![]() Conferenza tenuta a Curitiba il 27 luglio 1987 Jacques-Alain Miller A Curitiba c'è un luogo da non perdere. Credo che gli abitanti di Curitiba la conoscano già, ma per me scoprirlo è stata una sorpresa. Per chi non lo ha visto e vorrebbe conoscerlo, questo luogo è la Boca Maldita, una piccola piattaforma in mezzo a una strada pedonale, con una pietra al centro. Chiunque può andarci a protestare e a dire tutto ciò che vuole, senza essere represso. Istituita nel 1956, sembra dimostrare l'innegabile vocazione della città alla psicoanalisi. È, infatti, un luogo peculiare per la città, che permette un altro uso della parola, e invita chiunque a dire la propria verità. Mi piacerebbe davvero che questi seminari fossero come la Boca Maldita, dove ciascuno può dire la verità! Questo luogo è stato creato da un sindaco, evidentemente una persona intelligente, che ha permesso a chiunque di dire la verità, come un giullare, come un buffone. Forse il luogo in sé non è così importante, è una specie di Hyde Park a Curitiba, come quello di Londra. Godino mi dice che non è proprio lo stesso, che non è per l'uso individuale della parola ma per quello collettivo. Sarebbe meglio che Godino dicesse esattamente cos'è Boca Maldita, al di là delle mie fantasie sul luogo. Antonio Godino Cabas: È impossibile dire esattamente cosa sia la Boca Maldita. È solo un luogo in cui chiunque può dire ciò che crede di dover dire. Si parla di politica, di donne, di affari, si formano crocchi di persone. Non c’è qualcuno, con il dito alzato ad annunciare la verità per tutti, ma tutti si incontrano e la parola e i segreti circolano. J.A.M.: È una tradizione antica, che precede a quella freudiana. Ha qualcosa a che fare con la psicoanalisi. Bisogna dire infatti che c'è qualche analogia tra lo studio psicoanalitico e la Boca Maldita. Lo stesso vale per il legame tra la bocca e la dizione. Si ha la sensazione che quando la bocca può parlare liberamente ciò che ne esce non sono tanto benedizioni, ma maledizioni. Per questo Lacan dice che l'etica della psicoanalisi consiste nel ben dire, che non è una bene-dizione. La benedizione la riceviamo quando andiamo in chiesa. Possiamo essere benedetti anche in televisione, perché il Papa benedice anche in TV. In analisi non si danno benedizioni, si dà piuttosto modo di dire bene ciò di cui si parla, si impara a dire bene.
Il soggetto spesso aspetta la parola in grado di guarirlo. La donna al cui caso ho accennato prima – il caso americano della pseudo-schizofrenica che invece era un’isterica – dice una frase in cui traspare che si aspetta una benedizione, qualcosa tipo: "Ma non c'è una sua parola che possa guarirmi?". Questa domanda esprime l'attesa di una benedizione. L'analista non ha benedizioni da dare, ma può aiutare nell'apprendimento del ben dire, può cioè introdurre il soggetto a un accordo tra il detto e il dire, può approssimarlo a dire ciò che desidera, verso una concordanza ideale. Il ben dire, per Lacan, è la chiave dell'etica della psicoanalisi, un'etica del detto e del dire. Più che di un accordo ideale tra il detto e il dire, si tratta di trovare e di praticare un modo di dire che tenga conto della differenza tra il detto e il dire, e che tenga conto anche della possibilità di modificare la posizione soggettiva rispetto al detto, un maniera del dire che non confonda il detto con la posizione soggettiva. Così facendo, l'analista pratica quella che si può chiamare una retrocessione dell'enunciazione, un arretramento dell’enunciazione, poiché la maniera di dire le cose s’inscrive nella retrocessione soggettiva. È così anche l’insegnamento di Lacan, e la ragione per cui possiamo leggere e rileggere i suoi Scritti è che, facendolo, troviamo ogni volta una prospettiva diversa da quella precedente. Non sono testi superficiali. Che cos'è la superficialità in un testo? È il fatto di non poter cambiare la propria posizione soggettiva, è quando la posizione soggettiva si sovrappone al detto. Lo vediamo nei testi poveri: una volta capiti, restano sempre uguali. In Lacan, invece, si sente che le parole non sono cose, e che invitano ognuno a inventare il proprio modo di leggere. Quel che passa nell’insegnamento, nelle conferenze o nei seminari, deve far percepire la vibrazione del soggetto nel proprio discorso, e non mostrare sempre la stessa posizione soggettiva. Non bisogna trasmettere un discorso sempre nella stessa posizione. È necessario cambiare tono. Lacan faceva così. A volte parlava per mezz'ora completamente serio, poi faceva una battuta, poi diceva qualcosa preso dall'esperienza, e così via. Questo tratto del suo stile è dovuto a una questione di struttura. Un insegnamento che non cambia tono è piuttosto noioso, se non completamente inerte. Tornando alla Boca Maldita, è come un vuoto nel luogo dell'Altro intorno a cui tutti passeggiano. È una metafora molto bella: c'è una pietra al centro del luogo vuoto. È quel che Lacan chiamava oggetto a, intorno al quale circolano le parole. L'analista è, al tempo stesso, il luogo vuoto in cui il soggetto è invitato a parlare – il destinatario del discorso – e questa pietra. Questa pietra, l’oggetto a, è il punto più intimo del luogo vuoto e gli è anche esterno. Lasciamo questa metafora e riprendiamo ora il tema dell'introduzione all’inconscio. Il desiderio nella domanda d’analisi Localizzare il soggetto non significa solo valutarne posizione, è anche un atto etico dell'analista. Come ho cercato di mostrare, l'analista, separando enunciato ed enunciazione, riformulando la domanda e introducendo il malinteso, guida il soggetto a incontrare l'inconscio: lo conduce a interrogare proprio desiderio e ciò che intende dire quando parla, facendogli così capire che c'è sempre una bocca mal-intesa. Si tratta di un atto di direzione da parte dell’analista. Il momento della presunta neutralità viene dopo. Nei colloqui preliminari c’è una direzione da parte dell’analista. I colloqui preliminari non sono solo un'indagine per localizzare il soggetto, occorre anche produrre un cambiamento della sua posizione. Si tratta di trasformare la persona che si ha di fronte in qualcuno che si riferisce a quel che dice mantenendo una certa distanza dal detto. È il motivo per cui i colloqui preliminari costituiscono una rettifica soggettiva. Ne La direzione del la cura e i principi del suo potere, Lacan parla di una "rettifica dei rapporti del soggetto con il reale” – frase solo approssimativa, perché quando Lacan parla di reale, in questo testo del 1958, non gli dà lo stesso significato che alla fine del suo insegnamento: qui il reale è la realtà. Siamo più vicini al suo insegnamento futuro se consideriamo che si tratta di introdurre il paziente alla prima localizzazione della sua posizione non nel reale, ma in relazione al suo detto. È quel che ho appena cercato di dimostrare: