![]() Né causalità psico-famigliare né causalità organica. L'atto dello psicoanalista deve vertere sul modo in cui il soggetto psicotico o autistico costruisce una risposta per contrastare il reale incontrato. di Alexandre Stevens Sicuramente la storia famigliare interessa allo psicoanalista. Questa storia, per tuttavia, quanto importante, vela il reale in causa. Lacan fa così notare che troppo spesso un analista si abitua ai termini: "Il padre, la madre, la nascita di un fratello o di una sorella, considera tali termini come primitivi, mentre prendono senso e peso solo grazie al posto in cui s’inseriscono nell’articolazione del sapere, del godimento, e di un certo oggetto "[1]. Alcuni vociferano su psicoanalisti che colpevolizzano i genitori con le interpretazioni che attribuiscono al padre, o in particolare alla madre, la responsabilità di ciò che accade al bambino. È una china presente in alcune correnti psicoanalitiche, che fanno credere a una causalità psicologica famigliare della psicosi o dell'autismo. Non è il nostro modo di vedere le cose. La causalità dei sintomi di un bambino non riguarda questa o quella patologia famigliare o di uno dei suoi genitori, ma si trova dalla falla attraverso cui la nevrosi – e anche la psicosi d’altra parte – si collegano al reale. È quel che chiamiamo "scelta del soggetto." Qualunque sia la difficoltà incontrata – e per alcuni bambini questa difficoltà è stata a volte molto pesante – ciò che conta è come il soggetto vi ha reagito. Questa scelta del soggetto riguarda il modo di reazione al reale che è sorto. Altri invece attribuiscono all’autismo una causalità organica. Noi non aderiamo neppure a questo tipo di causalità, che del resto a tutt'oggi non è affatto dimostrata. Semplicemente, non dobbiamo decidere tra psicogenesi e organogenesi: né l'una né l'altra rendono conto della verità del processo nel senso in cui dovremmo interpretarlo. Quel che conta per noi, e che prevale nella nostra interpretazione, è il reale incontrato dal soggetto e la risposta che a esso ha dato come soggetto. Nel Seminario XI Lacan situa così l'inconscio freudiano: "Tra la causa e ciò che essa tocca, c'è sempre qualcosa che zoppica. La cosa importante non è che l'inconscio determina la nevrosi – su questo Freud ha volentieri il gesto pilatesco di lavarsene le mani. Un giorno o l'altro, si troverà forse qualcosa, alcune determinanti umorali, o qualunque cosa sia, non importa. Poiché l’inconscio ci mostra l’apertura attraverso cui la nevrosi si raccorda con un reale – un reale che può, lui, non essere determinato "[2]. Non si tratta quindi di interpretare i sintomi a partire da una presunta causalità famigliare, ma entrando nel merito dell'economia di godimento di un soggetto. I significanti famigliari fanno parte della storia del soggetto, che si presta a essere interpretata, ma l'atto dell’analista deve andare al di là di questi significanti, in cui il soggetto trova le proprie identificazioni. [1] Lacan J., Le Séminaire, livre XVI, D’un Autre à l’autre, Paris, Seuil, 2006, p. 332. [2] Lacan J., Le Séminaire, livre XI, Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse, Paris, Seuil, 1973, p. 25.
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