![]() Jean-Pierre Deffieux Con il termine frigidità ci si riferisce comunemente all'assenza di piacere e/o di orgasmo per una donna durante i rapporti sessuali. Non usiamo questo termine per il maschile, l'uomo non è frigido, è impotente o eiaculatore precoce. Questa distinzione ha tutto il suo valore: per la donna l'accento è posto sull'assenza di quel che è provato, sentito, per l'uomo l'accento è posto sull'organo e sulla sua potenza. La frigidità è stata una moda, così dice Lacan nel seminario Ancòra: La “cosiddetta frigidità” è una moda che può essere collegata alla controversia degli anni Trenta, “la disputa sul fallo”. Oggi molto meno di moda, la frigidità viene raramente menzionata sul divano dello psicoanalista e nella vita in generale. La teoria analitica non s’interroga più su questa assenza o privazione di godimento. Negli anni Trenta la posizione frigida era intesa come una rivendicazione, una risposta al fatto che lo sviluppo della sessualità femminile si concludesse con il Penisneid, una reazione alla condanna a non avere. Il riconoscimento di una libido femminile e di un organo femminile era una posta in gioco importante nei circoli analitici e intellettuali di allora. Questa disputa è nata almeno in parte, come conseguenza dei contributi di Freud sullo sviluppo dell'Edipo nella bambina.
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![]() Conferenza tenuta il 28 luglio 1987 a Curitiba Jacques-Alain Miller Domande e risposte Grazie per la vostra presenza questa mattina nonostante l'ora e la stanchezza, perché se non foste qui, non ci sarei nemmeno io, né riuscirei a riposare. Ma è la presenza dell'Altro che fa parlare, e per questo la posizione di chi insegna è paragonabile non a quella dell’analista, ma a quella dell'analizzante,. Possiamo anche cancellare quest'ultima parola e pensare alla prossima, come diceva Godino. Vedrò alcuni di quelli che sono qui a Buenos Aires l'anno prossimo in un seminario, che chiameremo brasiliano, in preparazione al tema Etica della psicoanalisi e sue incidenze cliniche. Ricordo di aver scritto qualcosa sull'argomento, anche se non ci avevo pensato prima. Lo rileggerò per ricordare quello che ho detto, perché ora non ce l'ho in mente. Ho potuto comunicare, fino a questo punto, solo una parte di ciò che volevo dire, solo una parte del percorso. Riassumerò alcuni punti, anche a rischio di renderli più difficili. Prima di tutto, voglio rispondere ad alcune domande postemi ieri, pubblicamente o privatamente. Qualcuno di Bahia, qui presente, mi ha chiesto quale sia il principio di metodo per leggere Lacan. Credo di poter ripetere quel che ho cercato di rispondere: per leggere o interpretare Lacan, per elaborare qualcosa, si deve prendere come principio il fatto che una citazione, di per sé, non dice molto. Mi sembra ridicolo quel che spesso succede a Parigi, le lotte di citazioni: "Lacan ha detto ….", "Lacan ha affermato…”. Si può lottare solo per le definizioni. In tal senso mi sembra che, come principio di metodo nella lettura di Lacan, la domanda da porsi sia: cosa intende dire Lacan in quel momento? Perché Lacan, come tutti, non può dire quello che vuole, con la differenza che lui lo sa. Occorre allora interpretare e collocare le citazioni nel contesto, non in funzione di uno studio storico-cronologico dell’opera di Lacan, ma per individuare e tentare di spiegare, o addirittura di costruire quel che vuol dire il testo. Il secondo principio del metodo, dal mio punto di vista, sarebbe quello di non pensare che esista una sola lettura di un tale passaggio o di una tale frase di Lacan, ma che essi possono assumere nuovi significati con il passare del tempo. Lacan dice esplicitamente che i suoi matemi permettono mille e più letture diverse. Questo vale anche per le frasi inserite in un linguaggio più o meno comune. ![]() Conferenza tenuta a Curitiba il 27 luglio 1987 Jacques-Alain Miller A Curitiba c'è un luogo da non perdere. Credo che gli abitanti di Curitiba la conoscano già, ma per me scoprirlo è stata una