possiamo avvicinarci al reale solo attraverso il detto. A cosa perviene il soggetto con questa prima localizzazione? Perviene ad accettare la libera associazione, a parlare senza censurare ciò che dice, a cercarne il senso, ad abbandonare la posizione di padrone. Lo abbiamo visto nel caso del marito che era signore della moglie che, poco dopo, abbandona la posizione di signore di se stesso. Posso fare un esempio clinico di come si riformula la domanda di analisi. L’importanza di questo esempio sta nel fatto che fin dai primi momenti è stato necessario operare un cambiamento di posizione rispetto al detto. Tutto è iniziato, come in genere le analisi, con una telefonata. Un uomo che aveva fatto una lunga analisi mi aveva chiamato per chiedere un colloquio urgentemente. Il tono di voce segnalava una urgenza tale che gli ho fissato un appuntamento per il giorno successivo, cambiando anche la mia agenda. Vedremo come le cose si sviluppano partire da qui. Primo tempo: l'analizzato – possiamo chiamarlo così perché era già stato analizzato – appena arrivato, aveva detto di sentirsi meglio solo per il fatto di aver telefonato, già questo gli dava sollievo. Tutti gli analisti conoscono questo effetto. Entrare in contatto con un altro che si suppone in grado di rispondere produce sollievo. Sentendosi meglio, il paziente non aveva più voglia di iniziare un'analisi. È vero che era molto occupato, che doveva lavorare molto e che al tempo stesso aveva difficoltà nel lavoro intellettuale, proprio nel momento in cui la sua posizione lo richiedeva. Diceva vagamente che c’erano ancora altre cose di cui avrebbe potuto parlare, ma non era deciso a farlo. L'ho ascoltato attentamente per molto tempo, quarantacinque minuti, una seduta dell’IPA. Il suo discorso non sembrava molto convincente e non cercava nemmeno di esserlo. Chiaramente avevo di fronte a me qualcuno che stava cercando di convincermi a rifiutarlo. Oppure il discorso poteva avere l'intenzione di convincermi che non ci sarebbe stato alcun compromesso. Quando mi chiese quanto avrebbe dovuto pagare, risposi: "Niente" e aggiunsi: “Ci pensi e torni tra una settimana.” "Pensare" è una parola che sembra innocente. Il mio intuito clinico, come quello degli analisti qui presenti, dice che si tratta di un caso di nevrosi ossessiva, e che il pensare, il ruminarsi in testa le cose, riveste una certa importanza per questo tipo di soggetti. Secondo tempo: l'uomo – non lo chiamerò paziente – tornò la settimana successiva dicendo che, appena uscito dal primo colloquio aveva pensato di alzare il telefono per dire che avrebbe annullato il secondo incontro perché non voleva iniziare un'analisi. Sentendolo, ho risposto: "Bene, in tal caso..." e ho interrotto la seduta. Era stata una seduta di tre minuti, ma questa volta mi sono fatto pagare. Non dirò l'importo, ma era almeno tre volte il prezzo di una seduta costosa. Questo dopo tre minuti. Terzo tempo: appena uscito dopo la seconda seduta di tre minuti mi chiamò chiedendomi di tornare il giorno dopo, come aveva fatto la prima volta, dicendomi che aveva deciso di iniziare una nuova analisi. Questa sequenza mi sembra paradigmatica, una domanda in tre tempi articolata in una logica. Primo tempo: formulare la domanda. Secondo tempo: annullarla. Terzo tempo: rifare la domanda annullata, cioè annullare l'annullamento. Se la sequenza è chiarificante, possiamo dire che è una riduzione alla struttura della nevrosi ossessiva, perché questa non consiste solo nel sintomo del dubbio o in un’oscillazione, in un'impossibilità di decidere, in un’impazienza, ma in una divisione del desiderio, in modo tale che esso deve attraversare un momento di annullamento, e di annullamento dell’annullamento. Le cose possono iniziare nel terzo tempo. Ho sempre cercato di capire perché Lacan dicesse che sono necessari tre tempi per costituire la ripetizione. Mi si è chiarito grazie a questo paziente. È necessaria un'affermazione, un annullamento, e l'annullamento dell'annullamento. Lacan dice che è un modo di indietreggiare di fronte al proprio desiderio. Il desiderio porta in sé un versante di non desiderio nel momento stesso in cui domanda. Apparentemente questo paziente non vuole ciò che chiede, bisogna dimostrarglielo. Quello che ho fatto è stato un intervento eccezionale, ma non stavo facendo salti di gioia quando gli ho chiesto il triplo del prezzo di una seduta, non era per abusare del fatto che si trattava di una persona con una certa disponibilità di mezzi. L'intervento eccezionale è stato rifiutare di ratificare l'annullamento, perché se non ci fosse stato questo taglio, se le cose fossero andate senza che qualcosa fosse realmente accaduto, l'annullamento non avrebbe potuto completarsi. C'era un resto che era nelle mie mani, quindi c’è stata una certa estrazione di denaro. Forse, senza la sanzione finanziaria, non sarebbe mai stato possibile per lui ricominciare l'analisi. C’è stata inoltre la testimonianza di come le parole contino. In questa analisi, avevano un peso e un prezzo. Quando c'è un annullamento, seguito dall'annullamento dell'annullamento, il doppio annullamento non equivale all'affermazione iniziale, perché non si tratta di logica classica, come vede bene Jorge Forbes, che ne conosce i paradossi. Nella logica classica, negare due volte equivale ad affermare, ma nello spazio analitico, dove abbiamo a che fare con il soggetto, questa equivalenza non sussiste, e a partire dal doppio annullamento inizia il processo di analisi. Durante questo incontro ho ascoltato una lavoro di Bernardino Horne sulla traslazione negativa in Anna Freud e in Melanie Klein. Bernardino osserva che questa traslazione negativa esiste già dal momento stesso dell'ingresso in analisi. È un'osservazione clinica preziosa. In realtà, però, quel che Anna Freud e Melanie Klein chiamano traslazione negativa si riferisce al momento di annullamento del desiderio caratteristico del soggetto ossessivo. Il mio paziente ha chiamato per la prima seduta, per la seconda ha chiamato una settimana dopo, e per la terza il giorno dopo. Il processo di divisione si distribuisce nel tempo: è il passaggio dal "sì" della prima volta, al "no" della seconda, e al "no del no" della terza. C'è una separazione temporale tra il momento del "sì", quello del "no" e quello del "no no". Questo modo di oscillare tra il sì e il no si può osservare, occasionalmente, nel comportamento ossessivo. Nel soggetto isterico questa divisione del desiderio si realizza in modo molto più raffinato, perché il soggetto isterico può dire "sì" e "no" allo stesso tempo. È quello che Freud ha chiamato proton pseudos. Ciò che nell'ossessivo appare come contraddizione, come oscillazione del desiderio come desiderare e non desiderare, nell’isterico subisce una torsione interna. È la forma che fa da matrice alla nevrosi