Jacques-Alain Miller Conferenza tenuta a Torino il 27 maggio 2017, nell'ambito del Congresso nazionale della Scuola lacaniana di psicoanalisi. C'è un verso di Mallarmé che posso legittimamente citare cominciando il mio elogio degli eretici. È il seguente: “Vi porto il frutto di una notte d’Idumea “.(1) Quel che sto per dirvi l'ho pensato e scritto questa notte affinché fosse tradotto in italiano da Michelle e Antonio Di Ciaccia, miei cari amici. Ho annunciato la creazione di una rivista online che si chiama “Heretics”. Ho detto che sarebbe stata al contempo lacaniana e non dogmatica, che sarebbe stata una specie di conversazione infinita per orientarsi nel mondo, il mondo che non può più essere pensato come armonioso, come un cosmo, costituito dalla corrispondenza perfetta tra microcosmo e macrocosmo, ma come un mondo eroso dalla distruzione e dall'aumento vertiginoso dei deportati, esiliati dalla marea crescente dei rifiuti, un mondo che è im-mondo, come diceva Lacan. La parola “eretico”, per un pubblico di intenditori, di persone al corrente, ha subito avuto un'eco, tanto più che avevo segnalato e commentato questo passo sempre richiamando le prime pagine del Seminario XXIII, “Il Sinthomo”, in cui Lacan si affianca a James Joyce e definisce entrambi eretici. Credo di aver già commentato questo passo nel mio ultimo corso del 2011, non lo riprendo.
Joyce è eretico rispetto a S. Tommaso d'Aquino: al sinthome madaquin dell'ortodossia ecclesiale della Chiesa trionfante come potenza teologico-politica, Joyce oppone la sua particolarità di irlandese che desidera l'indipendenza. È un altro sintomo, il sint’home rule (2). Joyce è altrettanto eretico nella sua arte: si distacca da tutti i canoni dello stile neoclassico. L'Ulisse, quando nel 1922 esce in volume per la prima volta in inglese a Parigi – per via dell'isolamento subìto in tutti i paesi di lingua inglese – viene pubblicato dalla libreria Shakespeare & Company di Sylvia Beach. È in rotta con tutti i canoni dell'estetica neoclassica, prevalente allora in Francia, sotto l'influenza di Anatole France, di André Gide e di Paul Valery. La prima traduzione francese tuttavia, apparsa nel 1924, fu completamente rivista da Joyce e da Valery Larbaud, uno degli autori che collocherei tra i neoclassici. I colleghi del Campo Freudiano mi hanno capito immediatamente. Gli articoli sull’eresia hanno cominciato a moltiplicarsi. Eric Laurent mi ha ricordato di aver pubblicato un “Lacan hérétique”. Jean Claude Milner, compagno di strada esigente, ha immediatamente accettato di partecipare all'impresa della rivista con un testo originale, ecc. Mi arrivano contributi, osservazioni, incoraggiamenti da ogni parte. Questa accoglienza entusiasta, magnifica, mostra che ho toccato una corda sensibile proponendo questo termine “Heretics”, e mi ha permesso di dispensarmi dal darne una definizione astratta. La contingenza ha fatto sì che noi invece, in Francia, abbiamo dato un esempio concreto celebrando tre giorni fa, mercoledì 24 maggio, una donna politica francese spesso designata attraverso le sole iniziali, NKM. Ho detto che nessuno nella politica francese rappresentava in modo migliore lo spirito dei Lumi, dato che si è sempre assunta tutti i rischi per difendere il suo diritto di pensare autonomamente, foss’anche contro i membri della sua cosiddetta “famiglia politica", come si dice ora in Francia. Recentemente non ha esitato a opporsi all'ex presidente della repubblica Nicolas Sarkozy, di cui era stata portavoce durante la sfortunata campagna del 2012, giacché nel 2016 Sarkozy ha orientato la propria campagna in direzione contraria a quanto da lei auspicato, una direzione che per certe posizioni avvicinava Sarkozy a Marine Le Pen. Su questa lunghezza d'onda aveva scritto qualche anno fa, prima e unica nel suo campo, un libro in cui dichiarava la sua totale ostilità al Front National di Marine Le Pen, cosa che le è costata l’isolamento da parte dei membri del suo stesso partito. Meriterebbe sicuramente di figurare tra i Profiles in Courage alla francese. È