![]() Clotilde Leguil Lezione tenuta presso l'Istituto freudiano, sede di Milano, il 2 dicembre 2023 Il Seminario IV sulla relazione d’oggetto è stato considerato da Jacques-Alain Miller un seminario sulla figura della madre. Mentre il Seminario III sulle psicosi è un seminario sul padre, e più precisamente sulla preclusione del Nome-del-Padre nella psicosi, il Seminario IV è in effetti un Seminario che fa della figura della madre, della madre reale, la madre onnipotente, il personaggio centrale dell'elaborazione. Un ricordo della scoperta del Seminario IV
Forse questo è il motivo per cui questo Seminario del 1956-1957 è stato il primo che ho osato leggere. Era il 1998 e stavo iniziando a scoprire l'insegnamento di Jacques Lacan. La copertina del seminario ha avuto certo a che fare con la mia scelta: la figura del bambino divorato da Saturno mi ha colpito. Chi sono io se posso essere divorata in questo modo da un Altro insoddisfatto? La questione dell'onnipotenza dell'Altro e quella del "farsi divorare" dalle richieste dell'Altro materno mi sono sembrate poste in modo inedito. La madre onnipotente è definita da Lacan come la madre reale. La madre che il bambino incontra e che diventa per lui un Altro onnipotente, è la madre insoddisfatta "e come tutti gli esseri insoddisfatti, cerca qualcosa da divorare. (...). Ciò che un tempo il bambino stesso trovava a gravare sulla sua insoddisfazione simbolica, ora se lo ritrova di fronte come una bocca aperta». Questa onnipotenza dell'Altro materno porta Lacan a esplorare la preistoria dell'Edipo, che Freud ha lasciato inelaborata. Se l'onnipotenza si riferisce alla figura di Dio nella metafisica neoplatonica, per Lacan è quella di un essere reale, un essere che incontriamo e che ci suscita angoscia. In questo seminario ho scoperto anche una vera e propria teoria della mancanza, che non era più solo una mancanza definita a partire dal nulla dell'essere, come nella filosofia sartriana dell'esistenza. Avrei quindi potuto entrare nella psicoanalisi e nell'insegnamento di Lacan a partire da una questione intima e da una questione concettuale. Che cos'era questa mancanza e questo nuovo statuto della mancanza che Lacan stava concettualizzando? Qual era l'oggetto in cui il soggetto poteva vedersi diventare per l’Altro? Se la questione della mancanza mi ha parlato immediatamente – senza dubbio anche per l'esperienza della mancanza femminile – quella della cosiddetta relazione d’oggetto mi è sembrata opaca. E in effetti, non solo l'espressione relazione d’oggetto non faceva parte del mio linguaggio (concreto e filosofico), ma mi sembrava datata anche per la psicoanalisi. In fondo, la nozione di relazione d’oggetto sembrava riferirsi a un'altra epoca. Oggigiorno, in psicoanalisi, si sente parlare molto poco della "relazione d'oggetto". Si parla dell'oggetto a, certo, ma non della relazione d'oggetto, tanto che Lacan è stato in grado di mostrare l'insufficienza di questa relazione d'oggetto concepita come una relazione duale, una relazione tra il soggetto e un oggetto, per pensare l'esperienza analitica. Nel commentare per voi queste prime due lezioni, cercherò quindi di definire la relazione d'oggetto, nella misura in cui Lacan ci mostra anche la pluralità di significati di questo sintagma. Questa formula è certamente datata, ma corrisponde a un momento della psicoanalisi, quello degli anni Cinquanta, un momento considerato da Lacan come di una deviazione del movimento analitico. A partire da una lettura dei Tre saggi sulla teoria della sessualità di Freud, la questione dell'inconscio era stata cancellata a favore di quella dell'oggetto pulsionale – orale, anale, genitale. La posta in gioco della prima lezione Affrontiamo la posta in gioco della prima lezione. Qual è l'obiettivo di Lacan in questa prima lezione, che Jacques-Alain Miller ha scelto di chiamare semplicemente “Introduzione"? In primo luogo, si tratterà di reintrodurre un rapporto con il soggetto, dove i post-freudiani sostenevano un rapporto con l'oggetto. In secondo luogo, si tratterà di porre un rapporto fondamentale con la mancanza, che rimanda all'essere, cioè alla questione d'essere o non essere il fallo mancante dell'Altro. Lacan sostituisce al rapporto con la realtà, affrontato a partire dalla valutazione della maturità dello sviluppo libidico, il rapporto con la mancanza come fondatore del rapporto con l’Altro. In terzo luogo, si tratterà di mostrare che il modo in cui viene condotta l'esperienza analitica dipende da come viene concepita. "La teoria analitica e la pratica, lo si è