Elisabetta Corrà – free lance per La Stampa – TuttoGreen Qualche mese fa il noto magazine di informazione ambientale Mongabay ha pubblicato una inchiesta ( A rich person’s profession? Young conservationists struggle to make it) sulla disoccupazione, sconcertante, dei laureati in ecologia, biologia e conservazione delle specie (habitat compresi) nei Paesi anglosassoni. Nonostante il declino della biodiversità globale assomigli sempre più ad un collasso di ecosistemi e intere famiglie animali (un processo noto come “defaunazione”), la conservazione non è un settore economico in grado di assorbire quote decenti di professionisti altamente qualificati, che spesso si sono autofinanziati anni di praticantato come volontari per Ong in nazioni tropicali o in via di sviluppo. La stessa cosa sta succedendo da anni al giornalismo ambientale nel nostro Paese, una condizione che si è fatalmente sposata con il crollo del giornalismo d’inchiesta, degli introiti pubblicitari e infine della carta stampata. Oggi, un giornalista che voglia raccontare, poniamo, lo stato reale dei parchi nazionali in Africa deve poter disporre di risorse economiche proprie, esattamente come un imprenditore titolare di una azienda vincolato al credito bancario per riuscire a piazzare il suo prodotto sul mercato. Se in Italia ( Rapporto Caritas sulla povertà ed esclusione sociale 2017, Futuro Anteriore) 1 giovane su 10 (fascia di età 18-34) è un povero assoluto, i giornalisti sono una categoria professionale in miseria conclamata. Il 65% degli iscritti all’Ordine è o precario o disoccupato e 8 giornalisti su 10 hanno un reddito sotto la soglia di povertà (circa 10mila euro lordi su base annua, i dati sono stati pubblicati su Prima Comunicazione). Se ne parla pochissimo, ma i reporter ambientali non sono semplici cronisti: assolvono ad un diritto civile, collettivo, e cioè essere informati sulla progressiva erosione delle condizioni biologiche, chimiche e fisiche che rendono possibile la nostra vita sul Pianeta. Lo devono fare in modo indipendente da interessi commerciali e conflitti di interesse, ma il giornalismo serio è minato alla radice dalla carenza di fondi. Per questo, insieme al fotografo Davide Cisterna, abbiamo deciso di affidarci al crowfunding (https://www.produzionidalbasso.com/project/tracking-extinction-lions-kgalagadi-wilderness/) per finanziare la nostra spedizione nel Kgalagadi National Park la prossima estate (luglio 2018). Come giornalista esperta di estinzione, il Kgalagadi è un posto dalle caratteristiche geografiche, faunistiche ed ecologiche cruciali per capire la traiettoria lungo cui è ormai indirizzata la gestione degli spazi selvaggi in Africa. E in particolar modo il destino del leone, una specie considerata invincibile nell’immaginario collettivo ma che rischia di scomparire entro 2-3 decenni.
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Jacques-Alain Miller Conferenza tenuta a Torino il 27 maggio 2017, nell'ambito del Congresso nazionale della Scuola lacaniana di psicoanalisi. C'è un verso di Mallarmé che posso legittimamente citare cominciando il mio elogio degli eretici. È il seguente: “Vi porto il frutto di una notte d’Idumea “.(1) Quel che sto per dirvi l'ho pensato e scritto questa notte affinché fosse tradotto in italiano da Michelle e Antonio Di Ciaccia, miei cari amici. Ho annunciato la creazione di una rivista online che si chiama “Heretics”. Ho detto che sarebbe stata al contempo lacaniana e non dogmatica, che sarebbe stata una specie di conversazione infinita per orientarsi nel mondo, il mondo che non può più essere pensato come armonioso, come un cosmo, costituito dalla corrispondenza perfetta tra microcosmo e macrocosmo, ma come un mondo eroso dalla distruzione e dall'aumento vertiginoso dei deportati, esiliati dalla marea crescente dei rifiuti, un mondo che è im-mondo, come diceva Lacan. |
Marco Focchi riceve in
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Novembre 2024
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