![]() Conferenza tenuta via zoom il 6 febbraio 2021 per l'Escuela lacaniana de psicoanalisis di Siviglia. Marco Focchi I corsi di Miller tenuti negli anni centrali del decennio Novanta cadono dopo un momento cruciale nel quale viene in luce un nodo fondamentale relativamente ai concetti di Lacan: si tratta infatti del passaggio, ricco di implicazioni teoriche e di conseguenze cliniche, nel quale Miller mette in questione la nozione di Altro. Sappiamo che l’Altro è un cardine, un asse portante nell’insegnamento di Lacan: come concetto viene introdotto nel Seminario II, quando Lacan ha bisogno di distinguere un piano diverso da quello immaginario dove si realizza la simmetria tra gli ego e tra le molteplici figure di altro tra loro omogenee, e diventa necessario collocare un luogo del simbolico. Questo differente piano, contrassegnato come Altro maiuscolo, è quello che Lacan definisce come “muro del linguaggio”.
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![]() Marco Focchi Un tema clinico impostosi nel lavoro del Campo freudiano durante i decenni che ci separano dalla morte di Lacan è senz’altro quello del declino del Nome del Padre. Si tratta di un tema che ci fa entrare nell’ordine di idee di una pratica non più necessariamente imperniata sulla metafora paterna, concetto centrale nell’elaborazione di Lacan degli anni Cinquanta, e che apre la prospettiva della pluralizzazione. ![]() Marco Focchi Freud alla fine della sua vita era rimasto almeno con un enigma irrisolto, quello della sessualità femminile: non so cosa vuole una donna, diceva. Svelata la componente sessuale soggiacente all’isteria, messa in luce la sessualità infantile, il maestro viennese inciampava nel desiderio di Dora, che voleva la signora K, non suo marito come ci si sarebbe dovuto aspettare. D’altra parte non possiamo dire che l’epoca fosse favorevole a far parlare le donne del loro desiderio. Conferenza tenuta via zoom il 16 dicembre 2020 per la comunità milanese della Scuola lacaniana di psicoanalisi.
Marco Focchi Se ci domandiamo a che punto siamo con la psicoanalisi oggi, è perché ci stiamo ponendo un problema molto diverso da quello che si formulava nel titolo del convegno tenuto a Milano nel giugno del 1997. Allora non c’era ancora la SLP (Scuola Lacaniana di Psicoanalisi), e il convegno si teneva sotto la sigla del GISEP, il gruppo di studio che aveva il compito di preparare il terreno per la costituzione della SLP. Il titolo del convegno era: L’identità freudiana della psicoanalisi e l’insegnamento di Jacques Lacan (1). Nel ’92 il problema era in effetti riconoscere e affermare la filiazione freudiana della nostra pratica, trovare il filo di continuità che la rendeva riconoscibile come portatrice del marchio del fondatore. Era chiaro allora che il nome di Freud era un Nome-del-Padre, che era una parvenza, e questo era reso esplicito anche nell’intervento conclusivo di Jacques-Alain Miller. Quelli erano tuttavia anche gli anni in cui ci ripetevamo la frase di Lacan che del Nome-del-Padre possiamo fare a meno a condizione di farne uso. Il riferimento all’identità freudiana andava dunque in questo senso: far uso, dove questo significa che la parvenza è quel che utilizziamo per puntare al reale. Il nuovo libro di Marco FocchiPresentazione
Lacan è uno di quei pensatori classici la cui miniera di pensiero non è logorata dal tempo, e la cui lettura va continuamente ripresa, sviluppata, riarticolata, rimessa al lavoro.