questo il titolo del libro di un giovane John Kennedy, che raccoglie i ritratti di diversi grandi parlamentari americani pronunciatisi contro il loro partito per difendere una verità a loro cara: una bella rassegna di politici eretici. Ho utilizzato termine “eretico” per Nathalie Kosciusko-Morizet. Ho addirittura detto che vedevo in lei una incarnazione quasi perfetta dell'Eretico in politica. In suo onore ho scritto Eretico con la maiuscola. In realtà non esiste l'Eretico con la maiuscola, l'Eretico per eccellenza. Ci sono solo eretici, al plurale. Non c'è idea platonica, non c'è essenza dell'eretico. Il “concetto” di eretico – metto il termine “concetto” tra virgolette – è sostenuto dalla logica che Lacan definisce del non-tutto. La rivista si chiamerà quindi ”Heretics”, con la s. Se adesso sviluppiamo il concetto di eretico, appare che esiste sì l'Eretico con la maiuscola, al singolare, con l'articolo determinativo che indica la sua natura essenziale. Dico quindi il contrario: primo momento: l'Eretico con la maiuscola non esiste. Secondo momento: esiste, ma è allora in quel momento che l'eretico diventa eresiarca, il capo di una setta eretica. È stato il caso di Ario, di Mani, di Montano e di Lutero, solo alcuni nomi fra molti. Con l'avvento dell'eresiarca, inizia la dialettica infernale che trasforma l'ex eretico in nuovo dogmatico, che trasforma l’ex-eresia in nuovo dogma, e lo scomunicato diventa a sua volta inquisitore, scomunicatore. È il ritorno alla logica in cui il “per ogni” è corrispettivo di una eccezione: il discorso del padrone riprende qui in mano il timone. Noi crediamo, noi vogliamo – noi psicoanalisti lacaniani, allievi di Lacan – essere degli eretici. Ne rendono testimonianza tutte le risposte che ho ricevuto dopo aver annunciato la rivista “Heretics”. In effetti noi siamo discepoli di un analista che fu scomunicato dai suoi pari. Il termine “scomunica”, da lui scelto per chiarificare il divieto che gli fu fatto di continuare a formare analisti, traduceva la sua interpretazione del desiderio di Freud. Freud ha voluto, ha pensato che fosse necessario nel suo tempo stabilire un'ortodossia nella psicoanalisi in intensione, e stabilire un'ortoprassia della psicoanalisi in estensione. Ha legato insomma la psicoanalisi a una Chiesa internazionale incaricata di dire il vero sul vero, autorizzata a sostenere l'esercizio impossibile del potere, a partire dalla posizione di un metalinguaggio, con tutte le conseguenze prevedibili di una tale scelta: inquisizione, intolleranza, caccia alle eresie, esclusione. Quando la lama cadde su Lacan, e la sua testa, che era stata la posta in gioco delle negoziazioni tra fazioni, rotolò dal patibolo, testimone tutto il popolo analitico, Lacan morì. Voglio dire, morì il Lacan membro docile dell'IPA, il Lacan amichevole, colui che era stato a tutti i Congressi dell'Internazionale, il fedele lettore dell'International Journal e commentatore acuto dei suoi principali autori. Dato che era stato condannato come eretico, decise di rinascere come eresiarca. Mise il suo nome accanto a quello di Freud, cominciò a parlare di se stesso alla terza persona singolare, come Giulio Cesare, e creò la propria Scuola. Ma voleva anche sottolineare che non a una dissidenza il Lacan 2 dedicava ormai tutti i suoi sforzi. Al contrario, si presentò al mondo come promotore di un ritorno a Freud. Lacan si era impegnato a dimostrare, anno dopo anno, a che punto gli analisti membri dell'IPA si discostavano dalla direzione data da Freud alla psicoanalisi. Sono loro che egli dichiara eretici, e si presenta come il successore legittimo di Freud a titolo di guida della psicoanalisi. Lutero, alla sua epoca, aveva agito allo stesso modo. Ma ha agito così, sul piano politico, anche De Gaulle, condannato a morte dal governo di Vichy, De Gaulle che proclamava come la Francia, l'idea della Francia libera, non avesse cessato di essergli vicino nelle ore oscure in cui il nemico occupava il Paese. Lacan aveva anche lui come scopo la riconquista del campo freudiano occupato dalle