Ram Avraham Mandil C'è un passaggio nel Seminario XXIII, Il sintomo, in cui Lacan si riferisce al corpo del parlêtre come a un corpo che costantemente “si leva dai piedi”. Se si riesce a riconoscere una dimensione del corpo che "non evapora," il corpo parlante è tuttavia un corpo segnato dall’inconsistenza. Clinicamente sappiamo che questa inconsistenza può assumere la forma del corpo che è “lasciato cadere", di cui si parla nelle storie di Schreber, in alcuni passaggi dell’Uomo dei lupi e in alcuni tratti dell’opera di James Joyce. Se il parlêtre è qualcuno che ha bisogno di dare consistenza - "consistenza mentale", dice Lacan - al proprio corpo, di che ordine è questa consistenza? Nella discussione al X Congresso della AMP, Jacques-Alain Miller traccia i contorni di questo problema, che possono essere trovati dalle meditazioni cartesiane sul "corpo dell’io penso”, fino alle considerazioni filosofiche, e anche teologiche, su “le forme di unione di anima e corpo”. Occorre aggiungere che la psicologia stessa è presentata da Lacan come non altro che "l'immagine confusa che abbiamo del nostro corpo.”
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di Miquel Bassols Fino alla metà del secolo scorso, la figura della vittima non meritava di essere studiata di per sé, essendo stato relegata in secondo piano dal discorso giuridico, a favore della figura del delinquente o del crimine. Hans von Hentig, criminologo tedesco emigrato negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale e uno dei creatori della vittimologia, fu il primo a proporre un metodo clinico nella formazione giuridica per studiare la vittima come un nuovo oggetto. L'altro co-fondatore della disciplina, Benjamin Mendelsohn, seguendo lo stesso approccio interazionista, pose il nuovo oggetto-vittima in una curiosa scala in base al coinvolgimento avuto nell'originare l'evento traumatico. Questo ha dato inizio a una tassonomia delle diverse figure della vittima, che ha preso sempre più rilievo nel discorso giuridico e sociale. È interessante notare che già in queste prime classificazioni appaia come primo elemento distintivo la resistenza o la cooperazione della vittima nelle diverse fasi dell’evento subìto. Da vittima totalmente innocente – curiosamente definita "vittima ideale" – fino alla vittima simulatrice, in base ai diversi gradi di coinvolgimento. |
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