sempre detto, non possono essere dissociate l'una dall'altra, e non appena l'esperienza viene concepita in un certo senso, è inevitabile che venga anche condotta in quel senso”. Già nel 1956, quindi, stiamo parlando di ciò che Lacan chiamerà nel 1958 la direzione della cura e i principi del suo potere. Si tratta di pensare alla pratica analitica per non sviarsi nel modo di condurre la cura. Per fare questo, Lacan comincia col mettere in discussione la relazione analitica. Che cos'è questa relazione che si intreccia, si annoda e si inventa tra l’analizzante e l'analista? Cosa riguarda questa "struttura complessa della relazione tra i due soggetti presenti nell'analisi, cioè l'analizzato e l’analista"? Se l'analista concepisce questa relazione come una relazione a due, condurrà il trattamento cercando di guidare il paziente verso un migliore adattamento alla realtà. Cercherà di normalizzare il paziente. Vedere la relazione analitica come una relazione a due significa ridurla a una relazione immaginaria, una relazione di rivalità e di potere. Significa essere ai ferri corti con l'analizzante che non accetta gli interventi dell'analista. Significa sostenere solo la parte sana dell'Io, quella che in definitiva è come l'Io. Ciò che Lacan mostrerà in "La direzione della cura", e che è già stato discusso qui, è che l'impotenza nel sostenere una prassi porta gli analisti a ripiegare sull'esercizio di un potere. Fondamentalmente, Lacan si occupa già a modo suo di ciò che nel XXI secolo viene anche chiamato: l’influenza. Collocarsi su un piano puramente immaginario nell'esperienza significa esercitare il potere cercando di avere il sopravvento sull'analizzante. L'analizzante è percepito come un alter ego, ma un alter ego meno armato, più debole, più fragile, un alter ego per il quale sarà necessario incarnare un ideale e forse anche un super-io. Per inciso, questa interpretazione che propongo è coerente con quanto verrà sviluppato in modo assolutamente sorprendente a proposito della madre insoddisfatta. La lezione XI su "Il fallo e la madre insoddisfatta" mi sembra il culmine di questo seminario, oltre ad essere il mio capitolo preferito. Anche qui si tratta dell’influenza che si esercita sul bambino quando questi cerca di eguagliarsi al fallo della madre e quando la madre, sempre mancante, diventa anch'essa una madre insoddisfatta che si presenta come una bocca aperta pronta a divorarlo. Onnipotente, dunque. L'analista non è quindi nella posizione dell’altro minuscolo, né in quella dell'Altro materno, ma in quella dell’Altro maiuscolo. L'esperienza analitica come luogo in cui il soggetto può ricevere dall’Altro il proprio messaggio Lacan comincia col dire che la relazione analitica non è, quindi, una relazione a due. Per dare conto di ciò che è l'esperienza analitica dobbiamo porre quattro termini. Inoltre, partendo da questa condizione, l'analizzante non è l'oggetto dell'analista, né il suo oggetto d'amore, né il suo oggetto di desiderio, né il suo oggetto di godimento. Lacan arriverà in seguito a spiegare che l'analista stesso si trova nella posizione di oggetto a per l'analizzante, cioè nella posizione di causa del desiderio. Ma qui, nel 1956, si sta parlando dello schema L, che è straordinariamente chiaro per render. conto dell'impasse della relazione a due. Citerò uno dei passaggi che mi sembra essenziale all'inizio di questa lezione introduttiva. Si tratta di una spiegazione dello schema L in termini di esperienza analitica. Questo schema deve essere concepito come una risposta al disorientamento degli analisti che concepiscono l'esperienza come una normalizzazione del soggetto e che finiscono per interessarsi solo all'ambiente affettivo del soggetto e non alla sua parola sulla sua mancanza. Questo schema deve essere visto come una rettifica logica della situazione analitica, che mette in gioco diversi luoghi della parola. Si tratta quindi di inscrivere “il rapporto del soggetto con l’Altro": “Ciò che si costituisce a all’inizio dall’analisi, è il rapporto di parola virtuale attraverso cui il soggetto riceve dall'Altro il proprio messaggio, sotto forma di discorso inconscio. Questo messaggio gli è vietato, è da lui profondamente frainteso, è distorto, fermato, catturato, a causa dell'interposizione della relazione immaginaria tra a e a', tra il sé e l'altro che ne è l'oggetto tipico. La relazione immaginaria, che è una relazione essenzialmente alienata, interrompe, rallenta, inibisce, il più delle volte rovescia, misconosce profondamente il rapporto di parola tra il soggetto e l’Altro, l’Altro