Riflessioni a partire dalla serie TV Baby reindeer Marco Focchi Nell’uso che ne facciamo oggi, glamour è una parola decisamente laica. Indica il particolare stile, o fascino, che una persona emana e che la distingue da tutti gli altri. Glamour è tuttavia un’antica parola scozzese appartenente al lessico della magia. Indicava un’incantesimo attraverso il quale una persona riesce ad apparire più bella, più alta, più forte. Luoghi, dimore, persone, grazie alla potenza dell’incantesimo, potevano presentarsi nella versione magnifica, splendida, di se stessi. È un fenomeno che conosciamo nella psicoanalisi, anche se non nella sua forma magica. Freud per descrivere l’innamoramento parlava di un meccanismo di sopravvalutazione che fa apparire nell’altro doti abitualmente invisibili, che solo l’innamorato riesce a scorgere. L’amore imprigiona in un incantesimo segreto, e lo vediamo in alcuni degli esempi più alti della letteratura. Per esempio, ne La certosa di Parma, Fabrizio del Dongo attraversa la vita in una fuga vertiginosa di battaglie e di incontri con donne che mai riescono a fermarlo accanto a sé. Solo quando viene imprigionato nella Torre Farnese, insieme alla meraviglioso spettacolo della Alpi fino al Monviso che può ammirare da lì, scorge, in una stanza, la bellissima Clelia Conti, che accende in lui, questa volta, un amore vero. Solo quando è incarcerato Fabrizio può amare, non è più in fuga. La prigionia dell’amore è romantica, è magica, avvolge in un incantesimo, imprigiona perché chi ama non si staccherebbe mai dall’oggetto dei suoi pensieri e del suo desiderio. In questo senso la prigionia è una vera e propria metafora dell’amore.
Ma cosa succede se l’oggetto si sottrae, se evade, se sparisce dal campo visuale dell’amante? Ci sono allora alcune possibilità. Una la illustra magistralmente Proust quando presentando Albertine, nel romanzo che si intitola per l'appunto La prigioniera, il quinto della Recherche, si rende conto che Albertine non può essere sempre sotto il suo controllo, e che la sua vita non potrà mai coincidere in ogni minuto con ciò che il suo sguardo abbraccia, e che la prigioniera di oggi è l’evasa di domani. La sua gelosia diventa allora ossessiva, angosciante, asfissiante, anche se, è chiaro, per Proust la gelosia è la condizione stessa dell’amore. Situiamo bene ora questo punto: la prigionia è una metafora dell’amore, e l’amore, spiega bene Lacan, si sostiene sulla metafora. Ma se l’oggetto amato evade, se è in fuga? Sappiamo, come spiega Lacan, che l’oggetto in fuga è il sostegno della metonimia, di quell’inseguimento infinito che è sempre lì a un passo da cogliere quel che brama e che sempre, per un pelo, se lo lascia scivolar via di tra le dita. Con la metonimia non siamo più però nel cerchio magico dell’amore, la metonimia è piuttosto il punto d’appoggio strutturale della perversione, che mette un velo sopra l’invisibile e ama quel velo innalzandolo a feticcio. La prigione assume allora tutto un altro senso, diventa ossessione carceraria, diventa buio, diventa affanno e distruzione. Anche di questo abbiamo alcuni straordinari esempi narrativi che colgono perfettamente la struttura, esempi che non sono romanzi questa volta ma film. L’ultimo in ordine temprale è Baby reindeer, di Richard Gadd. È la storia di come l’amore, quando entra nella torsione perversa, si fa ossessione, si fa stretta mortale, si fa distruzione. La storia comincia quando il protagonista, Donny, che serve dietro il banco di un pub, vede entrare una donna di un’obesità smisurata. È Martha, che colpisce per il suo fisico inverosimile e per l’aria mesta con cui si accosta al banco, sostenendo di non potersi permettere un’ordinazione. Donny, toccato, glie lo offre senza chiederle nulla. Questo gesto, più di compassione che altro, apre la porta di un’ossessione d’amore inverosimile, ma che per Martha diventa il centro motore della sua vita. Veniamo presto a sapere che Martha è stata un avvocato, e che è stata radiata dall’albo dopo essere stata condannata per stalking. Martha è una stalker seriale, e ora Donny è la sua nuova vittima. Nelle relazioni tra uomo e donna, poiché siamo esseri parlanti, le cose non seguono semplicemente la via naturale. Si giocano sempre dei ruoli. Nel maschile, un po’ come il pavone che fa la ruota, l’uomo ha sullo sfondo il modello della parata