ossessiva, ed è per questo che Lacan scrive che il soggetto isterico, come $, soggetto barrato. La barra segna allo stesso tempo l'annullamento in cui il soggetto si colloca, e la divisione che lo segna. Apertura dello spazio analitico La cosa più importante, in quel che sto tentando di dirvi, è che per aprire lo spazio analitico l’essenziale è il soggetto. Dobbiamo avere un concetto molto chiaro e ben definito di questo termine, che non equivale a persona o individuo. Che cos'è una persona? Non sappiamo cos’è, se è un individuo o un corpo. C'è un piano fisico, ci sono proprietà e attributi delle persone. È possibile contare quante persone ci sono in questa sala, o al palco, e così via. Sin dai tempi di Aristotele le persone si possono contare a partire dai corpi. Il soggetto invece non riguarda i dati, non è un datum. È vero che se tutti parlassero latino, non ci sarebbero problemi di comunicazione. C'è stato un tempo in cui tutte le persone che contavano parlavano latino. Forse tra vent'anni questo seminario potrebbe essere tenuto in inglese. Cerchiamo di fare in modo che non sia così: è un appello alla solidarietà tra i paesi di lingua latina. Il soggetto non è un dato, ma una discontinuità nei dati. Osservate il panico dell'Uomo dei topi: egli crea un debito di qualcosa che non rientra nei conti. Può contare quanto vuole le cose del mondo, ma c'è qualcosa che non rientra in quel conteggio, c’è una perdita da qualche parte. È il soggetto la perdita, è quel che non si può contare al proprio posto. Sul piano fisico, dell’oggettività, questo non ha senso, non esiste, ed è responsabilità dell'analista produrre un altro piano appropriato al soggetto, che è l'effetto di una decisione dell'analista, ed è una questione di etica della psicoanalisi. Se Lacan parla di etica della psicoanalisi è perché non esiste un'ontologia della psicoanalisi. L'ontologia è una disciplina che riguarda ciò che esiste, gli esseri che possono essere enumerati, contati, verificati. In psicoanalisi non si tratta di ontologia, e il soggetto si costituisce solo sul piano etico. Si tratta di decidere, perché si può decidere di dimenticare propri sogni, di considerare i propri atti mancati, i propri lapsus, come semplici errori. È una questione di decisione. Una volta Lacan stava disegnando alla lavagna alcune cose complicate, o forse anche semplici, e commise un evidente errore. La gente in sala disse che si trattava di un lapsus, ma lui rispose: "No, è un grossolano errore.” È una questione di decisione acconsentire a preoccuparsi di cose così piccole, come dimenticare le chiavi o dimenticare dei nomi, ricordare fatti dell'infanzia, prestare attenzione a minuzie. Anche in tutto questo si tratta di una decisione, un decisione etica del paziente, che può pensare valga la pena preoccuparsi di ciò che lo riguarda, anche se sono solo quisquilie. L'ontologia si occupa degli esseri, l'etica riguarda la mancanza d’essere. Gli esseri riguardano quindi l’ontologia, e la mancanza d’essere riguarda l’etica. L'introduzione all'inconscio è, in realtà, un'introduzione alla mancanza d'essere. Il soggetto è una mancanza d'essere, non ha sostanza, esiste solo come la torsione dei tre tempi. Come possiamo delineare il soggetto se non con l’annullamento, e con l'annullamento dell’annullamento, vale a dire con il carattere ritorto di questi passaggi? Il soggetto infatti è un errore di conto. Quando le donne contano i giorni per non rimanere incinte e sbagliano i calcoli, è quando può comparire un eventuale soggetto, e se i genitori continuano a considerare la gravidanza come un errore di conto, possono esserci conseguenze decisive. I casi più difficili, nell'esperienza analitica, sono quelli dei soggetti indesiderati alla nascita, o nei primi momenti di vita. È molto difficile indurre per loro un cambiamento. Quando si conta, il soggetto è un elemento, (-1) o (+1), ma non è mai nel posto di un errore di calcolo. In analisi non si tratta di sofferenza, per quanto il soggetto possa arrivare in nome di una sofferenza. Ma dal momento in cui cerca un analista, la sofferenza diventa una lamentela rivolta all'Altro. Intendo dire che andare da un analista in nome di una sofferenza non è come andare da un medico: dall’analista la persona sa che va per parlare, e desidera rendere conto, rendere testimonianza della sua vita. Prende forma in questo modo la mancanza d’essere, delineata con precisione da Lacan, in La direzione della cura e i principi del suo potere. Lacan, in questo scritto, dice del nevrotico che la sua passione è “giustificare la propria esistenza.” La parola giustificazione appartiene propriamente al campo del diritto. Il nevrotico non si accontenta di esistere come essere, e vive la propria esistenza con mancanza d’essere, volendo giustificarla all'Altro che lo ascolta. L'Altro a cui parla è fondamentalmente l’Altro della giustificazione. Nessuna tenerezza, nessuna benevolenza, nessuna comprensione da parte dell'analista può soddisfare questa passione per la giustificazione. Non si tratta di pensare che l'analista debba essere disumano o cattivo – anche se a volte lo si pensa – ma che deve collocarsi nella giusta posizione, quella di uno statuto del diritto. Sappiamo infatti che le spiegazioni, il fatto di dire: "Non è poi così terribile" o: “Hai tutto quel che ti serve per essere felice", non sono le risposte che ci si aspetta. Le risposte che ci si aspetta non sono sul piano dei fatti, ma su quello del diritto. Ecco perché il vero perverso non entra in analisi: perché non vuole rendere conto a nessun Altro. La rettifica soggettiva Lacan chiamava rettifica soggettiva il fatto di passare dal lamentarsi degli altri al lamentarsi di se stessi. C’è sempre qualche motivo per lamentarsi degli altri. È in effetti un punto molto sofisticato l'ingresso di chi dice: "Non è colpa mia.” L'atto analitico consiste, al contrario, nell'implicare il soggetto in ciò di cui si lamenta. È un errore in analisi pensare che l'inconscio sia responsabile di ciò di cui qualcuno soffre. Sarebbe deresponsabilizzare il soggetto. Spesso, in analisi, si suppone che tutto il male derivi da ciò che è avvenuto molto tempo prima, nel rapporto con i genitori, con il fratello maggiore, con la sorella minore. In questo modo però, il soggetto verrebbe privato del suo statuto. Noi analisti sappiamo bene che le cose non stanno così. Al contrario, Lacan chiamava rettifica soggettiva ciò che avviene quando in analisi il soggetto afferra la propria responsabilità essenziale in ciò che gli accade. Il paradosso è che il luogo della responsabilità del soggetto è l’inconscio stesso. La passione del nevrotico è così di giustificarsi, per elidere il fatto che il soggetto viola il principio di ragione formulato da Leibniz, al quale Heidegger ha dedicato un intero libro. Questo principio dice: “Nihil