maiuscolo, in quanto è un altro soggetto, un soggetto per eccellenza capace di ingannarsi”. Si tratta quindi di non posizionarsi, come analista, nel luogo in cui si può ostacolare il messaggio dell'inconscio, ma di posizionarsi altrove, in modo da poter fungere da mediatore simbolico. Il messaggio che il soggetto riceve dall'inconscio non viene recepito finché il soggetto è prigioniero del narcisismo. Questo messaggio viene fermato, cioè catturato dai miraggi della relazione immaginaria. Invece di sentire il significato equivoco delle sue parole sul suo essere, il soggetto si lascia catturare dal suo rapporto con l'altro, con l’altro minuscolo, come da uno specchio di se stesso. È qui che Lacan colloca la relazione oggettuale, sull'asse a-a’. Il progresso analitico non risiede quindi in una dialettica tra principio di piacere e principio di realtà, che consentirebbe al soggetto di rettificare sempre più il suo rapporto con l'oggetto pulsionale per normalizzarsi. La psicoanalisi non è "un rimedio sociale" (p. 19). Non si tratta di "normalizzare il soggetto" (p. 18). Questa falsa concezione dell'esperienza ci porta ad accentuare "il rapporto del soggetto con il proprio ambiente”» , si tratta quindi di "una riduzione di ciò che l'intera esperienza analitica offre». Il progresso analitico riguarda un nuovo sapere dell'essere, un sapere a partire dal messaggio ricevuto dall'Altro in quanto rivolto al soggetto dell’inconscio. Lacan critica quindi "una deviazione della teoria analitica” e il suo schema intende in qualche modo tracciare un nuovo percorso, un nuovo asse, che è l'asse dell'inconscio, tra l'Altro e il Soggetto. Il suo schema indica agli analisti il luogo da cui devono parlare, in modo che la loro interpretazione diventi un percorso verso il soggetto dell'inconscio e non uno sbarramento. Oggetto perduto e nostalgia Veniamo quindi al termine dell’oggetto. "Parliamo implicitamente dell'oggetto ogni volta che entra in gioco la nozione di realtà.”. Lacan intende decostruire questa presunta relazione d'oggetto, che designa allo stesso tempo il rapporto con la realtà, il rapporto con l’altro minuscolo, il rapporto con la donna, in altre parole il rapporto con tutto ciò che viene investito di libido dal soggetto. Si confonde così il rapporto con la realtà e quello con il mondo dell'Altro, fatto di parole. Si crede anche che la realtà possa offrire al soggetto un oggetto adeguato, come se potesse esserci una corrispondenza tra l'oggetto cercato e l'oggetto trovato. Ma se torniamo a Freud, e al terzo capitolo dei Tre saggi sulla teoria della sessualità, dobbiamo affermare che l'oggetto è fondamentalmente un oggetto perduto. Attraverso la tesi per la quale l'oggetto ritrovato non è mai identico all'oggetto perduto, Lacan può decostruire l'idea della relazione d’oggetto adeguata. "Freud insiste sul fatto che in qualunque sia il modo in cui l'uomo trova l’oggetto, questo è (...) la conseguenza di una tendenza a trovare l'oggetto perduto, un oggetto da ritrovare”. In questo modo Lacan introduce una dimensione fondamentale del soggetto, che non è il rapporto con la realtà, ma il rapporto con la nostalgia. Questo affetto di nostalgia, nostos algos – un dolore legato all'impossibilità di tornare, di trovare, di ritornare al paese natale, alla terra perduta, al luogo primo – questo affetto trova qui un fondamento strutturale. Non esiste un oggetto che porti a una normalizzazione della soddisfazione e deilrapporto con gli altri, perché questo oggetto è sempre già perduto. Prevalgono allora la mancanza, il fallimento, la ripetizione come commemorazione di una perdita fondamentale. Così "una discordanza si stabilisce semplicemente per via di questa ripetizione. La nostalgia lega il soggetto all'oggetto perduto, attraverso il quale si esercita tutto lo sforzo della ricerca. La quale segna il ritrovamento di una ripetizione impossibile, proprio perché non è lo stesso oggetto, non può essere lo stesso oggetto.” Quindi "ciò che si cerca non si cerca allo stesso modo di ciò che si troverà”. Qui si delinea un'intera teoria dell'analisi come luogo in cui il soggetto tratta la questione della perdita. Questa può assumere la forma del lutto (la perdita di un altro essere), della separazione (la perdita di un amore) o della perdita di un luogo. Ma fondamentalmente, ciò che l'analizzante scoprirà in analisi è che si tratta di una perdita più fondamentale, una perdita inaugurale di godimento. Lacan riformulerà la questione di ciò che è stato perso in diverse occasioni – nella fattispecie della libbra di