forze dell'eresiarca IPA. Ho già esposto in Spagna, nella città di Granada, il senso forte che occorreva dare alla riconquista promessa. È il senso della Reconquista, in spagnolo, evocata da Louis Aragon in “Le Fou d'Elsa”, pubblicato nel 1963, cui Lacan fa riferimento nel Seminario XI. Lacan ha fatto tanto affinché il suo insegnamento non desse luogo ad alcuna ortodossia. Non ha distribuito anelli ai suoi supposti fedeli, e ha fatto bene, perché tutti lo hanno abbandonato al momento della dissoluzione dell’Ercole freudienne di Parigi nel 1980. Ha lasciato che i pensieri di ciascuno si sviluppassero liberamente, in primo luogo il suo. Non ha mai fissato il suo insegnamento in una forma definitiva, dicendo che continuava a tracciare una via propria, e meravigliandosi di essere seguito. Ha scelto me per stabilire il testo del suo seminario, innanzitutto perché mi sono scelto io stesso. Non mi sono mai avvalso di questo fatto per pretendere di dire il vero sul vero, per quanto riguarda il pensiero di Lacan. Io stesso mi sono lanciato nella pratica di un corso annuale durato più di trent'anni, che è pubblicato solo in spagnolo, a Buenos Aires, perché là numerosi colleghi mi hanno testimoniato il loro desiderio e la loro competenza. Sì, Lacan è stato perfetto da questo punto di vista: scappare dall'ortodossia. E anch’io non sono male! Ciò tuttavia non impedisce alla dialettica che fa dell'eretico il nuovo dogmatico di generare altra prole. A Lacan è stata rimproverata l'autorità che aveva sulla sua Scuola, e per quanto le mie azioni provino la mia intenzione di proteggere dappertutto nel Campo Freudiano le minoranze – che si tratti di gruppi o di individualità originali – per le quali provo un'autentica tenerezza, c'è sempre qualcuno pronto a rimproverarmi. È ovvio che un insieme vasto come il Campo Freudiano non potrebbe esistere senza istituzioni per sostenerlo. Chi dice istituzioni dice liste di membri, ammissioni, commissioni, statuti, regolamenti, votazioni, ecc. Da questi fattori tutti i giorni sorge, si nutre e si accresce un livello burocratico. Questo fenomeno è attenuato, limitato, incapsulato dalla rotazione che Lacan aveva introdotto a livello dei cartelli, e di cui ho fatto la regola delle Scuole. Ma non si può far ruotare il transfert. Paola Bolgiani di Torino è la Presidente della SLP. Ma a Torino l'autorità psicoanalitica è mantenuta dalla mia cara Rosa Elena Manzetti, e a ragion veduta, perché ha sostenuto e guidato i suoi analizzanti fino a fare di Torino uno dei quattro luoghi principali della Scuola in Italia. Avviene nello stesso modo con Antonio di Ciaccia a Roma, con Marco Focchi a Milano, con la coppia Paola Francesconi e Maurizio Mazzotti a Bologna. Nessuno conti su di me per oppormi a loro, piuttosto solo per ricordar loro, quando è necessario, che la protezione della minoranza è il criterio della democrazia, quanto e forse più che non il governo tramite la maggioranza. La Moravia Il Campo freudiano non è un’Impero, ma ha la stessa proprietà che per esempio aveva l’Impero Autro-ungarico a suo tempo. Esso permetteva ai suoi sui sudditi, situati nelle zone più remote d’Europa, di essere in contatto con una grande metropoli cosmopolita quale allora era Vienna. Per questo sono potuti apparire sulla scena del mondo figli della lontana Moravia come Freud o Husserl. Sono stato in Moravia con Judith quando abbiamo voluto visitare la casa di Freud, e ci siamo resi conto che anche la casa natale di Edmund Husserl era in Moravia. È affascinante notare che due movimenti così importanti per la storia delle idee, come la psicoanalisi e la fenomenologia, erano nati in Moravia, e che grazie all'Impero sono arrivati a Vienna. Affascina poi il fatto che anche Kurt Gödel sia nato in Moravia. Quando ci ho pensato questa notte, ho guardato Wikipedia e ho trovato una quantità di celebrità provenienti da quelle parti: Gregor Mendel, il padre della genetica; Johan Hasse, il compositore; Alfons Mucha il pittore, molto presente a Parigi; Joseph Schumpeter, l'economista che inventò la distruzione