est sine ratione”, non c'è nulla senza ragione, senza causa. Heidegger lo ha evidenziato come fondamentale nella storia della scienza, e si domandava come mai non fosse stato formulato prima, dato che gli sembrava l'essenziale del discorso della scienza. Ora, il soggetto, per come utilizziamo questa categoria, disattende questo principio: tutto ha una ragione, tranne il soggetto. Ed è attraverso l'analisi che troviamo lo statuto della sua cosa, della sua causa. Il nevrotico è tuttavia proprio il soggetto che ha l'esperienza più acuta della mancanza della causa d'essere, che può sperimentare la mancanza di necessità della sua vita, sia per l’angoscia, giacché può scomparire domani, sia per la contingenza fondamentale della sua esistenza. Possiamo dire che l’esperienza della mancanza della causa d’essere si intensifica nella nostra epoca dominata principalmente dal discorso scientifico. Viviamo in un mondo strutturato dalla scienza che, di conseguenza, è regolato dal principio di ragione. Questo è coerente con l'emergere della psicoanalisi, dello psicoanalista che accoglie il lamento per la mancanza di giustificazione dell'esistenza. Un paranoico sa perché esiste, ha una ragione per esistere, è sicuro di mobilitare l'attenzione universale. Il presidente Schreber sa che esiste per trasformarsi in donna e per dar vita, con Dio, a una nuova umanità. Quando qualcuno ha una missione come questa, possiamo dire che la sua esistenza è giustificata, e quindi non sente la passione di giustificarla. Il vero perverso, a sua volta, sa bene di esistere per godere, e il godimento è di per sé una giustificazione dell'esistenza. Il nevrotico deve invece inventare una causa, una buona causa da difendere, che possa colmare il vuoto di cui egli consiste. Il rischio della vera e propria analisi freudiana, formalizzata da Lacan, sta nell'accettare di riaprire questa mancanza, che può essere stata coperta da una buona causa. Se il soggetto non riesce più a sopportare il precedente ordinamento del suo mondo, se gli manca la causa e se, come diceva Lacan, non c'è in lui un desiderio deciso, è meglio non accoglierlo nell'esperienza analitica, perché la libera associazione, portandolo a mettersi in discussione, può dissociarlo dalla causa che si è inventato per giustificare la propria esistenza. Introdurre allo statuto di soggetto una persona la cui posizione iniziale è quella di scatola vuota può a volte produrre un sollievo immediato. Il semplice fatto di introdurre la persona allo statuto di soggetto produce infatti una dissociazione, una regressione, sia rispetto alla sofferenza, sia rispetto al detto. Il soggetto soffre, ma il fatto di parlare con l'analista gli fa mettere da parte, gli fa prendere distanza dalla sofferenza, e questo può effettivamente produrre un sollievo immediato. Passare attraverso la mancanza d’essere implica tuttavia affrontarla, e mettere in discussione o perdere la propria ragion d'essere può mettere il soggetto in una situazione molto difficile. In questo senso, in analisi, le cose vengono limitate quando il soggetto non vuole mettere in gioco alcuni elementi. Da qui l'interesse che riveste la relazione tra analista e analizzante quando i due non appartengono alla stessa comunità linguistica. In caso contrario infatti il malinteso si estende a tutti, essendoci settori in cui le persone possono intendersi. Prima di cominciare a praticare l'analisi non capivo come fosse possibile analizzare una persona che parlasse un'altra lingua. Tale è infatti l'importanza dei significanti che l'analista dovrebbe essere tenuto a conoscere tutto della lingua. Lacan diceva però che la situazione in cui la lingue sono differenti rende possibile l'attraversamento delle culture. La differenza di cultura e di comunità però, oltre a non permettere l’impressione di capirsi a priori, instaura un certo malinteso, e con esso porta a mettere in discussione tutto ciò che è implicitamente accettato. Un esempio illuminante, per me, è stato quel che è successo in una città della Francia orientale vicino alla Germania, in Alsazia, a Strasburgo dove, molti secoli fa, si era insediata un'importante comunità ebraica. Essendoci in questa comunità un piccolo gruppo interessato alla psicologia, alcuni chiesero a Lacan di indicare tra i suoi allievi un analista che potesse recarsi sul posto regolarmente, due volte alla settimana, per analizzare gli psichiatri e gli psicologi che volevano diventare analisti. Lacan per andare ad analizzare gli ebrei di Strasburgo scelse il suo unico studente egiziano. C'è in questo, secondo me, una lezione straordinaria, ovvero: dell'analista si fa subito un Altro senza alcuna comprensione precostituita della comunità. Bisogna dire che tra l'analista e gli analizzanti si sviluppò una traslazione straordinaria. Era stato il modo migliore per mettere in discussione tutti i sospetti impliciti del soggetto. È difficile infatti lo svolgimento un’analisi se il soggetto mantiene alcuni elementi per lui indiscutibili, dove enunciato ed enunciazione non si distinguono. Cominciamo a introdurre il soggetto a partire dal tema dell'enunciazione, un tema quasi linguistico, che fa apparire in modo molto semplice la scatola vuota del soggetto, che fa apparire il soggetto come vuoto. Si tratta di una drammatizzazione, perché ciò che appare come una scatola vuota, in questa costituzione quasi linguistica, è il dramma della mancanza d’essere. Non è un vuoto tranquillo, è qualcosa che turba. In sede di giustizia, come si vede nei romanzi gialli inglesi, quando si cattura il presunto colpevole, un poliziotto gli dice: "Tutto quel che dirai potrà essere usato contro di te.” La giustizia è il luogo migliore per osservare le relazioni tra il detto e la posizione soggettiva, perché è lì che si deve garantire un legame immutabile tra essi. Negli Stati Uniti, conoscete il Fifth, il quinto emendamento della Costituzione, che dice: "Nessuno è può essere obbligato a testimoniare contro se stesso". È il tipo di frase che gioca tra il detto e il dire. In psicoanalisi, invece, nulla di ciò che dite può essere usato contro di voi, è la regola dell’associazione libera, per via della quale siete continuamente obbligati a testimoniare contro di voi. Lacan, in un periodo successivo del suo insegnamento, non parla più di rettifica soggettiva, ma di isterizzazione del soggetto, che può essere intesa come la parte del matema lacaniano dell’isteria che scrive: $ –––> S1, il soggetto diviso in rapporto con il significante padrone. Di questo si tratta quando mi riferisco alla separazione tra enunciazione ed enunciato, che è anche una separazione tra soggetto e significante. L’isterico e l’ossessivo in relazione al detto Il soggetto isterico prende in genere distanza rispetto al detto, ed è questo che chiamiamo isterizzazione del discorso. Portando il