carne, di quella della mancanza che io ero per l'altro, o ancora di quella di un plus-godere che viene a rispondere alla perdita – ma manterrà sempre la tesi che il progresso analitico è relativo all'assunzione di una perdita. L'analisi, per fare spazio al desiderio, lavora sul versante dell’assunzione di un “meno”, e non sul versante dell'incontro con l'oggetto che finalmente corrisponderebbe a ciò che serve. In questa introduzione al Seminario IV Lacan contrappone la ripetizione freudiana alla reminiscenza platonica per introdurre la dimensione della nostalgia come irrimediabile. Se la reminiscenza risponde al paradigma di ritrovare uno stato dimenticato, la ripetizione obbedisce al paradigma dell'impossibilità di ritrovare l'oggetto perduto. Dieci anni dopo, nel 1966, nel suo Seminario sulla logica della fantasma, Lacan continuerà ad esplorare la sua interpretazione della ripetizione. “La marca dipende in origine dalla funzione della ripetizione. La ripetizione si esercita solo ripetendo la marca. Ma perché la marca provoca la ripetizione che stiamo cercando? Perché quel che cerchiamo è ciò che la marca marca la prima volta. Tuttavia nei termini di ciò che ha marcato, questa marca stessa sta scomparendo”. Questo brano, di dieci anni successivo al Seminario IV, ci permette di cogliere i progressi di Lacan nell'elaborazione della ripetizione. Nel 1956, per concepire la ripetizione dal punto di vista dell'oggetto perduto, oggetto di soddisfazione pulsionale, Lacan parte dal godimento strappato al corpo, per poi concepire questa ripetizione dal punto di vista di una marca, una marca sul corpo, che cerca di ritrovarsi e che viene, per così dire, cancellata dal sistema significante. La ripetizione ha quindi a che fare con la ricerca di una ripetizione della soddisfazione. È questa relazione a essere centrale, la relazione del soggetto con una soddisfazione sempre già persa, e non la "relazione soggetto-oggetto”. (I, p. 17). Al di là dell'immaginario La funzione dell’analisi è quindi quella di liberare il soggetto dalle impasse del modo immaginario, che Lacan denuncia come mortifero fin dal 1946, nel suo Discorso sulla causalità psichica. “Vedere-essere visti, attaccare-essere attaccati", questi modi di rapporto con gli altri si basano su una “identificazione con il partner” e non su un rapporto con l'inconscio. Si tratta quindi di condurre il soggetto ad attraversare lo specchio, perché "non è sulla via della coscienza che il soggetto si riconosce, c'è qualcos'altro al di là”. Per dare conto di queste impasse del modo immaginario, Lacan si rifece a un lavoro collettivo su “La psicoanalisi oggi", commentato anche nello scritto del 1958 "La direzione de la cura e i principi del suo potere" (come sottolinea Jacques-Alain Miller nella sua nota). Il prisma della relazione d’oggetto ha portato i post-freudiani a stabilire una tipologia di individui in base alla loro maturità libidica: una tipologia tra genitali e pre-genitali. Jacques Lacan rilegge questa distinzione tra i genitali – quelli che hanno potuto svilupparsi normalmente dal punto di vista pulsionale – e i pregenitali, come rivelatori di una credenza nella possibilità di “un’infanzia, un’adolescenza e una maturità normali”. Mentre i pregenitali sono fragili perché dipendenti dall'oggetto, “i genitali, invece, possiedono un Io la cui forza e il cui esercizio delle funzioni non dipendono dal possesso di un oggetto significativo”, lo si legge anche nel capitolo a cui Lacan fa riferimento. In definitiva, in questo approccio, ci sarebbe un ideale di annullamento della perdita, un ideale di esseri non affetti dalla perdita – i genitali incarnano un ideale rispetto ai pregenitali, nella misura in cui non soffrono della perdita o della mancanza. Ma per Lacan, come per Freud, il rapporto nostalgico con l'oggetto perduto non ha niente di patologico. È costitutivo del soggetto. Lo schema L presenta dunque un al di là dell'immaginario, un al di là dello stadio dello specchio, un al di là della normalizzazione. A questa concezione riduttiva, Lacan sostituisce “la costituzione dell'altro in quanto tale, cioè in quanto parlante, cioè in quanto soggetto” che "certamente ci porta molto più lontano”. Si tratterà quindi di angoscia piuttosto che di normalizzazione. Si tratterà della funzione dell'oggetto, non come oggetto adeguato, ma come oggetto che prende il posto di ciò che manca. Se esiste un'angoscia di castrazione, Lacan mostrerà, in particolare attraverso le nozioni di feticcio e di oggetto fobico, in che senso "il feticcio si trova a svolgere nella