militare dove si presenta, attraverso l’esibizione della deterrenza di bocche di fuoco, carri armati, missili e altri mezzi d’assalto, la potenza fallica, la virtù predatrice, il cui risvolto è la capacità di protezione. La donna invece mette in gioco la seduzione attraverso la mascherata, magistralmente descritta dalla psicoanalista Joan Rivière, dove l’obiettivo è piuttosto di presentare un’immagine che adeschi il desiderio maschile. La donna si veste quindi delle insegne che fanno di lei il fallo che manca all’uomo rendendola con questo desiderabile. Lo standard è quindi che l’uomo sia il cacciatore e la donna la preda, e nei casi più comuni di stalking le cose stanno in effetti così. Nella modernità contemporanea tuttavia gli standard sono meno vincolanti, e Baby reindeer rovescia il gioco: la preda è Donny, che si trova incarcerato dall’ossessione perversa di Martha. Con questa inversione di ruoli però si rivela l’incolmabile divario, la peculiare dissimmetria tra maschile e femminile. Parlare di perversione infatti, nel caso di Martha non esaurisce il tema. Può andare bene quando lo stalker è un uomo, dove la perversione può spingersi ad estremi deliranti. In Martha invece c’è una vera e propria follia, una follia amorosa. La psichiatria storica ha riconosciuto queste forme di follia amorosa in quelle patologie che ha chiamato erotomania. Non bisogna confondere l’erotomania con la ninfomania. L’erotomane non mette l’accento su aspetti sessuali, per l’erotomane il delirio è amoroso, la questione non è il sesso ma l’amore. Si tratta di una forma di paranoia dove la persecuzione non è malevola ma per l’appunto amorosa. Se nel paranoico classico l’assioma di fondo è: “L’altro mi perseguita”, e in base a questo ogni minimo indizio, anche il più insignificante, prende un senso che conferma questo assunto di base, nell’erotomania l’assioma di fondo è: “L’altro mi ama”, e nulla può contraddire questa certezza di fondo. Inutile far leva sui dati di realtà, del tipo: “Ma non vedi che ti è passato davanti e non ti ha nemmeno degnato di uno sguardo?” “Ovvio – risponderebbe l’erotomane – è talmente innamorato di me che non riesce neppure a guardarmi in faccia!” Cosi è Martha. Certo, nella narrazione si concede a divagazioni erotiche che ricadono anche in una sessualità spinta, ma Martha è un’erotomane moderna, che sa bene quali sono le esche per intrattenere il desiderio di un uomo, e non ha problemi a usarle. La vita di Donny diventa quindi impossibile, e il cerchio della persecuzione amorosa si stringe sempre di più fino a portarlo, a malincuore, a una denuncia alla polizia. Che fatica a credergli, finché non ci sono prove inconfutabili di minacce fisiche o di violenza. Anche qui vediamo la dissimmetria tra maschile e femminile: una denuncia di questo tipo avrebbe incontrato meno barriere se sporta da una donna, e certamente a ragion veduta, perché, come risponde il poliziotto alle rimostranze di Donny, quando il persecutore è un uomo la minaccia è più concretamente fisica. Ma come sono i pesi se mettiamo sulla bilancia la violenza fisica e quella psicologica? La sequenza narrativa è incalzante: l’assedio erotico si stringe sempre di più, e la sola liberazione è riuscire a far incarcerare di nuovo Martha. Donny non fa volentieri questo passo, che lo getta nella più profonda depressione, poiché una volta portata di nuovo in prigione la sua persecutrice vede tutta la fragilità di questa donna. E si trova così al banco di un pub, in un momento di sconforto, a non trattenere le lacrime. Il barista gli si avvicina: “C’è qualcosa che non va amico?” “No, tutto a posto” risponde Donny cercando di riprendersi, e quando fa per pagare, frugandosi nelle tasche, si rende conto di aver dimenticato il portafogli. Allora vediamo lo sguardo del barista esprimere la stessa compassione che Donny aveva mostrato nei confronti di Martha quando la prima volta, entrando nel bar dove era lui dietro il banco aveva detto di non potersi permettere una tazza di tè. Il barista allora risponde nello stesso modo in cui lui aveva risposto a Martha: “Non ti preoccupare, offro io!” Il gioco così si rovescia, Donny, nel finale, è messo nella stessa posizione in cui era Martha all’inizio, evocando una qualche misteriosa complicità che traversa la relazione tra la vittima e il carnefice. Stephen King ha fatto