soggetto a prender distanza da ogni detto, l’isterizzazione produce il panico isterico, la perdita del punto di riferimento. Ho avuto una paziente isterica che mi ha insegnato molto su questo. I colloqui preliminari sono stati lunghi prima di arrivare al cambiamento di posizione soggettiva di questa donna fragile. Era stato un momento veramente difficile, perché la posizione soggettiva non ha nulla a che fare con l'aspetto della persona. Ci sono giganti che sono bambini. In questo caso particolare, si trattava di una donna molto intelligente, molto colta, che aveva da ridire su tutto. Una volta le ho detto: "Sì, sono d'accordo", e lei ha risposto: "No" e ha iniziato a spiegarmi esattamente il contrario di quello che aveva detto un attimo prima. Il mio "sì" a quel che aveva detto per lei implicava un "no". Si dissociava da tutto ciò che aveva detto poco prima, prendeva distanza da tutti i significanti che aveva prodotto. Il soggetto isterico mette in questione il significante padrone, va a cercare il padrone per dimostrargli che, dalla sua posizione di mancanza d’essere, è più potente del padrone stesso. Per questo sono rimasto incantato dalla frase dello pseudo-schizofrenico che la settimana scorsa l'analista americano ha messo in evidenza: "Non c'è niente che lei possa dire per curarmi". Questa frase risponde esattamente alla formula $ -–––> S1. È un’affermazione che è una firma clinica dell'isteria, perché mentre il soggetto si pone in una situazione di assoluta mancanza, si aspetta dall'altro qualcosa che suppone l’Altro non abbia, ma che forse può avere. L’isterica è dunque un soggetto orientato verso l'Altro, che chiede qualcosa all'Altro con umiltà. E a chi si può chiedere se non al al padrone: "Per favore, una parola, solo una parola.” L’isterica costituisce l'Altro come padrone e gli dimostra che lui non è in grado di fare nulla per lei, gli dimostra che a partire dalla propria mancanza d’essere, nonostante tutto quello che lui ha, lei è più potente di lui. È emblematico della posizione dell’isterica. L'ossessivo, invece, fa tutt’uno con il significante padrone, e arriva all'analisi solo quando con questo significante si produce una discrepanza. Concludo con l’esempio di un caso che è durato a lungo. Si tratta di una donna che aveva già fatto tre o quattro analisi e che si presentava dicendo: "Sono un’alcolista." Per dieci anni aveva fatto parte degli Alcolisti Anonimi. Conoscete questa associazione: i membri si curano a vicenda e si presentano l’un l’altro dicendo appunto: “Sono un'alcolista”, dopo di che iniziano a parlare delle loro difficoltà con l'alcolismo. Questa donna è andata alle riunioni quattro volte alla settimana, la sera, per un periodo di dieci anni, presentandosi così: “Sono un’alcolista.” Proveniva da un altro paese europeo, ed è arrivata nel mio studio con una storia complicata, dichiarandomi: "Sono un’alcolista." Bisogna notare che da dieci anni non aveva più toccato una goccia d’alcol. Possiamo dire che rimaneva alienata con il significante: "Sono un’alcolista". Si identificava con questo significante senza alcuna distanza, ed era incapace di presentarsi diversamente. La suggestione, tuttavia, aveva avuto un effetto terapeutico. Domandarmi se avrei accettato o meno questa donna in analisi era stata una questione etica. Mi sembrava non fosse un'alcolista, ma un'isterica che beveva. Prenderla in analisi e dissociarla dal significante che le permetteva di non bere era stata una decisione etica di grande responsabilità. Prenderla in analisi avrebbe voluto dire riaprire la distanza tra questo significante e lei stessa. Dopo due anni ricominciò a bere. Il primo risultato dell'analisi non fu un effetto terapeutico ma, piuttosto, contro-terapeutico. Questo fatto mostra come reintrodurre una persona nella posizione di soggetto comporti seri rischi che riguardano l'etica della psicoanalisi. Il prezzo che ho pagato per questa decisione è stato quello di accettare di vederla tutti i giorni per cinque anni, e all'ora che lei voleva. Se ci si assume una responsabilità, bisogna andare fino in fondo. Non dirò che dopo sei anni il trattamento fosse concluso, ma sicuramente non possiamo paragonare la donna di oggi con quella che ho visto sei anni fa. Un'ultima parola prima di cominciare a discutere. La forza del soggetto isterico risponde molto bene alla citazione che ho sentito ieri a cena, una citazione di Demostene, fatta da Jorge Zahar, qui presente, editore brasiliano dell'opera di Lacan e dei lavori di alcuni lacaniani. È stata una cena insolita, durante la quale abbiamo avuto come ospite Demostene! Jorge Zahar non è solo un editore che produce libri, perché anche li legge, è una persona molto colta. Ecco la frase citata: “È stupido chi, sapendo di essere mortale, getta la propria fortuna in faccia al vicino o ne evidenzia la cattiva sorte.” Jorge Zahare ha spiegato che di questa frase si era fatto un principio di vita, traducendola così: non si deve vantare la propria ricchezza o rinfacciare all'altro la sua povertà. Si tratta di un principio morale di alto livello. Il soggetto isterico però va oltre. È colui che non ha nulla, ha solo un vuoto. Dal proprio vuoto, dal luogo della sua estrema povertà, il soggetto isterico rimprovera all’Altro la sua ricchezza. In analisi questo posto inconscio, così importante, si può vedere occupato dalla donna povera, come nel caso dell'Uomo dei topi, dove appare il valore essenzialmente erotico della donna povera. Si parla di soggetto isterico, ma c'è in effetti un'affinità tra isteria e femminilità, perché la donna è quella che non ha nulla, e che può mettere in discussione tutti quelli che hanno. Ecco perché è così importante ascoltare le donne. Sfortunatamente non sono una donna, ma spero di avere il privilegio di ascoltarne qualcuna. Dibattito Antonio Carlos Araújo: Quando ha parlato della valutazione delle strutture cliniche, ha detto che non si sovrappongono. Oggi ha parlato della posizione soggettiva, della rettifica e dell'introduzione del soggetto all'inconscio. Per essere più chiaro e non diffondermi in commenti, mi riferirò specificamente al caso Schreber, che tutti conoscono. È molto interessante quando studiamo il caso Schreber leggere il tentativo di interpretazione di Freud dove Freud dice che, nell'intervallo tra la prima malattia, l'ipocondria, e la seconda, nove anni dopo, quando insorge la psicosi, Schreber sogna diverse volte che il suo vecchio sintomo ritorna. Freud, in modo molto attento, lo interpreta come il desiderio di vedere il medico che lo ha curato in precedenza, il Dr. Flechsig. All'inizio Freud aveva dichiarato che la moglie di Schreber aveva un'ammirazione speciale per il dr. Flechsig, e che teneva il suo ritratto sul tavolo, poiché evidentemente pensava che il dr. Flechsig avesse rimesso il marito in buone condizioni. Vediamo poi la fantasia di soggiacere alla copula come una donna. Mi sembra che Freud, nel punto a cui mi riferisco, prenda il caso Schreber come quello di un nevrotico. J.