teoria analitica una funzione di protezione dall'angoscia". Lacan interrogherà quindi lo statuto dell’oggetto in modo nuovo, chiedendosi che cosa fa sì che un oggetto assuma un valore predominante per un soggetto (il cavallo per il piccolo Hans, il luccichio del naso per il feticista) e interrogando “la differenza tra la funzione di una fobia e quella di un feticcio”. Le tre forme di mancanza d’oggetto Passiamo al secondo capitolo, intitolato "Le tre forme della mancanza dell'oggetto". Il titolo di questo capitolo indica già il lavoro concettuale che Lacan farà per dare nuovo valore alla questione della mancanza. La mancanza rimanda al soggetto, ma si declina in funzione delle categorie del reale, dell'immaginario e del simbolico. Una teoria della fine dell'analisi Lacan sviluppa già qui una teoria sulla fine dell’analisi, attraverso la sua critica al modo in cui gli psicoanalisti, persi nelle loro "divagazioni teoriche”, concepiscono la fine dell'analisi. Gli psicoanalisti credono che la fine dell'analisi sia il raggiungimento di una relazione finalmente armoniosa tra uomo e donna. Lacan dice anche che, nel discorso psicoanalitico, “l’oggetto genitale è la donna”. Ciò rivela comunque una concezione molto maschile della psicoanalisi, che affronta la questione dell'oggetto dal punto di vista della donna come oggetto del desiderio dell'uomo, senza affrontare la questione del desiderio e del godimento dalla lato della donna. Va notato che per Lacan non si tratta già di credere in uno rapporto sessuale armonioso, in una relazione tra due che potrebbero diventare Uno, in una fusione da considerare come l’esito dell’analisi. “L'esperienza comune della relazione tra uomini e donne” contraddice questa prospettiva. “Se l'armonia in questo ambito non fosse problematica, non ci sarebbe affatto analisi ». Questa tesi prefigura quella del non-rapporto, che Lacan svilupperà pienamente negli ultimi seminari e che lo porterà a dire che “un uomo e una donna possono intendersi, non dico di no. Possono intendersi gridare” o ancora, in una versione più soft, che Achille può unirsi a Briseide solo all'infinito. Quella che Lacan chiamerà l'assenza di rapporto sessuale è presente qui nel Seminario IV in filigrana come un “non funziona”, affermazione che Lacan estrae sia dal Disagio nella civiltà sia dalla Lezione 31 sulla femminilità (che pone la questione di ciò che vuole una donna come un punto enigmatico). Sulla fine dell'analisi, Lacan inizia riformulando la sua critica nei confronti di coloro che credono in un rapporto sessuale armonioso, in una forma di riconciliazione finale che attesterebbe un godimento normalizzato. “In ultima istanza, in una prospettiva ideale, il progresso dell'analisi si riduce all'identificazione con l'Io dell’analista”. Dietro questa falsa teoria della fine dell'analisi bisogna snidare una certa infatuazione da parte degli analisti, che pensano di incarnare per l'analizzante un altro Io, un Io con un "più", una forma di superiorità dal punto di vista della maturità, e che quindi pensano che il progresso della cura consisterà nel fatto che il paziente darà il proprio assenso, alla fine forzato, ai suggerimenti dell'analista in nome del suo ideale di vita. Questa concezione della cura nasconde a stento l'esercizio del potere e la forzatura che avviene non appena l'analista si trova in questa postura immaginaria dominante. Risposta alla domanda "Che cos'è l’ossessione?” Per spiegarlo, Lacan presenta in modo illuminante la nevrosi ossessiva. “Cos’è un ossessivo?” Detto in breve, è un attore che recita la propria parte e garantisce un certo numero di atti come se fosse morto. Il gioco a cui si dedica è un modo di proteggersi dalla morte. È un gioco vivente che consiste nel dimostrare di essere invulnerabile. A tal fine, pratica una forma di addomesticamento che condiziona ogni suo approccio con gli altri. Lo vediamo in una sorta di esibizione in cui lo scopo è mostrare fino a che punto può spingersi nell'esercizio, che ha tutte le caratteristiche di un gioco, comprese quelle illusorie – cioè fino a dove può arrivare l'altro, l’altro minuscolo, il suo alter ego, il suo doppio. Il gioco si svolge di fronte all'Altro, che assiste allo spettacolo. Lui stesso è solo uno spettatore, la possibilità stessa del gioco e il piacere che ne trae stanno lì. Di contro, non sa quale posto occupa, e questa è quel che c’è in lui d’inconscio. Quel che fa, lo fa per darsi un alibi. Questo può intravvederlo. Si rende conto che il gioco non si svolge dove si trova lui, ed per questo quasi nulla di ciò