Ram Avraham Mandil C'è un passaggio nel Seminario XXIII, Il sintomo, in cui Lacan si riferisce al corpo del parlêtre come a un corpo che costantemente “si leva dai piedi”. Se si riesce a riconoscere una dimensione del corpo che "non evapora," il corpo parlante è tuttavia un corpo segnato dall’inconsistenza. Clinicamente sappiamo che questa inconsistenza può assumere la forma del corpo che è “lasciato cadere", di cui si parla nelle storie di Schreber, in alcuni passaggi dell’Uomo dei lupi e in alcuni tratti dell’opera di James Joyce. Se il parlêtre è qualcuno che ha bisogno di dare consistenza - "consistenza mentale", dice Lacan - al proprio corpo, di che ordine è questa consistenza? Nella discussione al X Congresso della AMP, Jacques-Alain Miller traccia i contorni di questo problema, che possono essere trovati dalle meditazioni cartesiane sul "corpo dell’io penso”, fino alle considerazioni filosofiche, e anche teologiche, su “le forme di unione di anima e corpo”. Occorre aggiungere che la psicologia stessa è presentata da Lacan come non altro che "l'immagine confusa che abbiamo del nostro corpo.” Nello stesso passaggio del Seminario XXIII, Lacan fa notare che questa ricerca di consistenza corporea procede dalla credenza, essenzialmente la credenza del parlêtre di avere un corpo. È questa credenza, continua Lacan, che influenza il "culto" del corpo - culto che sarebbe “l’unica relazione che il parlêtre ha con il proprio corpo". Questa sarebbe la radice dell’immaginario e, di conseguenza, il fondamento della "consistenza mentale" del corpo del parlêtre.
Se il corpo del parlêtre è un corpo che tende a levarsi dai piedi, a essere evanescente, a mostrarsi inconsistente, questo si verifica perché questo corpo ha subito un trauma. In altre parole, l'incidenza del significante sul corpo pone, per il parlêtre, la questione della sua consistenza corporea. Seguendo gli argomenti di Miller in “L'inconscio e il corpo parlante," possiamo inferire che la consistenza corporea non è in questione in quanto carne. Questa consistenza diventa "un mistero”, solo dal momento in cui “il segno taglia la carne”, quando "il corpo risulta in grado di far apparire apparire, come superficie d’iscrizione, il luogo dell’Altro del significante”. In questo senso, mi sembra pertinente aggiungere che l'analisi del parlêtre deve puntare non solo a ciò che, attraverso le sue parole, egli mira a costituire come proprio essere, ma anche ai modi in cui, attraverso le sue parole, cerca di costituire un corpo e dargli consistenza. Sappiamo da Lacan, che un modo di conferire consistenza al corpo si ottiene a partire dal suo sostegno per l'immagine. Si tratta del corpo come unificazione delle esperienze frammentarie, eterogenee, la cui consistenza sarebbe garantita dalla forma. Tenuto conto tuttavia dell'analisi dell’episodio del pestaggio ricevuto da Stephen Dedalus in “Un ritratto dell'artista da giovane”, possiamo dedurre che Lacan evoca un modo diverso di conferire consistenza mentale al corpo, in questo caso sostenuto dal fantasma. È ciò che attira l'attenzione di Lacan, dal momento che questa alternativa non è funzionale in questo episodio. Qui non c’è stata un’attivazione della fantasia masochista, che potrebbe essere un modo di dare consistenza al corpo. Un altro problema che credo sia rilevante per la nostra discussione è la considerazione del sinthomo, come un modo di dare consistenza al corpo dalle marcature e dalle inscrizioni del trauma. Si tratta di considerare il corpo al di là del sostegno immaginario, o di puntare a conferirgli consistenza a partire dal fantasma. Cosa vorrebbe dire considerare la consistenza del corpo attraverso il sinthomo? Sarebbe una consistenza diversa da quella mentale? Tendo a pensare che essa non tolga l'aspetto "mentale" in gioco, se consideriamo il mentale come un involucro, quello che cerca di tracciare un bordo riferito al reale. Si può considerare che la consistenza del corpo, misurata mediante il sinthomo, non mira ad eliminare la sua inconsistenza – inconsistenza questa, che si manifesta, nella maggior parte delle volte, come quel che nel corpo è senza legge – ma la include un nuovo accordo. Questa modo di regolazione comporta una riconsiderazione dell'immaginario. A mio parere, questo è indicato nel Seminario XXIII, per esempio, nelle considerazioni Lacan sull’insieme vuoto e sulle relazioni tra la borsa e la vita. In questo senso, sembra suggestivo accostare il culto del corpo – “l’unica relazione che il parlêtre ha con il proprio corpo" – e la considerazione che Miller fa sullo sgabello, come piedistallo del parlêtre, come “quel che permette di innalzarsi alla dignità della Cosa ". Non sarebbe questo uno dei modi di saperci fare con il sinthomo, essere in grado di fare del sinthomo uno sgabello e ricavarne una nuova modalità di soddisfazione? Trovo interessante il fatto che il nostro Congresso possa portare alcuni esempi di come questo si verifica nell'esperienza analitica di un parlêtre.
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