-A.M.: Freud considera il caso come una nevrosi? Antônio Carlos: Freud interpreta Schreber come farebbe con un nevrotico, come se volesse rivedere il suo medico. Schreber, in quel momento, articola il suo desiderio come un nevrotico. Sappiamo che Lacan non rifiuta esplicitamente questo dato. Arriva al punto di dire che quando Schreber incontra Flechsig, Flechsig gli dice una frase che secondo Lacan non avrebbe mai potuto dire. J.A.M.: Mi scusi, non sono sicuro di aver capito cosa sta proponendo: sta dicendo che Freud considerava Schreber un caso di nevrosi? Antônio Carlos: Non esattamente come un caso di nevrosi, ma Freud tratta Schreber, per quanto riguarda il suo desiderio, come se fosse un nevrotico, o no? J.A.M.: Sto cercando di capire la sua domanda: penso siamo d'accordo che quello presentato da Freud, è un caso di dementia paranoides, una categoria kraepeliniana che, nei termini di Bleuler, può funzionare come categoria intermedia tra paranoia e schizofrenia. Questo caso è interessante perché troviamo tratti paranoici, ma ci permette anche di prendere una prospettiva diversa, a partire per esempio dai momenti di assoluto mutismo di Schreber. Di uno schizofrenico spesso non possiamo sapere nulla, perché non parla. Schreber, però, ha saputo poi darci uno scorcio davvero prezioso su periodi che sembrano vuoti ma in realtà erano occupati da un'intensa attività intellettuale. Mi sembra quindi che non ci siano mai state, da parte di Freud, esitazioni sulla diagnosi. Antônio Carlos: Freud interpreta il sogno di Schreber nel senso in cui la vecchia malattia, il suo sintomo, ritorna come desiderio di rivedere il suo medico, e questo tentativo di interpretazione mi sembra diretto a un nevrotico. J.-A.M.: Dobbiamo capire questo punto, che è piuttosto critico. Credo che lei evidenzi il momento di traslazione che c’è in questo caso. In realtà il desiderio di rivedere Flechsig è la testimonianza di una traslazione, e questo è il punto chiave della Questione preliminare a ogni possibile trattamento della psicosi, l’articolo di Lacan. Qual è la questione preliminare? È che la psicoanalisi funziona a partire dalla traslazione, ed è appunto la traslazione che provoca l’insorgenza della psicosi, come si vede nel caso Schreber. Il problema dunque è: come gestire la traslazione in modo che non produca questo effetto? C'è un punto importante nel suo discorso sull'interpretazione. Il caso Schreber è l’unico, tra le sue cinque psicoanalisi, in cui Freud non ha visto Schreber come paziente ma ne è venuto a conoscenza solo attraverso un libro. Si può dunque parlare di lettura o di interpretazione, ma non nel senso stretto in cui parliamo di interpretazione nell'esperienza analitica. Questo è un punto molto importante, ed è per noi una lezione il fatto che Freud abbia parlato del caso Schreber senza averlo mai visto, senza aver avuto nessun contatto con lui, né affettivo né sentimentale, avendolo conosciuto solo a partire dal linguaggio. Questo ha tuttavia senso perché, nonostante il suo delirio, Schreber voleva comunicare. Lacan lo ha evidenziato nel suo schema, affermando che per Schreber ci sono altri, c’è un pubblico a cui rivolgersi. Quello che Schreber dice ci fa apparire i pericoli dell'ammirazione. Ammirare troppo porta al delirio, sia nella psicosi sia nell'isteria. Il dr. Flechsig, che Schreber ha incontrato e che voleva rivedere, è la causa d’esordio della psicosi. Ho trovato qualcosa di simile a quel che è successo con Flechsig in occasione di una conferenza che ho tenuto in un paese europeo. Ci sono rischi anche nelle conferenze. Alla fine della conferenza qualcuno mi ha chiesto il numero di telefono, perché doveva venire a Parigi e voleva un colloquio. Arrivato nel mio studio mi ha spiegato gli effetti della conferenza su di lui: da quel momento non riusciva più a riconoscersi allo specchio. Era un effetto che non avrei voluto. Questa persona iniziò un discorso delirante su una strana sensazione che aveva nel corpo, e voleva che io giustificassi quel che avevo prodotto in lui. Era in uno stato di estrema eccitazione. Per molto tempo non ho saputo se fosse o no una psicosi innescata dalla grande ammirazione che aveva provato per la mia conferenza. Ho dovuto vederlo tre o quattro volte in un giorno perché, come ho detto, veniva da un paese straniero. Devo dire che alla fine della giornata mi sono reso conto che non avevo a che fare con uno psicotico, ma con un isteria maschile. Era molto difficile distinguerla da una psicosi in pieno esordio, poiché quella persona era uno psichiatra. Il fatto decisivo per questa intuizione è stato che il giorno dopo mi ha portato una bottiglia di whisky di marca Master, la marca del padrone. Fu questo fatto, e alcuni altri, a farmi capire che si trattava di un caso di isteria maschile. Tutto questo è durato per un po’. C’è stata qualche telefonata: “Mi dica qualcosa che mi guarisca, perché sono state le sue parole a gettarmi in questo stato.” Alla fine devo dire che la diagnosi d’isteria era giusta, e che ha iniziato a lavorare, non come tutti, perché in analisi nessuno lavora nello stesso modo di un altro, ma seriamente. Sono alcuni effetti catastrofici della traslazione, sono fatti eccezionali. Non credo che Freud abbia trattato Schreber come un nevrotico, credo piuttosto che la traslazione abbia avuto un effetto catastrofico su Schreber. Jorge Forbes: La mia domanda riguarda un punto della prima conferenza del sabato mattina, quando ha parlato della della valutazione clinica discutendo la nostra eredità psichiatrica e dell'importanza della diagnosi. Lei ha suddiviso la valutazione clinica in tre punti: i fenomeni di automatismo mentale, i fenomeni riguardanti il corpo e le relazioni di senso e verità. La mia domanda è: a proposito di questi tre punti, ha pensato a una chiave di lettura che li articoli, che ne faccia una logica? J.A.M.: Io tento di semplificare. Non avevo l'idea di cercare una chiave, ma è un suggerimento interessante. Avevo pensato di proporre questi tre punti come principio di metodo, perché in una supervisione, quando si pone il problema, si chiede: "Ha cercato i fenomeni elementari? Li ha trovati o no?". Nell'esperienza quotidiana sono un elenco di domande chiaramente non automatiche. Ho fatto una distinzione molto semplice: il mentale, il corporeo e l’ordine del linguaggio. È tuttavia una distinzione un po’ esterna. Dall’interno del discorso analitico si potrebbe formulare in modo diverso. Ci sono fenomeni elementari relativi all’immaginario. Sono i fenomeni corporei, giacché Lacan situa il corpo nell’immaginario. A volte dice un’altra cosa, ma il riferimento è lo stesso. Ci sono fenomeni