che accade ha davvero importanza per lui, anche se questo non significa che lui sappia da dove vede tutto questo”. “Chi, in fin dei conti, sta guidando il gioco? Sappiamo che è lui stesso, ma possiamo commettere mille errori se non sappiamo da dove il gioco è condotto. Da qui la nozione di oggetto significativo per questo soggetto. Sarebbe un errore credere che questo oggetto possa essere designato in termini di relazione duale, utilizzando la nozione di relazione d’oggetto elaborata dall'autore in questione. Vedrete dove questo porta. È chiaro che, in questa situazione complessa, la nozione di oggetto non è immediatamente data, poiché partecipa a un gioco illusorio, un gioco di ritorsione aggressiva, un gioco di imbrogli, che consiste nell'avvicinarsi il più possibile alla morte pur essendo fuori dalla portata di tutti i colpi, perché il soggetto ha, in un certo senso, ucciso in anticipo dentro di sé il desiderio, lo ha, se si vuole, mortificato”. Ho ripreso tutto il passaggio di pagina 27 perché mi sembra clinicamente illuminante per cogliere la clinica di Lacan. Si parla già di una clinica del desiderio. Ciò che viene nascosto, velato, il rapporto dell'ossessivo con gli altri minuscoli, il suo modo di presentarsi come invulnerabile e di comportarsi come se nulla lo riguardasse, come se stesse assistendo allo spettacolo del mondo messo in scena da altri minuscoli, senza che lui stesso ne sia colpito – ciò che viene nascosto non è la sua aggressività come prova della sua immaturità libidica. Ciò che viene velato è il suo rapporto con il desiderio. È talmente angosciato di fronte al desiderio dell’Altro, e al proprio stesso desiderio, che preferisce fare come fosse già morto. Così, almeno, è presentata la questione. In questo gioco con l'altro, che è in verità un gioco con il suo desiderio e con il rifiuto di acconsentire alla mancanza, ovvero alla castrazione, in questo gioco, allora, ciò che viene preso di mira è il suo desiderio, in quanto lo uccide. Fare come fosse già morto non significa affrontare il suo desiderio, ma rifiutare di pagare il prezzo per accedere al desiderio, secondo la formula che Lacan utilizzerà alla fine del Seminario VII. Significa anche puntare a spegnere il desiderio dell'altro per non aver a che fare con il proprio. La triade immaginaria Dopo aver esposto nell'introduzione il suo schema a quattro posti, Lacan introduce un nuovo schema chiamato triade immaginaria, che prevede tre posti a partire da cui pensare la relazione madre-bambino: Madre/Bambino/Fallo. Anche la relazione madre-bambino non è duale. L'introduzione di un terzo termine per pensare alla relazione d'oggetto è quindi essenziale. Questo terzo termine è il fallo. "È impossibile comprendere la nozione di relazione d’oggetto, e persino esercitarla, se non includiamo il fallo come elemento, non dico mediatore, (...) ma terzo”. Un terzo è già presente, anche prima dell'intervento del Padre, e questo terzo è il Fallo. Questa triade immaginaria permette di introdurre la questione della mancanza nella madre e la questione dell'angoscia nel bambino. Secondo la teoria freudiana, il bambino non è solo un bambino, ma è il sostituto del fallo mancante della donna divenuta madre. Il fallo viene così a designare, dal lato dell'avere, ciò che manca alla donna, e che cerca di avere diventando madre. Fin dall'inizio, quindi, c'è una dialettica di illusione e di amore tra madre e figlio. La promessa di completezza è relativa a un'illusione immaginaria, e anche in questo caso sarà l'assunzione della mancanza a liberare madre e figlio da questa impasse. Lacan pone quindi che "tutta la dialettica di un'analisi ruota intorno a un oggetto principale, che è il fallo", essendo il fallo qui indicato come l'elemento immaginario a cui il bambino cerca di eguagliarsi per essere l'oggetto del desiderio della madre. A condizione di cogliere che l'angoscia si gioca non tra due, ma tra questi tre posti, il soggetto in analisi potrà allora anche liberarsi dall'impasse che può portarlo a lasciarsi divorare. Realtà e Wirklichkeit Cosa intendiamo quando parliamo di reale in psicoanalisi? Per Lacan non si parla di realtà nel senso di quel che si sta intorno, nel senso della realtà come ciò che deve imporsi in qualità di principio rispetto alle esigenze della pulsione. Si tratta di Wirklichkeit, ossia dell’effettività. Qui Lacan reinventa la distinzione hegeliana fra Realität (tradotto dal tedesco come "realtà astratta”) e Wirklichkeit (tradotto come "effettività"), per definire la differenza tra realtà immaginaria ed efficacia