una recensione entusiastica di questa serie televisiva e si capisce bene perché, se abbiamo visto il film Misery non deva morire, tratto da un suo racconto. La persecutrice in questo caso, Annie Wilkes, se la prende con un famoso scrittore di cui è forsennata ammiratrice, e il finale, la liberazione dall’ossessione, avviene con la morte della persecutrice. Anche qui però la vicenda non è davvero conclusa: nell’ultima scena infatti lo scrittore riconosce il volto di Annie in una cameriera che si presenta come la sua più grande ammiratrice, le stesse parole con cui si era presentata Annie. C’è un altro precedente sul tema, ed è Attrazione fatale, di Adrian Lyne. Anche qui abbiamo la storia di un’ossessione d’amore che diventa incubo e finisce con la morte della persecutrice. Il film di Lyne è però più forgiato nello stampo hollywoodiano del lieto fine – la morte del cattivo in fondo può essere considerata un lieto fine, se stiamo tutti dalla parte dei buoni. È un finale che rinsalda il legame famigliare fondandolo sull’uccisione della seduttrice perversa, impersonata dalla splendida Glenn Close, le cui doti fisiche non sono comparabili con quelle della sfiorita Katy Bates nei panni di Annie Wilkes, e della smisurata, seppur bravissima, Jessica Gunning nei panni di Martha. Proprio perché quella di Baby reindeer è una storia vera non finisce con la morte fisica della protagonista ma, in un certo senso, egualmente con una morte, con la morte civile, la morte decretata dal carcere, espressione del punto estremo di distruzione che si manifesta quando la metafora dell’imprigionamento, magico nell’incantesimo d’amore, si trasforma nell’infinita metonimia dell’ossessione perversa, che non ha punto d’arresto se non nell’annullamento, fisico o morale che sia, del persecutore. Se consideriamo il personaggio di Donny, forse più enigmatico di Martha, la chiave è, come abbiamo detto, nell’ultima scena, quando vediamo che viene messo al posto di Martha. Qui c’è un effetto rivelazione che agisce retroattivamente dando senso alla parte precedente della storia. Donny sente qualcosa di sé in Martha, e questo gli impedisce di respingerla. In fondo la sua posizione di attore comico fallito lo fa apparire patetico, incapace di far ridere il pubblico con le sue misere gag, e ci mostra un personaggio che controbilancia perfettamente la povera femminilità di Martha, soffocata dalla sua obesità. Vediamo poi che Donny si fa risucchiare quasi senza resistere dalla seduzione di Damian. Noi spettatori capiamo dalla prima entrata in scena dove Damian andrà a parare, ma Donny sembra avere una rivelazione solo quando ormai le cose si sono spinte molto avanti. Il suo fallimento appare già quando lo vediamo, all’inizio, dietro il bancone di un bar, che non è certo il posto in cui vorrebbe essere, perché, gli chiede a un certo punto Teri, chi aspirerebbe, come scopo della vita, a fare il barista? Questo lo presenta subito nella veste di sconfitto sul piano professionale, lui che vorrebbe fare il comico e che, nelle scenette che la serie ci mostra, non farebbe ridere neanche un bambino. La miseria professionale di Donny è l’equivalente della misera amorosa di Martha. Per lei nella prima scena Donny ha compassione, ma perché in realtà ha compassione per se stesso, e quando il barista della scena finale gli gira lo specchio con un gesto equivalente di compassione, sgrana gli occhi come di fronte a una rivelazione. E la rivelazione è che la pena indulgente che provava per Martha è la stessa che prova per sé, senza vederla nella stessa luce. Ma è invece proprio nella stessa luce, e la scena finale questa luce la fa apparire con chiarezza.
1 Comment
Antonino Zaffiro
24/5/2024 09:58:46 am
Sarebbe interessante una postilla relativa al rapporto fra isterica e perverso (premetto che, nella mia lettura, "perversione" non è che il vero nome della psicosi non scatenata, o "ordinaria" che dir si voglia). Sono solitamente storie estremamente longeve, che si basano su un mutuo godimento (che come sappiamo, prescinde totalmente dai famosi "dati di realtà") e che trovano il suggello della propria unione in una sorta di inversione di ruolo, in un ribaltamento rispetto ai canoni freudiani di Totem e Tabù: la madre dell'orda, che gode di tutti i figli, biologici e simbolici.
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