono il frutto della disperazione. Alcuni potrebbero dire del desiderio, ma io non penso sia così." Essere la figlia della disperazione non ha impedito a Sibylle di amare appassionatamente per tutta la vita. Tutti coloro che l’hanno conosciuta, nel quartiere di Montparnasse che tanto amava – tra il Select, per il tè, e la Closerie des Lilas per le serate – ricorderà a lungo la generosa intransigenza che ha condiviso con quello che è sempre stato il suo compagno: Christian Valas. A lui ha consegnato questa lettera datata 7 gennaio 2013: "Se mi uccido, voglio che le circostanze della mia morte non siano in nessun modo nascoste (stampa, amici, ecc.) Questa richiesta deve essere considerata parte delle mie ultime volontà". Il suo modo di parlare lento – con la voce di suo padre e l’atteggiamento del volto che evocava sua madre – mostrava come ogni parola assumesse per lei il significato di un imperativo categorico. Sibylle Lacan voleva sempre sapere tutto, capire tutto, spiegare tutto e per lei, la lingua, il linguaggio e la parola prevalevano su ogni altra forma di espressione. Conosceva perfettamente la comunità psicoanalitica. Per due volte ha fatto un’esperienza d’analisi sul divano di due allievi di suo padre, ed era abitata da un lavoro della memoria che non tollerava nessun compromesso. Per lei e con lei, dire il vero, riesumare la verità era un obbligo quasi ontologico. Di se stessa le piaceva solo una fotografia della sua infanzia, quella che ha sempre scelto e che le ricordava come fosse la figlia di suo padre, e anche di sua madre, e che avrebbe voluto tenerli uniti per l'eternità. Per questo, nel suo secondo libro, Points de suspension (Gallimard, 2000), dedicato a sua madre e composto come un puzzle, ha parlato solo della sua infanzia, delle persone che amava, dei luoghi, degli oggetti. In breve, dei frammenti di una vita ricostruita con felicità. Come ha sottolineato Jean Ristat, questo libro mostra una scrittura divenuta uno strumento contro una morte vendicativa. Dopo aver riconquistato se stessa, Sibylle guardava il mondo con amore: "Sono cresciuta all'ombra dei gladioli" diceva, e s’impregnava del tempo ritrovato, al di là di una vita spezzata. Fonte: Le monde 09. 11. 2013 L'idea di base della ricerca pubblicata questa settimana sulla rivista Psychological Science è che le asimmetrie o le mancanze di proporzione del nostro volto tendono alla media se osservate in un gruppo di volti, e le stranezze del nostro viso sono percepite un po’ meno strane. Sembra suggerire che la bellezza si annida nelle pieghe del conformismo. Se mancassero conferme sulla non neutralità della ricerca scientifica!
di James Hamblin Drew Walker ed Edward Vul dell’Università di San Diego, in California, hanno realizzato cinque esperimenti per valutare quanto risultino attraenti le persone nelle foto. Alcuni volti erano raffigurati da soli, altri in gruppo. A volte i gruppi erano realizzati in realtà da collage di singole persone. In ogni verifica, sia per gli uomini sia per le le donne, le persone ritratte in gruppo sono risultate più attraenti. Walker ha spiegato così i motivi: " I volti nella media sono più attraenti, probabilmente perché portano nella media anche le idiosincrasie poco attraenti. " I docenti di San Diego hanno battezzato "effetto cheerleader “ questo risultato. L'effetto cheerleader è entrato nell’Urban Dictionary per la prima volta nel 2008, dove viene definito con alcuni esempi: " Nel suo insieme la squadra delle cheerleader, le ragazze pon pon, sembra interessante, anche se a ben guardare, individualmente ciascuna è piuttosto bruttina. Un altro esempio di questo effetto eteronormativo potrebbe essere quello delle Spice Girls, o ancora il gruppo di donne che danzano in cerchio in discoteca, o il tipo di situazione in cui visti insieme in una stessa stanza alcuni uomini sembrano interessanti, mentre presi isolatamente sono in realtà piuttosto slavati L'effetto cheerleader sembra essere familiare agli spettatori del popolare show televisivo How I Met Your Mother, giacché vi è stato introdotto nel settimo episodio della quarta stagione. Il personaggio di Neil Patrick Harris, seduto al banco di un bar, poco impressionato dalla vivacità della serata, si riferisce a un gruppo di donne lì presenti definendolo “attraente nel suo insieme, ma se le donne sono prese una per una sono poco più che scorfani". Passando dalla mera osservazione al postulato scientifico, Walker e Vul dicono che l' effetto è dovuto al "fatto che il sistema visivo rappresenta gli oggetti come un insieme. I singoli oggetti sono quindi polarizzati verso la media dell’insieme, e i volti medi sono percepiti come più attraenti di quelli presi singolarmente. Questo fa sì che i volti, visti in gruppo, appaiono più vicini alla media che presi da soli. La media del gruppo tenderebbe di conseguenza a risultare più attraente rispetto alla media delle singole facce. È interessante però che l'effetto non dipenda dal numero di facce presenti del gruppo. Un gruppo funziona qualunque sia la sua dimensione. "Avere alcuni accompagnatori, "concludono Walker e Vul nel loro articolo” può in effetti essere una buona strategia per gli incontri, in particolare se il viso degli accompagnatori è complementare e fa media con le proprie particolarità meno attraenti. Forse! Naturalmente però funziona solo se è una cosa fortuita, e non se si sta consapevolmente coltivando un gruppo di amici per mitigare le proprie insicurezze fisiche. Il lato positivo di questa idea è che potrebbe darci un ulteriore motivo per socializzare e viaggiare in compagnia. Per tutti le relazioni hanno un effetto benefico sulla salute, e il tempo trascorso a socializzare offline è correlato con la qualità della vita. Forse in effetti sembriamo più attraenti tra un po’ di amici, non solo per via delle strutture ossee complementari, ma soprattutto perché siamo più felici. Fonte: The Atlantic, 4. 11. 2013 |
Marco Focchi riceve in
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