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Di cosa si parla

I tratti pertinenti di un caso

25/3/2024

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FotoDisegno di Marina Salomone


La pratica psicoanalitica con i bambini. Intervento di Jacques-Alain Miller a Mosca il 4 ottobre 2013 nell’ambito del Quarto Atelier Lacan in Russia, sul tema: “Il bambino e i suoi sintomi. Pratiche orientate dalla psicoanalisi”. Miller introduce alcune presentazioni di casi ponendo due questioni cruciali: qual è la posta in gioco del caso clinico? Che cos’è un bambino?
​Il titolo è redazionale



Jacques-Alain Miller

Dieci colleghi presenteranno un caso clinico tratto dalla loro pratica. Teniamo conto che la loro pratica è orientata alla psicoanalisi, e questa pratica si esercita con i bambini.

1. La posta in gioco del caso clinico, dalla contingenza alla necessità.

Che cosa vuol dire una pratica orientata alla psicoanalisi? Vuol dire che il trattamento di cui parliamo non è una psicoanalisi, ma che il terapeuta è in rapporto con la psicoanalisi. I dieci autori sono in analisi o sono analisti. In questi casi il trattamento non è una psicoanalisi, ma il terapeuta che conduce il trattamento vede la situazione a partire dalla psicoanalisi, racconta il caso tenendo conto del sapere analitico.

Oggi ascolteremo quattro casi: Andrei di dodici anni, Micha di sei anni, Sacha di undici anni e Nikita di nove. Sono tutti bambini, capita così, è una contingenza. Contingente è ciò che potrebbe essere altrimenti. Dire che qualcosa è contingente equivale a dire che non è necessario, è quel che incontriamo in ogni caso clinico. Ci imbatteremo nella contingenza del caso. Quando si racconta un caso, quando lo si ascolta, ci si sottomette a ciò che si presenta così, senza percepirne la necessità. Le cose si presentano come un accidente, e la parola “accidente” la vedremo proprio questa mattina nel caso di Andrei, che ha a che fare con gli “accidenti”.
Ciò che dobbiamo ascoltare nelle presentazioni dei casi, sono i tratti pertinenti del caso. Il terapeuta deve selezionare i tratti pertinenti del caso dal punto di vista della psicoanalisi, e noi dobbiamo interrogare il terapeuta sulla selezione che ha fatto dei tratti pertinenti. Può capitare che, secondo noi, manchino dei tratti pertinenti. Poniamo allora delle domande, chiediamo di saperne di più su quel punto, per questo lasciamo molto tempo per la discussione.
Qual è la posta in gioco nella redazione di un caso clinico? Essa consiste nel passare dalla contingenza alla necessità. La posta in gioco consiste nel ricostruire la logica del caso a partire dai tratti pertinenti. In altre parole si tratta di passare dal mostrare al dimostrare: partiamo da una descrizione e cerchiamo di arrivare a un sistema. Non un sistema generale, ma un sistema del caso particolare. Non si riesce mai a sistematizzare completamente, ma ci proviamo, si va in questa direzione. I dieci casi che ascolteremo in questo atelier sono casi di bambini.

2. Che cos’è un bambino?

Un bambino è un soggetto che si distingue per la sua età, che si distingue in riferimento allo sviluppo, alla cronologia. Questo vuol dire che sono soggetti non ancora adolescenti, ma che sono usciti dallo stato di infans. Lo stato di infans, quello del lattante per esempio, non è il pre-verbale,  perché anche per il neonato il verbo, la parola, è già presente intorno a lui, la parola è addirittura ciò che ha potuto condizionare la sua nascita, è quella dei genitori, di sua madre, di suo padre.
Nello stato infans, la parola è già presente, circonda e condiziona l’esistenza stessa del bambino. Lacan, per esempio, segnalava che anche l’autistico, che si tappa le orecchie per non sentire, è nel post-verbale, ha a che fare con la parola e se ne difende. Lo stato infans è lo stato in cui c’è il linguaggio, in cui la parola mette già il suo marchio sul bisogno, ma non c’è ancora soggettivazione del linguaggio.
Nei quattro casi di oggi non avremo a che fare con lo stato infans, questi bambini hanno tra i sei e i dodici anni. Prendiamo i bambini a livello dei loro sintomi: sono tutti bambini malati o, quanto meno, sono in rapporto con qualcosa che non va. Ma chi decide che cosa non va? Nei casi di bambini c’è sempre un Altro maiuscolo che decide che qualcosa non va:  è la scuola a deciderlo, la famiglia, i  genitori.
Nel casi di Andrei, per esempio, il primo caso che ascolteremo fra poco, vedrete che il soggetto non si accorge del proprio sintomo. Non si accorge del sintomo che lo porta a non poter trattenere le feci. È il terapeuta a dovergli segnalare il sintomo. Vediamo anche l’Altro maiuscolo, i genitori diciamo, scaricare i propri sintomi sul terapeuta. Questo può voler dire che passano le consegne al terapeuta, ma possono anche vedere il terapeuta come un rivale o, magari, possono rendersi conto di essere loro stessi malati.
Questo pomeriggio, nel caso di Sacha, vedrete come l’autore segnali che alla fine i genitori iniziano una psicoanalisi. Vedete che il sintomo del bambino può anche essere il sintomo dei genitori, può rinviare ai sintomi dei genitori.
Per semplificare, dirò che ci sono due grandi classi di sintomi infantili e mi è sembrato che gli autori si riferissero a queste due classi. Da un lato ci sono i sintomi famigliari, i sintomi edipici, e dall’altro c’è il sintomo materno, dove la relazione della madre col bambino si staglia come causa del sintomo.
Quando si tratta di sintomi edipici, il sintomo del bambino traduce, esprime, rappresenta il rapporto inconscio dei genitori. È possibile che il rapporto inconscio dei genitori sia legato ai loro stessi genitori. Capita quindi che si risalga fino al nonno e la nonna. Vedrete che nel caso di Nikita, ci si accorge che la nonna è assolutamente determinante nel sintomo del bambino. Per contro, ci sono sintomi del bambino che sono direttamente connessi al fantasma materno, direttamente connessi al desiderio della madre. Il desiderio della madre è anche il desiderio della donna dietro la madre, un desiderio segnato da una mancanza, e il bambino va a occupare il posto di questa mancanza.
Quando siamo nell’Edipo si può dire che il desiderio della madre suscita l’identificazione fallica del bambino. Per contro, quando siamo fuori dalla dialettica edipica, il bambino funziona come oggetto della madre. È molto più difficile disfare il sintomo dell’oggetto della madre che disfare l’identificazione fallica del bambino. L’identificazione del bambino con il fallo è un momento dello sviluppo, ed eventualmente si disfa da sé, mentre lo statuto del bambino come oggetto della madre è estremamente resistente.
Ancora una cosa per chiarivi come dovrete fare per commentare con noi i testi: è importante mettere in serie gli elementi chiamati padre, madre, bambino.

Traduzione di Micol Martinez

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