elementari relativi al simbolico, come le voci, le frasi e tutto ciò che riguarda il linguaggio. Ci sono poi fenomeni elementari che evidenziano il reale, come la certezza nell'imporsi delle allucinazioni. Per individuare bene i fenomeni elementari sono necessari tutti e tre i versanti. Il soggetto può dire: "Non mi riconosco allo specchio”, ma può trattarsi di una depersonalizzazione isterica, con la perdita di identità che ne consegue. In questo caso il soggetto può manifestare la perdita dell’immagine come una sfida: "Non mi riconosco allo specchio! Che ne dice?" Uno psicotico non lancia una sfida con le sue allucinazioni, ma lotta per farle riconoscere come reali. Nel caso dell’isteria l’immagine è sempre presente. Le allucinazioni isteriche sono relative all’immagine, mentre non è così nella psicosi, dove c'è un punto di certezza assoluta, totale, in un mondo confuso. Accetto comunque il suggerimento di formalizzare quanto ho prima detto. Elizabeth Tolipan: La mia domanda riguarda la differenza, che non sono riuscita a capire bene, tra quel che ha detto questa mattina sull'importanza della punteggiatura dell'analista per fissare la posizione soggettiva, e la fissazione come superficialità, o la superficialità come modo di fissazione. Qual è il criterio per fissare la posizione soggettiva o per spostarla? J.A.M.: La parola fissare va corretta. È necessario permettere al soggetto di emergere e di localizzarsi. Quando diciamo fissare non si tratta di dare al soggetto un punto di fissazione definitivo, ma di dargli un punto di riferimento, un luogo da cui eventualmente dissociarsi. Occorre fissare e dire: "È così!”, per permettere al soggetto di prendere distanza da questo punto. Fissarlo non vuol dire identificarlo con il detto, ma sondare se è davvero ciò che vuole dire, perché possa esplicitare la sua posizione soggettiva rispetto a quel punto. Maria Cecilia Ferretti nel suo lavoro, si è riferita alla seguente scansione: "Sono un buon perdente". Aveva evidenziato questo punto in un caso, come modello del calcolo dell’interpretazione a cui è stato dedicato il recente numero di Ornicar? Abbiamo studiato questo tipo di scansioni per un anno intero, o più: il momento in cui l'analista interpreta con frasi o parole molto brevi. Il soggetto dice: "Sono un buon perdente", e l'analista mette qui una punteggiatura in modo da permettergli di chiedersi: "Sono le mie parole? Sto dicendo il vero più di quanto non credessi? Ho forse ripreso, facendola mia, una parola trovata nel discorso dell’Altro? La faccio mia o no?" La responsabilità soggettiva è esattamente nello stesso posto dell’inconscio, è il posto dove la responsabilità e l’inconscio s’intersecano. La ringrazio per aver sottolineato nella mia conferenza questa parola, perché, non si tratta certo di identificare, ma di fissare un punto che permetta eventualmente la dissociazione del soggetto dal detto. Jairo Gerbase: Quando in Salvador stavamo discutendo il nostro lavoro collettivo sulla rettifica soggettiva, abbiamo avuto questa intuizione, abbiamo sentito la necessità di aggiornare questo termine di Lacan, come ha appena fatto lei rendendolo equivalente all'isterizzazione. La nostra intuizione ci ha portato, in quel momento, a proporre come termine più attuale, l'involucro formale del sintomo. Le domando se è possibile considerare questo termine sulla falsariga del testo che ha scritto con questo stesso titolo, partendo dalla lamentela presentata al suo avvocato, che ha il compito di trasformarla in una domanda giuridicamente possibile. Sarebbe un esempio di rettifica soggettiva? J.A.M.: Sono felice di sapere che conoscete un mio lavoro di due o tre anni fa. Non ho sviluppato questo aspetto perché l'ho già fatto a suo tempo. Qui parlavo della possibilità di dar sollievo immediato alla sofferenza di un paziente a partire da una telefonata o dall'ingresso in analisi. Devo dire però che in un arco di tempo maggiore, il primo risultato dell'analisi è piuttosto un peggioramento dello stato del soggetto, è di farlo stare peggio. Il primo momento dell’analisi non ha necessariamente effetti terapeutici, nel senso di indurre un miglioramento. Al contrario, il fatto di cominciare a non capire più nulla della propria vita ha l'effetto di sintomatizzarla. Subire le recriminazioni e la svalutazione dal marito faceva parte della vita della donna di cui vi ho parlato fino al momento in cui, entrando in analisi, si è resa conto che questo non era naturale e costituiva un sintomo. Rendersi conto che nella propria esistenza non c’è niente di naturale porta a una sintomatizzazione generale della vita e del proprio mondo. Una volta ho paragonato questa situazione a una cristallizzazione. Sapete che in chimica quando si immerge un cristallo in una determinata soluzione, immediatamente tutta la soluzione si cristallizza. Ho fatto un paragone tra il cristallo e il soggetto supposto sapere, l'elemento che dissocia l'enunciato dall’enunciazione, e che, una volta introdotto, cristallizza il sintomo. Possiamo vederlo nella persona che si è presentata come alcolista. Dicendo: "Sono un’alcolista", sapeva che cosa era. Nel momento però in cui, attraverso la libera associazione, si è vista dissociata da questo significante che ripeteva nelle riunioni degli Alcolisti Anonimi, si è sentita dire: "Sono un’alcolista, ma forse sono una donna". Questo, nei primi momenti, è il risultato dell’analisi, ovvero: ”Non so più cosa sono", motivo per cui torna a bere. Quando sapeva di essere un'alcolista, non aveva bisogno di bere, le bastava ripetere: “Sono un’alcolista”, il suo significante. Presentava quindi un sintomo non fondamentale per lei, l'alcolismo, che fungeva da copertura per la sua domanda isterica. Nel corso dell'analisi, dopo sei anni, è notevolmente migliorata. Ha smesso di bere e ha ricordato un evento che coinvolgeva suo padre. Quando era ancora molto piccola lei stava piangendo e lui, per tirarla su, le aveva dato un po’ di alcol. Il ricorso all’alcol. per gran parte della sua vita, era legato a questo fatto. Il centro del problema però non era l’alcol, era suo padre. L'alcol aveva valore solo in quanto le era stato dato dal padre in un momento di panico. Luiz Henrique Vidigal: Vorrei riferirmi di nuovo alla distinzione che lei ha posto tra realtà e reale per quanto riguarda la rettifica soggettiva. Ho scritto la domanda e la leggo. Mi è sembrato, all'inizio, che questa distinzione potesse essere un punto di partenza insufficiente per capire la posta in gioco. Ricordo una discussione che abbiamo avuto a Belo Horizonte proprio sulla problematica della realtà nella rettifica soggettiva, alla quale hanno partecipato Fábio Thá, di Curitiba, e Maria Cecília Ferretti, di São Paulo. Nello schema del seminario Encore, a cui stava lavorando a Parigi all'epoca del IV Incontro, Lacan