creatrice, anche lui era della Moravia; Ernst Mach, il fisico, psicologo e filosofo che fu importante per Freud; Erich Korngold, il musicista che fondò lo stile sinfonico di Hollywood, e Gustav Mahler, il compositore e direttore d'orchestra che fece con Freud qualche passeggiata psicoanalitica. Nel secolo passato Wikipedia mi indica Kurt Gödel, Milan Kundera, Emil Zatopek e Alfred Brendel il pianista, ma già l'Impero non c'era più. “Eretico, che vuoi?” Ancora una parola sulla dialettica eresia-ortodossia, sulla quale c'è molto da dire. Questa notte sono arrivate due email da Buenos Aires: la prima da Carmen Gonzalez Taboas, che dell’argomento sa qualcosa essendo stata una religiosa per diversi anni; la seconda da Lito Matusevich, che si intitola “Lacanomillerianos pendientes”, dove oppone i lacaniani che si pensano e agiscono come eretici a quelli che vogliono proteggere un'ortodossia lacaniana, che secondo Matusevich non esiste. Vogliono proteggerla in particolare da me, che sarei un eretico in rapporto a Lacan. Carmen denuncia il trionfo della religione, che secondo lei in Argentina sarebbe dappertutto manifesto, in particolare tra i peronisti, ma anche all'Escuela de la Orientacion Lacaniana. Dice: “Si prende e si fissa in modo religioso l'insegnamento di Miller, colui che ci ha orientati, che ha disegnato per noi la piantina della casa, Miller l’infaticabile. Il silenzio obbediente è sempre il trionfo della religione del padre”. Pensa tuttavia che ci siano delle speranze, e che forse è giunta l'ora della salvezza attraverso il sintomo. Cara Carmen, in questo momento non è propriamente il silenzio a regnare nel campo freudiano, è piuttosto il pandemonio. In secondo luogo è dall’idea stessa di salvezza che ci si dovrebbe salvare, nei due sensi che la parola ha in francese: uno è darsela a gambe, fuggire dai significanti della religione. Bisognerebbe cioè smettere di credere che un giorno questa dialettica si possa fermare. Certo ci sarà sempre una dialettica tra eretici e ortodossia. Fuggire dai significanti della religione è difficile, soprattutto per lei, Carmen. Vedo che ci prova sempre. Questi due testi sono adesso da Miquel Bassols a Barcellona e li potrete leggere oggi stesso. Mi preoccupa però vedere che Miquel Bassols è qui a Torino. Saranno quindi pubblicati, speriamo, nel prossimo Lacan Quotidien. Ogni giorno dunque la problematica dell'eresia cresce sempre più, si diffonde nel Campo Freudiano, e secondo me è solo l'inizio. Noi operiamo già ora con un concetto ampliato dell'eretico, un concetto raffinato, che ha conosciuto un Aufhebung, che in qualche modo è sublimato. Posso quindi porre questa difficile questione, e per rispondervi aspetto la collaborazione del Campo Freudiano: “Che cosa vuole un eretico? Eretico, che vuoi?” Quando Lacan ha posto ciò che si attendeva dagli analisti della scuola, gli AE, chiaramente non intendeva farne una classe chiusa, riservata a quelli che avrebbero fatto un’analisi, preferibilmente nella sua Scuola, e che avrebbero attraversato con successo la prova della passe. Evocava con una certa nostalgia l'agitazione intellettuale che aveva presieduto all'entrata in forze del discorso della scienza all'inizio del Grand Siècle, il XVII, dove si incrociavano le persone e le produzioni delle matematiche, della fisica matematica e dell'umanesimo: di Descartes, Huygens, Leibniz, Pascal, Gassendi, Carcavi, Fermat, van Helmont, Roberval, Desargues, Thomas Hobbes, Nicolas Peiresc, intorno a Père Mersenne, creatore nel 1635 dell'Academia Parisiensis, che prefigura l'Accademia fondata da Colbert nel 1666. C'erano due italiani in questa Accademia parigina: Torricelli e Campanella. Lacan diceva: “Ecco delle persone che facevano la passe”, cito a memoria. Lacan ha certamente sognato che l'Ecole Freudienne di Parigi fosse una tale Accademia parigina. Le generazioni che sono cresciute nel Campo Freudiano, e quelle che arrivano adesso, mi sembrano così brillanti, tanto più colte e intelligenti di quelle che ho conosciuto intorno a Lacan, che mi sento in grado