sorpresa. Per chi non lo ha visto e vorrebbe conoscerlo, questo luogo è la Boca Maldita, una piccola piattaforma in mezzo a una strada pedonale, con una pietra al centro. Chiunque può andarci a protestare e a dire tutto ciò che vuole, senza essere represso. Istituita nel 1956, sembra dimostrare l'innegabile vocazione della città alla psicoanalisi. È, infatti, un luogo peculiare per la città, che permette un altro uso della parola, e invita chiunque a dire la propria verità. Mi piacerebbe davvero che questi seminari fossero come la Boca Maldita, dove ciascuno può dire la verità! Questo luogo è stato creato da un sindaco, evidentemente una persona intelligente, che ha permesso a chiunque di dire la verità, come un giullare, come un buffone. Forse il luogo in sé non è così importante, è una specie di Hyde Park a Curitiba, come quello di Londra. Godino mi dice che non è proprio lo stesso, che non è per l'uso individuale della parola ma per quello collettivo. Sarebbe meglio che Godino dicesse esattamente cos'è Boca Maldita, al di là delle mie fantasie sul luogo. Antonio Godino Cabas: È impossibile dire esattamente cosa sia la Boca Maldita. È solo un luogo in cui chiunque può dire ciò che crede di dover dire. Si parla di politica, di donne, di affari, si formano crocchi di persone. Non c’è qualcuno, con il dito alzato ad annunciare la verità per tutti, ma tutti si incontrano e la parola e i segreti circolano. ![]() Conferenza tenuta a Curitiba il 27 luglio 1987 Jacques-Alain Miller Continueremo a parlare oggi di quel che abbiamo iniziato a dire nella prima conferenza a proposito della struttura dei colloqui preliminari. Domande, osservazioni, note e contributi saranno ben accetti, prendiamoci tempo per per dialogare con la massima libertà. L'argomento riguarda quel che succede sulla soglia dell'analisi, sul limite, sul confine a partire dal quale siamo nel discorso analitico. Da tempo sto riflettendo sulla questione dell’entrata in analisi dal punto di vista dell'analista, e la riprendo ora per rispondere all'interesse manifestatosi in diversi lavori brasiliani sulla rettifica soggettiva, termine usato da Lacan nel suo articolo La direzione della cura. Mi serve anche per cominciare a sviluppare le linee di un trattato sul metodo analitico. Possiamo dire che l'analisi non è solo un metodo. Considerando però l’esperienza psicoanalitica dal punto di vista del supervisore, sicuramente c'è in gioco un aspetto che riguarda il metodo. Vorrei tentare di verificare quel che è la pratica comune in Francia e cominciare un po’ a formalizzarla con elementi che sono famigliari, ma presi in un altro modo. ![]() Jacques-Alain Miller Conferenza tenuta a Curitiba il 25 luglio 1987 Ho parlato spesso dell'etica della psicoanalisi. Oggi invece mi concentrerò su un altro aspetto dell'esperienza: quello della tecnica, quello della pratica. Tendiamo sempre a parlare concentrandoci sull'inizio e sulla fine dell'analisi. Non c'è tuttavia un solo punto di tecnica in analisi che non sia legato alla questione etica. È per comodità che distinguiamo i due aspetti, è semplicemente un modo di esporre. Nell'analisi, invece, le questioni tecniche sono etiche per un motivo molto preciso: nell’analisi dirigiamo il soggetto. La categoria del soggetto non è tecnica, ma etica. Le analisi lacaniane non hanno la prospettiva dell'Io. Non esiste in realtà un modo lacaniano di fare analisi. ![]() Conferenza tenuta presso l'Istituto di Psicologia dell'Università di San Paolo il 19 ottobre 1981 di Jacques-Alain Miller Devo scusarmi di non riuscire a parlarvi in portoghese. Quando parlate lentamente riesco a capirvi, tuttavia non mi sento in grado di parlarlo, il che mi mette a disagio. Ringrazio per l'invito l'Istituto di Psicologia dell'Università di San Paolo, in particolare la sua direttrice, la professoressa María José Aguirre, nonché ringrazio per la sua presenza il vicerettore, professor Arrigo Angelini. Il Dipartimento di Psicoanalisi dell'Università di Parigi VIII è a maggior ragione sensibile a questo invito