di Antonio Vicens La vittima è tale solo in relazione a un potere che le sarebbe superiore. La soggettività, quando è vittima, è invasa dall’incalcolabile, e quindi il soggetto sorge nella sua esistenza più determinata. Fuori di sé, la vittima ci mostra che tutti siamo vittime, anche quando lo abbiamo dimenticato. E questa dimenticanza è gravida di conseguenze. La Scuola stoica trovato in questa universalità una condizione comune a tutti gli esseri parlanti, e ne ha sfruttato il filo: l'agente è sempre un padrone; se è così, si può preferire essere prodotto, per sapere di più e per evitare la solitudine. Ma allora il problema è come non sentirsi vittima (che non è lo stesso che essere vittima). Il cristianesimo ha trovato nel peccato originale la causa di questa vittimizzazione universale, e lo ha reso riscattabile dal Figlio dell'Uomo, il sant'uomo che ha reinventato il Padre. L'etica della psicoanalisi potrebbe essere enunciata come il superamento di ogni vittimismo. Ma se è così, non possiamo più continuare a credere nella bontà. La politica del sinthomo consiste, al di là del bene, nell’estrarre la sovranità inscritta in ogni posizione soggettiva. Sovranità del sinthomo, la sua capacità creativa, è incompatibile con il vittimismo. L'ideale della democrazia sarebbe allora quello di una società senza vittime. Secondo la fantasia del contratto sociale e della volontà generale, in una società perfetta nessuno sarebbe vittima, se non della propria esclusione. Ma lo stesso Jean-Jacques Rousseau faceva rientrare dalla finestra la vittima che aveva fatto uscire dalla porta. È quel che ha definito "religione civile", nella quale riconosceva che il senso richiede una vittima, se è vero che ogni religione è legata a un tipo qualunque di sacrificio. Il sacrificio può anche restare fuori, come punto di riferimento necessario per la propria esclusione. Si tratta allora di separare la vittima dal senso di colpa. Se da un lato, non c’è misura possibile per la situazione che crea vittime, dall'altro, il senso di colpa cerca sempre il commercio, l’inclusione in un Altro incaricato del giusto equilibrio nella distribuzione del debito. Il senso di colpa è un velo nero sul reale della condizione di vittima. Tolto questo velo, siamo tutti vittime. L'etica della psicoanalisi è fondata sulla possibilità di costruire su tale stato di vittima una dignità non debitrice di qualsiasi sacrificio.
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Né causalità psico-famigliare né causalità organica. L'atto dello psicoanalista deve vertere sul modo in cui il soggetto psicotico o autistico costruisce una risposta per contrastare il reale incontrato. di Alexandre Stevens Sicuramente la storia famigliare interessa allo psicoanalista. Questa storia, per tuttavia, quanto importante, vela il reale in causa. Lacan fa così notare che troppo spesso un analista si abitua ai termini: "Il padre, la madre, la nascita di un fratello o di una sorella, considera tali termini come primitivi, mentre prendono senso e peso solo grazie al posto in cui s’inseriscono nell’articolazione del sapere, del godimento, e di un certo oggetto "[1]. Alcuni vociferano su psicoanalisti che colpevolizzano i genitori con le interpretazioni che attribuiscono al padre, o in particolare alla madre, la responsabilità di ciò che accade al bambino. È una china presente in alcune correnti psicoanalitiche, che fanno credere a una causalità psicologica famigliare della psicosi o dell'autismo. Non è il nostro modo di vedere le cose. La causalità dei sintomi di un bambino non riguarda questa o quella patologia famigliare o di uno dei suoi genitori, ma si trova dalla falla attraverso cui la nevrosi – e anche la psicosi d’altra parte – si collegano al reale. È quel che chiamiamo "scelta del soggetto." Qualunque sia la difficoltà incontrata – e per alcuni bambini questa difficoltà è stata a volte molto pesante – ciò che conta è come il soggetto vi ha reagito. Questa scelta del soggetto riguarda il modo di reazione al reale che è sorto. Altri invece attribuiscono all’autismo una causalità organica. Noi non aderiamo neppure a questo tipo di causalità, che del resto a tutt'oggi non è affatto dimostrata. Semplicemente, non dobbiamo decidere tra psicogenesi e organogenesi: né l'una né l'altra rendono conto della verità del processo nel senso in cui dovremmo interpretarlo. Quel che conta per noi, e che prevale nella nostra interpretazione, è il reale incontrato dal soggetto e la risposta che a esso ha dato come soggetto. Nel Seminario XI Lacan situa così l'inconscio freudiano: "Tra la causa e ciò che essa tocca, c'è sempre qualcosa che zoppica. La cosa importante non è che l'inconscio determina la nevrosi – su questo Freud ha volentieri il gesto pilatesco di lavarsene le mani. Un giorno o l'altro, si troverà forse qualcosa, alcune determinanti umorali, o qualunque cosa sia, non importa. Poiché l’inconscio ci mostra l’apertura attraverso cui la nevrosi si raccorda con un reale – un reale che può, lui, non essere determinato "[2]. Non si tratta quindi di interpretare i sintomi a partire da una presunta causalità famigliare, ma entrando nel merito dell'economia di godimento di un soggetto. I significanti famigliari fanno parte della storia del soggetto, che si presta a essere interpretata, ma l'atto dell’analista deve andare al di là di questi significanti, in cui il soggetto trova le proprie identificazioni. [1] Lacan J., Le Séminaire, livre XVI, D’un Autre à l’autre, Paris, Seuil, 2006, p. 332. [2] Lacan J., Le Séminaire, livre XI, Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse, Paris, Seuil, 1973, p. 25. di Camilo Ramirez “La psicoanalisi cambia, non è un desiderio, è un dato di fatto, cambia nei nostri studi di analisti, e questo cambiamento, in fondo, è per noi così evidente che il Congresso del 2012 sull'ordine simbolico, come quello di quest’anno sul reale, hanno ciascuno nel titolo la stessa indicazione cronologica: "al XXI secolo." "[1] Va detto che questa dichiarazione di Jacques-Alain Miller è lungi dall’incontrare l’unanimità nel mondo analitico. Non è raro, quando s’interviene presso un pubblico analitico esterno al Campo freudiano, fare una constatazione sorprendente. I colleghi, anche se hanno una pratica consolidata, ribattono, ciascuno con i propri punti di riferimento, "No, non è cambiato nulla, né nella pratica analitica, né sotto il cielo stellato della clinica. No, l'inconscio è eterno e senza tempo, è disconnesso dalla soggettività della nostra epoca”. |
Marco Focchi riceve in
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Novembre 2024
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