simbolica. Ciò che si realizza in analisi deve essere pensato a partire dalla Wirklichkeit e non dalla realtà astratta. L'aspetto concreto dell'analisi è l'operazione di simbolizzazione, di Aufhebung, che permette l’evento del desiderio, che dà al desiderio la sua mediazione simbolica. “Il bisogno, che sappiamo, di confondere lo Stoff, o materia primitiva, o impulso, o flusso o tendenza, con ciò che è effettivamente in gioco nell'esercizio della realtà analitica, non rappresenta altro che un fraintendimento della Wirklichkeit simbolica. Il conflitto, la dialettica, l'organizzazione, la strutturazione degli elementi che si compongono e si costruiscono, danno a ciò di cui stiamo parlando una portata energetica completamente diversa”. La realtà concreta di cui parliamo in analisi non è energia, non è flusso, non è tendenza, è libido passata sotto le forche scottanti del linguaggio, è pulsione diventata in domanda, è il flusso trasformato in discorso. Oggetto transizionale e mancanza dell’oggetto Lacan rende omaggio a Winnicott e al suo oggetto transizionale per avanzare la sua tesi sulla mancanza d’oggetto come centrale. Osserva che con lui il principio di piacere era identificato “con una certa relazione d'oggetto, cioè la relazione con il seno materno, mentre noi abbiamo identificato il principio di realtà con il fatto che il bambino deve imparare a farne a meno”. Ma è anche qui che viene introdotto il termine frustrazione, come termine centrale che ha sostituito quello di castrazione. Perché "il bambino non sia traumatizzato, è necessario che la madre agisca essendo sempre presente al momento giusto, quando, nel momento dell'allucinazione delirante del bambino, viene a collocare l’oggetto reale che lo colma. Nella relazione ideale madre-bambino non c’è, quindi, all’inizio, alcun tipo di distinzione tra l'allucinazione del seno materno, che nasce in linea di principio dal sistema primario (...) e l'incontro con l'oggetto reale di cui si tratta ». Lacan introduce qui una considerazione sul primo rapporto con l'oggetto di soddisfazione per mostrare la complessità della questione della realtà. Nella prima fase, non c'è distinzione tra il seno allucinato e il seno reale. Se ne deduce che non è il rapporto con la realtà a fare da evento, ma il rapporto con la mancanza. È l'emergere della mancanza che sarà decisivo nella costituzione del soggetto. “Tutti gli oggetti con cui i bambini giocano sono oggetti transizionali. In senso stretto, i bambini non hanno bisogno di ricevere giocattoli, perché li costruiscono con tutto ciò su cui possono mettere le mani. Sono oggetti transizionali. Non c'è bisogno di chiedersi se siano più soggettivi o più oggettivi, sono di natura diversa. Anche se Winnicott non si spinge a definirli così, sono immaginari”. Quel che Winnicott chiamava oggetto transizionale, Lacan lo chiama oggetti immaginari, non nel senso che questi oggetti sono il risultato dell'immaginazione, ma nel senso che il gioco del bambino offre una prima risposta alla mancanza sul versante immaginario, sostituendo un oggetto all'assenza di un essere, alla scomparsa di un altro. A partire da questo oggetto si può delineare il simbolo della presenza e dell'assenza dell'altro. Questo è il senso dell'osservazione di Freud in “Al di là del principio di piacere”, relativamente al gioco del fort-da, che porta il bambino di un anno e mezzo a far apparire e scomparire il rocchetto mentre dice : “Qua” – “non qua". La tesi di Lacan è che il rapporto con la realtà, come mondo dell'altro, si costituisce a partire da una certa assunzione della mancanza, a partire dalla possibilità di simbolizzare ciò che non c'è, a partire dalla parola come assassinio della cosa. In questo secondo capitolo, Lacan afferma che "ciò che viene dimenticato in una simile dialettica (...) è che una delle risorse più essenziali dell'esperienza analitica, e fin dall'inizio, è la nozione della mancanza dell’oggetto". Lacan arriva così a porre la mancanza come costitutiva del soggetto. Segue le orme dell'ontologia fenomenologica di Sartre, che fa della mancanza d'essere la condizione del per-sé – ma Lacan pone la mancanza in relazione all'altro, il che distingue la sua concezione della mancanza da quella di Sartre. Egli afferma quindi "la nozione di mancanza d'oggetto come centrale. Non è negativo, ma è la molla stessa della relazione del soggetto con il mondo”. La mancanza non è un deficit, non è qualcosa che deve essere reso positivo riempiendolo. La mancanza è la molla stessa della relazione del soggetto con il mondo. In altre