poiché ancora oggi, a dieci anni dalla sua creazione, continua ad essere unico nel suo genere e nella sua denominazione. Non lo dico per vantarmi, sarei piuttosto propenso a deplorare la mancanza di analoghe iniziative in altre università francesi e di altri paesi. Per quanto ne so, quello di Parigi VIII è l'unico Dipartimento di Psicoanalisi al mondo, ed è necessario che io mi interroghi su questo fatto. Il Dipartimento di Psicoanalisi, unico in Francia, è una formazione dell'inconscio, un lapsus, un atto mancato, ancora oggi trattato come un caso, un residuo, una conseguenza degli eventi del maggio 1968, poiché la sua creazione è stata successiva. La sua natura deve dunque far riflettere su cosa poteva aspettarsi il governo del tempo da tale precipitazione. ![]() Jean-Pierre Deffieux Capita spesso che un soggetto dica questo tipo di frase al suo analista, o perché attendeva con impazienza un detto dall'analista, o perché questo detto ha provocato una sorpresa, o ancora perché queste parole hanno colto nel segno, sono arrivate puntuali e risuonano nell'inconscio del soggetto. Al contrario, incontriamo abbastanza spesso resistenze ad ammettere che una parola dell'analista abbia avuto un effetto soggettivo. Tale persona avrà la tendenza a ignorare, anche a rifiutare l'impatto di una parola dell'analista, proprio perché l'ha colpito, insistendo nel dire che ciò che l'analista gli rimanda non è mai una parola che lo colpisce, se non come sbagliata. Questa manifestazione di traslazione negativa può arrivare fino al disprezzo: «Comunque sia, non sarà una parola dell'analista a farmi effetto!” Altre volte ancora l'analista si stupisce che una sua frase ritorni nelle parole dell'analizzante diversi mesi dopo che sia stata enunciata, senza che fino a quel momento il soggetto se ne sia mai fatto destinatario. Il tempo proprio all'inconscio continua a sorprenderci. Che una parola dell'analista colpisca un soggetto non significa nemmeno che il suo Io ne sia avvertito. “Le sue parole hanno colpito”, piuttosto che “le tue parole mi hanno colpito”. "Tale significante ha colpito" sarebbe ancora più esatto; non si chiama qui in causa il senso, ma piuttosto il segno di una reiterazione significativa rilevata dall'analista e che può scuotere le difese del soggetto. "La sua scansione mi ha colpito" deve essere in questa lista. Perché aver interrotto la seduta su tale parola, su tale frase? Scegliere questo taglio dal simbolico ha un effetto sul soggetto che può rivelargli un senso. Questa frase “Le sue parole mi hanno colpito” non è sempre enunciata dall'analizzante. Può anche provenire dall'analista. Per esempio quando un soggetto gira a vuoto per più sedute in un anello di senso che non riesce a cogliere: finalmente ci riesce e l'analista si premura di sottolinearlo per marcare questo punto di capitone. Questa frase porta in sé un equivoco interpretativo quando viene detta dall'analista: “Essere colpito da” indica un impatto ma non il senso di questo impatto. È una disapprovazione? È un incoraggiamento? Una strada da seguire? Un pericolo da evitare? Si tratta di orientarsi a partire da questo dire. ![]() Argomento del convegno UFORCA del 3 giugno 2023 Gil Caroz Se ci riferiamo a due dei significati della parola avatar, quelli di evento increscioso e quello di trasformazione, identificazioni e avatar vanno di pari passo. Non esiste un'identificazione tranquilla e immutabile. Lo psicoanalista ne è spesso testimone quando un soggetto gli rivolge la domanda di ristabilire un’identificazione che ha vacillato. Perché se l'identificazione è una prima modalità di rapporto con l'Altro, resta comunque il fatto che si tratta di un elemento con cui si copre la barra che divide il soggetto, e questo buco può riapparire dietro la copertura. Inoltre, se l'identificazione è sempre fatta da un significante preso dall'Altro, essa è anche in qualche modo correlata, al godimento. I baffi di Hitler, come tratto unario che condensa il suo “piccolo plusgodere”, sono un esempio paradigmatico di significante