inizia a elaborare la questione della realtà, collocandola nel vettore che va dal reale all'immaginario. Diciamo che questa è un'ipotesi di lavoro. Vorrei chiedere: è possibile localizzare la rettifica soggettiva in questo spazio? Se la risposta è sì, ci sarebbe una qualità del significante a partire da questo vettore? Lei ha parlato della questione del diritto riferito al fallo. In questo caso, come si deve intendere il punto in cui grafo s’incurva, che è l'Immaginario, dove si passa da una qualità del significante a un'altra? Questo avviene nell’Immaginario? J.A.M.: È una domanda erudita, non la respingerò per questo. Mi fa fa piacere vedere come si sviluppa l'erudizione lacaniana in ogni paese. Ci sono persone che leggono ogni schema, ogni frase come meritano di essere letti, con straordinaria attenzione. È difficile immaginarlo ora, ma all'epoca in cui ogni anno Lacan produceva uno o due di questi testi straordinari, nel 1964, quando l'ho conosciuto, nessuno li aveva letti. Ci volle l'interesse dei giovani filosofi che lo circondavano per far sì che gli Scritti diventassero un'opera dello stesso interesse di Spinoza e di Kant. Quel che ha cominciato a svilupparsi allora ha portato oggi altre persone, in altre lingue, a praticare lo stesso tipo di lettura, e suppongo che questo effetto continuerà a lungo. Ho già sottolineato che il problema della rettifica soggettiva è di grande interesse. Lacan lo ha formulato nel 1958, quando il termine reale era da lui utilizzato con un valore che non ha mantenuto nel seguito. Nella prima fase del suo insegnamento, il reale era ciò che restava escluso dall'esperienza analitica, dove si trattava di considerare solo le parole. Il reale in questo senso è quel che non diciamo, è relativo ai fatti. Possiamo dire che quando Freud ha smesso di verificare i fatti, si è realizzato un taglio, una rottura importante. Ne L'uomo dei lupi, Freud ha cercato di stabilire in modo molto minuzioso, confrontando con i periodi di vacanza dei genitori, la data della scena traumatica. Questa pratica è stata presto abbandonata. Per Lacan questo è un esempio della separazione tra il reale e la verità interna del discorso. Sappiamo però che Lacan ha poi ripreso il termine reale per indicare, effettivamente, qualcosa di escluso dal linguaggio, di internamente escluso. In tal modo si può dire che il reale è l'impossibile, cosa che ha senso solo a partire dal linguaggio. Nella pura realtà non esiste l'impossibile, esistono solo le cose che ci sono. Perché esista l'impossibile è necessario ci sia una rete significante che permetta a un certo punto di dire: "Questo non può essere" oppure: "Si può immaginare tutto". Quando si incontra qualcosa di impossibile, si può dire: "Questo è reale" e localizzarlo come escluso, ma è escluso all'interno del campo del linguaggio. Lacan lo chiamava extime, l’Intimo più intimo radicalmente escluso. Due anni fa ho usato questo termine come titolo del mio corso: Extimité. Nella frase di Luiz Henrique sulla rettifica soggettiva, il termine reale si riferisce al primo senso della parola. Di cosa si tratta, per esempio, nel caso di Dora? Dora si lamentava del fatto che il padre la usasse in certo qual modo come strumento per soddisfare i propri desideri. La rettifica freudiana consiste nel farle capire che è lei stessa a mettersi nella posizione di molestata, che tale postura corrisponde al suo desiderio. In questo senso farle cogliere la sua responsabilità equivale a renderla consapevole del suo desiderio, di un desiderio che non conosce. Possiamo dire che si trattava di renderla consapevole della situazione in cui si trovava, e che questa situazione era conosciuta solo a partire dai suoi detti, in cui si presentava come vittima del desiderio dell'Altro paterno. La rettifica soggettiva consisteva nel far emergere che era lei ad agire nella propria vita, era lei, in realtà a gestire tutta la storia. Ciò di cui Freud non si era reso conto, e per questo il caso fu un insuccesso, è che Dora rivolgeva la propria domanda al fallo, la rivolgeva attraverso l'uomo. Non dobbiamo pensare che il padrone sia sempre l'uomo. Dora ha formulato la propria domanda in questo termini: "Che cosa cerca un uomo in una donna? Che cosa, agli occhi di un uomo, conferisce valore a una donna? Com'è possibile che una donna, che in fondo non ha nulla, attraverso il proprio vuoto possa essere desiderata da un uomo?". Questo si collegava alla sua domanda sul fallo. Non voglio riprendere il commento sullo schema del Seminario XX, che ho fatto qualche tempo fa in un corso, perché sarebbe necessario un nuovo seminario. Antonio Godino Cabas: Sarebbe possibile sviluppare ulteriormente la proposizione apofantica in relazione all’interpretazione? J.-A.M.: Penso di provare a collegare questi temi domani. Mi piacerebbe parlare di più sull’isteria, sull’ossessione e sulla psicosi, partendo dalla questione dell'attribuzione soggettiva, punto centrale della mia esposizione, e partendo da come si distribuisce, facendo un nodo clinico tra psicosi e nevrosi. Solo qualche parola per concludere riprendendo il tema del fissare a cui si riferiva Elisabeth Tolipan, non solo per quanto riguarda le sedute a tempo variabile, ma anche quelle brevi dei lacaniani. Con sedute lunghe è molto difficile realizzare una punteggiatura efficace, perché ogni momento di punteggiatura cancella il precedente, lasciando il soggetto in uno stato di totale perplessità. L'effetto è quello di stancare il paziente, non di localizzare il soggetto. Può essere eventualmente una politica della psicoanalisi: stancare il desiderio. Quando ho iniziato la mia pratica, non avevo ancora deciso di fare sedute brevi. Lacan non ha mai fatto propaganda per le sedute brevi. Diceva che gli sembrava il modo migliore di lavorare, perché era coerente con la sua teoria dell'analisi. Dava spiegazioni, ma non ha mai fatto propaganda. La mia analisi si era svolta così, con questa pratica, ma non mi consideravo obbligato a fare lo stesso. Volevo vedere da me come fare nella mia pratica. In primo luogo perché quando si inizia non si hanno molti pazienti, e quindi avevo molto tempo per le sedute. Posso dire che in realtà, sperimentandolo, mi è man mano sembrato impossibile non tagliare le sedute. Mettere una punteggiatura implica tagliare le sedute, altrimenti, la punteggiatura rimane completamente campata in aria, ogni momento cancella il precedente. Perché la punteggiatura si inscriva, perché il soggetto possa localizzarsi dove lo fissa la scansione della punteggiatura è necessario tagliare la seduta. Il tema lacaniano dell'interpretazione come punteggiatura è stato ripreso dall’IPA: "Anche noi mettiamo una punteggiatura". Ma mettere una punteggiatura senza tagliare è pura finzione. Traduzione di Micol Martinez
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