di essere il Père Mersenne di una nuova Accademia parigina degli eretici, aperta anche ai non analisti come da sempre Lacan ha voluto. Cosa vuole un eretico? Vuole, come MKM, essere senza pari, staccato da qualsiasi conformismo, ma vuole anche associarsi con altri senza pari, perché per pensare gli occorre conversare e avere scambi con gli altri. Corollario Qui finisce la parte che ho redatto, e lì ci sono tutti i fogli con il piano del seguito. Non li leggerò, non leggerò i miei appunti, voglio dirvi per quale punto voglio passare. Leggerò però qualcosa: c'è quel che ciascuno ha di simile agli altri, l'umanità comune, fondamento dei diritti dell'uomo come animale politico, animale che parla e che non parla da solo, salvo quando è pazzo. È quello che il poeta francese François Villon chiama “I fratelli umani”(3); e c'è anche quello che ciascuno ha di diverso. E voglio riprendere la massima del senso comune secondo Kant: pensare da sé, pensare mettendosi al posto di ciascun altro, pensare sempre in accordo con se stessi. Evidentemente per noi è problematico il terzo di questi principi. Ci può essere una similitudine del soggetto con se stesso? Senz’altro no, se il soggetto è diviso. C'è però nello stesso tempo l'esigenza logica di non fare un discorso contraddittorio. Vorrei quindi sviluppare il modo in cui questi due punti di vista possono accordarsi. Vengo allora alla problematica di quello che Kant chiamava “il giudizio di gusto”, dove per l’appunto non ci sono criteri oggettivi della verità, e dove ciascuno postula l’assenso di tutti senza esserne sicuro. Kant non dice “postula” ma “presuppone” o “invoca”. È il motivo per cui mi piace molto l'espressione di Philippe Sollers “la guerra del gusto”, perché in effetti non c'è pace nel gusto. Ognuno deve scegliere la propria via nell’estetica. All'epoca di Kant si poteva ancora credere che tutti potenzialmente condividessero la stessa estetica, ma oggi sappiamo che non è possibile, che gli artisti sono degli eretici, e scelgono una via particolare. Salto un passaggio sull'universalità del valore comune. Sulla guerra del gusto volevo evocare la guerra degli antichi e dei moderni del XVII Secolo, proprio nel momento dell'entrata in scena del discorso della scienza. Avrei anche evocato le guerre del gusto antiche, nella retorica e nei diversi stili. Per esempio, Luciano esercitava lo stile neo-attico, che era diverso da quello di Seneca e di Cicerone. Si vede bene allora come la scelta sia la risorsa essenziale dell'eresia, come dice Lacan. Non c'è una via universale da cui prendere la verità, come invece accade in matematica. Ciascuno deve scegliere la via da cui prendere la verità, e questa via non è universale, non è definita essenzialmente dalla miscredenza né dalla devianza ma, in senso proprio, dalla scelta. Possiamo qui modificare il secondo principio di Kant. Kant dice: “Pensare mettendosi al posto di chiunque altro”, come se il posto di chiunque altro fosse costituito e il soggetto dovesse conformarsi a questo posto. Invece modificherò il principio di Kant, dicendo che consiste nel mettere chiunque altro al suo posto di soggetto. Qui introduco Simone Weil, che considerava diritto imprescindibile del soggetto il fatto di giudicare secondo il proprio lume interiore. Avevo uno sviluppo su questo concetto di lume interiore. Simone Weil considera che un partito politico sia per eccellenza la macchina che distrugge il lume interiore, perché obbliga a seguire la linea del partito. Volevo anche riferirmi a un'opera poco nota di Cartesio, un dialogo filosofico incompiuto scritto in giovinezza: "La ricerca della verità attraverso la luce naturale”(4); che risponde bene alla frase dove Lacan invita a cercare la verità attraverso una via propria. Per questo lo spirito dei Lumi, che ha le proprie radici in Cartesio e che fiorisce con Kant, è l’opposto di ogni tutoraggio dell’umanità, soprattutto di quello che la Chiesa ha sempre preteso di esercitare. La Chiesa è la saggezza, e pensa di avere la vocazione a essere il tutore dell'umanità. È una