investito di godimento intorno al quale si organizza l'identificazione di una folla. Ora, significante e godimento sono due elementi eterogenei. La loro articolazione, non essendo mai perfetta, può produrre solo avatar. Una cura analitica è di per sé un avatar delle identificazioni, poiché le trasforma. Quando l'essere del soggetto vaga da un significante all'altro senza potersi inscrivere sotto un S1 che lo plachi, l'analisi li consolida. Quando il soggetto è, al contrario, fissato sotto uno o più significanti che lo costringono a un rapporto monolitico con il mondo, scioglie le identificazioni. In questo caso il percorso di un'analisi può essere descritto come il passaggio dall'identificazione alla disidentificazione. Al termine di una cura il soggetto trova per l'identificazione un uso al di là della determinazione, e l’identificazione diventa uno strumento a sua disposizione. ![]() Jacques-Alain Miller Conferenza tenuta il 18 ottobre 1981 a San Paolo Non vedo modo migliore di iniziare questo incontro se non evocando il secondo caso che volevo presentarvi. È un caso di cui ho sentito parlare di recente in Argentina. Vi chiedo di prestare attenzione alla presentazione perché qui, a differenza del primo caso la cui diagnosi era chiaramente di psicosi, si pone una questione diagnostica. Si tratta del caso di una giovane di nome Virginia. L’analista che l'ha avuta in cura ne presenta la storia partendo dalla genealogia. Il nonno materno era bigamo, e aveva avuto una figlia non con la moglie legittima ma con un'altra donna. Questa figlia era la madre di Virginia. Il padre di Virginia era stato a sua volta accusato di aver violentato una ragazzina, un'amica di famiglia. La coppia si separò presto e Virginia fu cresciuta da una zia. ![]() Jean-Pierre Deffieux Conferenza tenuta a Milano il 17 febbraio 2023 nell'ambito del ciclo: I venerdì milanesi di psicoanalisi e politica Il senso che l'uomo dà al mondo è stato guidato fino a decenni recenti dalle leggi universali dell’Edipo. Ci accostavamo al mondo con gli occhiali della struttura edipica, la struttura ordinata del linguaggio e delle sue leggi. L’uomo filtrava il proprio rapporto con il mondo alienandosi nel linguaggio, governato dalla metafora paterna. Una piccola parte dell'umanità rifiutava questa alienazione, si trovava di fronte alla scelta forzata di non inscrivervisi, di precludervisi. Questa scelta forzata di rifiutare l'alienazione nel complesso di Edipo e nel Nome del Padre aveva un nome, ha un nome, quello di psicosi, una via di libertà singolare. La spaccatura radicale tra questi due modi di approccio al mondo nelle nostre società è diventata ormai molto più sfumata. Edipo detta legge molto meno di un tempo, per il fatto che la funzione paterna non ha più lo stesso posto nei nostri percorsi di vita. Possiamo affidarci molto meno all'Altro o guidarci con esso per realizzare i nostri desideri e le nostre scelte. L'Altro paterno ci ha aiutato a interpretare il nostro mondo sulla base di criteri prestabiliti inscritti nella tradizione. Ci ha però al tempo stesso rinchiuso lì dentro. Senza un Altro stabilito il soggetto è perduto, resta solo a inventare, creare, trovare un’interpretazione da dare alla propria vita. Questo provoca la fioritura dei sintomi del nostro secolo: la depressione in primo luogo, l’assenza di desiderio per la vita che paralizza le nuove generazioni, e poi un secondo grande fenomeno, non senza legame con il precedente, quello della dipendenza. La maggior parte di questi giovani soggetti si difende dalla posizione depressiva attraverso comportamenti di dipendenza. Il soggetto dipendente, rinchiuso nella propria solitudine, senza legame con la vita, senza progetto, senza appoggio sul discorso dell'Altro, trova un oggetto di godimento che lo soddisfa, in modo ripetitivo e senza limiti. |
Marco Focchi riceve in
viale Gran Sasso 28, 20131 Milano tel. 022665651. Possibilità di colloqui in inglese, francese, spagnolo. Archivi
Luglio 2023
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