parole, acconsentire al rapporto con l'altro è anche acconsentire alla mancanza. Acconsentire a desiderare significa poter affrontare la mancanza. Il resto del Seminario esaminerà tre forme di mancanza di oggetto in termini di categorie del simbolico, dell'immaginario e del reale. Per Lacan, si tratta di ricollocare la frustrazione all'interno di una serie che comprende la castrazione e la privazione. Questa serie – castrazione, frustrazione, privazione – permette di distinguere con precisione i diversi statuti della mancanza. Lacan sostiene che la castrazione è un debito simbolico, la frustrazione un danno immaginario e la privazione un'assenza reale, un buco. Gli analisti sono invitati a interrogare lo statuto della mancanza per il soggetto, ponendo la questione: "Quale oggetto manca in questi tre casi?”. Ciò che manca nella castrazione non è un oggetto reale. "La castrazione di cui si tratta è sempre quella di un oggetto immaginario”. C’è quindi una confusione "tra il carattere immaginario della mancanza nella frustrazione immaginaria e il carattere immaginario dell'oggetto della castrazione”. “L'oggetto della frustrazione, invece, è in tutto e per tutto, per sua natura, un oggetto reale, per quanto immaginaria possa essere la frustrazione”; "L'oggetto della privazione è solo un oggetto simbolico”. A partire da queste definizioni di mancanza e di statuto dell'oggetto correlativo alle modalità immaginaria, simbolica e reale della mancanza, Lacan vuole rendere conto di un altro approccio alla realtà, rispetto a quello riduttivo della relazione d’oggetto adeguato alla mancanza. In breve, si tratta di affrontare il rapporto con la realtà a partire da ciò che non c'è, da ciò che dà origine alla frustrazione, alla castrazione e alla privazione, e non a partire da ciò che c'è. Allo stesso tempo, Lacan ridefinisce lo statuto dell'assenza e della presenza. In seguito, Lacan introduce un'ulteriore complessità individuando diversi statuti dell’agente. Conclusioni Mancanza e angoscia In questo inizio, ciò che presenta una vera e propria revisione della psicoanalisi è l'introduzione della mancanza d’oggetto come primaria, centrale e irrimediabile per il soggetto. Si afferma già qui l'orientamento della cura verso l'assunzione di una mancanza, che Lacan chiamerà in seguito “disessere”. Il consenso alla mancanza e al disessere saranno le condizioni del desiderio. Per concludere, vorrei sottolineare che lo statuto della mancanza è stato rivisto da Lacan nel 1963 nel suo Seminario sull'angoscia. La mancanza rimarrà costitutiva del rapporto del soggetto con il mondo. Ma l'angoscia sarà vista come ciò che sorge di fronte alla mancanza della mancanza. Rovesciando una volta per tutte la concezione esistenzialista dell'angoscia come relazione con il nulla, Lacan farà dell'angoscia ciò che sorge quando la mancanza viene a mancare, e c’è qualcosa di troppo. Potremmo ritenere che la figura della madre onnipotente, apparsa nel Seminario IV, prefiguri anche il "troppo", l'eccesso, la mancanza di mancanza che genera angoscia e segnala un pericolo. È quindi spingendosi sempre più nella direzione della mancanza che Lacan potrà anche rendere conto del reale come incontro mancato che la ripetizione commemora. Note: 1 Lacan J., Le Séminaire, livre IV, La relation d’objet, texte établi par J.-A. Miller, Champ freudien, Seuil, p. 194. 2 Ibid., p. 13. 3 Ibid., p. 11. 4 Ibid., p. 12. 5 Ibid., p. 18. 6 Ibid., p. 18. 7 Ibid., p. 14.8 8 Ibid., p. 14. 9 Ibid., p. 15. 10 Ibid., p. 15. 11 Ibid., p. 15. 12 Lacan J., Le Séminaire, livre XIV, La logique du fantasme, texte établi par J.-A. Miller, Champ freudien, Seuil, 2023, p.44. 13 Lacan J., Le Séminaire, livre IV, La relation d’objet, ibid., p. 17. 14 Ibid., p. 17. 15 Ibid., p. 17. 16 Ibid., p. 21. 17 Ibid., p. 20. 18 Ibid., p. 21. 19 Ibid., p. 21. 20 Ibid., p. 23. 21 Ibid., p. 23. 22 Ibid., p. 25. 23 Ibid., p. 25. 24 Ibid., p. 25. 25 Lacan J., Le Séminaire, livre XVIII, D’un discours qui ne serait pas du semblant, texte établi par J.-A. Miller, Champ freudien, Seuil, p. 145. 26 Lacan J., Le Séminaire, livre XX, Encore, texte établi par J.-A. Miller, Champ freudien, Seuil, p. 13. 27 Lacan J., Le Séminaire, livre IV, La relation d’objet, ibid., p. 26. 28 Ibid., p. 26. 29 Ibid., p. 27. 30 Ibid., p. 27. 31 Ibid., p. 28. 32 Ibid., p. 33. 33 Ibid., p. 34. 34 Ibid., p. 34. 35 Ibid., p. 35. 36 Ibid., p. 35. 37 Ibid., p. 36. 38 Ibid., p. 37. 39 Ibid., p. 38. 40 Ibid., p. 38 41 Ibid., p. 38. 42 Ibid., p. 38. Traduzione di Micol Martinez
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