nobile missione, ma presuppone che l’umanità sia mantenuta nello stato infantile. Vorrei ricordare le istruzioni di Bossuet al Delfino, in cui spiegava che l'intolleranza civile è legittima, e d'altronde diceva che Lutero non aveva lui stesso esitato a essere intollerante. Vorrei rispondere a Bossuet con Diderot e poi con D'Alembert, citare Sollers su Voltaire, sul coraggio di Voltaire, e anche sul Voltaire che abbiamo avuto nel XX secolo, quel Voltaire discreto che era Roland Barthes. Ma Roland Barthes era sempre un po’ ritirato, mentre Voltaire si è sempre proiettato in avanti, e per questo si è potuto credere che Barthes fosse scettico. Volevo parlare dell'affinità della posizione dell'analista con quella dello scettico, perché si può dire che l’analista, nella sua pratica, sia nella stessa posizione dello scettico: sospende il giudizio. Volevo evocare i dieci modi di sospensione del giudizio negli scettici, per vedere se vi si trova quello che riguarda l'analista. Le difficoltà comunque iniziano quando l'analista vuole continuare a sospendere il giudizio nelle questioni politiche, che vuol dire continuare a non scegliere. Nella crisi attuale del Campo Freudiano abbiamo visto, soprattutto nel rapporto con l'Argentina, qualcuno proporre la teoria del non scegliere come fosse il punto culminante della posizione analitica, mentre è solo una teoria del doppio gioco. Non scegliere vuol dire non essere eretici. Quelli che non scelgono sono sempre i conservatori, gli ortodossi, i dogmatici, che non hanno bisogno di scegliere perché hanno il potere. Ne deducevo il mio principio personale: nel discorso analitico preferire sempre coloro che scelgono, anche quando non scelgono come me. Li preferisco a coloro che non scelgono. Non ho portato tutti i libri che restano ancora nella mia stanza d’albergo. Ho portato le fotocopie. Volevo parlare dell'analisi di Merleau-Ponty del cattolicesimo, e delle osservazioni sul cattolicesimo di Ernest Renan. Del resto non ho neanche avuto il tempo di fare la lista: passava per gli eretici in Dante, per non citare che questo. Terminerò con due citazioni. La prima è molto nota, sono due versi di Paul Valery: “Oh ricompensa dopo un pensiero / un lungo sguardo sulla calma degli dei”(5). Sono i due versi scritti sulla tomba di Paul Valery, ed è vero che, quando si è nella tomba, si ha diritto alla calma degli dei. Volevo sostituire il secondo verso con una parola, dato che sono vivo: “Oh ricompensa dopo un pensiero / l'azione”. In secondo luogo, per questa conferenza ho riletto alcuni testi di Walter Benjamin, e sono capitato su due pagine che non conoscevo e non avevo ancora letto, due pagine – che non sono di elogio, ma che non sono neppure una diatriba – dove descrive quel che chiama il carattere distruttivo, un uomo dal carattere distruttivo, e mi sono riconosciuto in qualche frase. Leggerò queste frasi per terminare: “Il carattere distruttivo non vede niente di durevole.” In fondo non credo sia così, credo semplicemente che niente sia eterno. “Ma proprio per questo vede dappertutto delle vie. Dove gli altri sbattono contro muri o montagne, lui vede ancora una via. Poiché dappertutto vede vie, egli stesso sta sempre a un incrocio. Nessun attimo può sapere ciò che il prossimo reca con sé. L'esistente lui lo manda in rovina non per amore delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso.” (6) Grazie. 1) S. Mallarmé, Don du poème “Je t'apporte l'enfant d'une nuit d'Idumée !” 2) Irish Home Rule movement, movimento che si batteva per l’autogoverno irlandese 3) F. Villon, La ballata degli impiccati, da cui Fabrizio De André ha tratto la canzone omonima 4) La recherche de la vérité par la lumière naturelle de René Descartes, Franco Angeli, Milano 2002 5) P. Valery, Le cimetière marin, “Ô récompense après une pensée / Qu’un long regard sur le calme des dieux! 6) W. Benjamin, Il carattere distruttivo, Mimesis, Milano 1999 Trascrizione di Andrea Tringali Revisione di Marco Focchi Testo non riletto dall'autore
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