Non è da molto che abbiamo incominciato a leggere Lacan. È stato solo da dopo la sua morte, nel 1981. È del 1981-1982 infatti il corso di Jacques-Alain Miller che ha avuto per quell’anno il titolo La clinique lacanienne. Quello di Miller è stato un movimento inaugurale che, invece di usare gli aforismi di Lacan in modo sloganistico come si faceva all’epoca, ha iniziato a entrare in un meticoloso lavoro di ricostruzione dei mille fili e dei mille intrecci che bisognava andare con pazienza a scovare nel testo, evidenziandoli rispetto a quel che era invece più appariscente e di più immediata presa nello stile brillante del maestro francese. Anche il titolo del primo corso di Miller ha un valore programmatico. La lettura di Lacan è infatti iniziata per estrarre dal suo testo un orientamento per la pratica clinica della psicoanalisi e, una volta messi nella giusta prospettiva, non c’è seminario o conferenza, o allocuzione di Lacan che non tenga sullo sfondo una preoccupazione per la cinica, che non senta la necessità di forgiare e presentare i concetti che servono per orientare una pratica complessa come quella della psicoanalisi, dove la via facile di un empirismo improvvisato tende piuttosto a smarrire la rotta.
In questi quasi quattro decenni, nel Campo freudiano, nello spazio cioè in cui si è sostenuto l’orientamento di Lacan in Europa, nelle Americhe, in Australia e ora anche in Cina, abbiamo proceduto tenendo la rotta sempre in questa direzione, dissodando il terreno della clinica e creando una modalità di lavoro che ha dato prova di sé non solo negli studi privati, tra poltrona e divano, ma in quella che abbiamo chiamato psicoanalisi applicata, cioè una psicoanalisi che esce dalle proprie torri d’avorio per entrare negli spazi sociali, negli ospedali, nelle strutture sanitarie, nelle comunità, nelle scuole, nei tribunali, nei consultori, in tutta la rete di canali delle professioni d’aiuto. Paradossalmente, quello che era sempre apparso come un autore complesso, ricercato, ostico, si è rivelato lo strumento utile per aprire la strada nelle pratiche sociali più diverse, per dare un orientamento, per produrre risultati concreti.
In questo libro presento quello che è il mio contributo al lavoro di lettura di Lacan, che è in realtà un lavoro collettivo, che non potrebbe essere altrimenti che collettivo. In una grande corrente di pensiero ciascuno può tuttavia dare un proprio taglio, una propria aggiunta, mettere un proprio ingrediente. È quel che ho tentato di fare in questi anni, e il presente libro raccoglie i temi che ho sviluppato in varie circostanze d’insegnamento nelle diverse città d’Europa dove la Scuola di Lacan ha messo radici. Si tratta della rielaborazione di occasioni di riflessione che hanno avuto luogo negli incontri e negli scambi con colleghi e con allievi. Questo è un libro che si può leggere in molti modi. Chi avrà la pazienza di percorrerlo dall’inizio alla fine potrà scoprire un filo conduttore di fondo che traversa i momenti, i temi, e i concetti più diversi, una sorta di basso continuo in cui appaiono le chiavi che mi guidano nell’interpretare il testo di Lacan. Ma è un libro che può essere usato anche in un altro modo. Ogni capitolo ha una sua indipendenza, e anche la bibliografia è concepita con l’idea di rendere autonomo ogni capitolo. Se un riferimento testuale è menzionato in un capitolo e riappare in uno successivo, non è presentato come già citato, ma è riproposto con la menzione bibliografica completa. Si può cominciare dal fondo, dal mezzo, da un punto qualsiasi secondo gli interessi del lettore. Invertire l’ordine dei capitoli non fa perdere il filo della coerenza, perché l’ordine di successione è scelto con un criterio che non è quello della progressione, ma della ripresa da sfaccettature sempre diverse. Ho suddiviso il materiale in quattro grandi aree tematiche. Inizio con la psicosi, perché è il punto d’entrata nella psicoanalisi di Lacan. Se Freud è partito dall’isteria, Lacan ha preso le mosse dalla paranoia, e se ha potuto introdurre gli oggetti pulsionali delle sguardo e della voce è proprio estraendoli dalle formazioni deliranti delle psicosi. Proseguo con il tema della conduzione della cura, dove Lacan ha dato precise bussole per non farci smarrire nel realismo ingenuo che ricade in una sorta di buon senso comune. Questo è un rischio sempre presente quando l’interpretazione vira al consiglio orientato sul supposto bene del paziente anziché sulla stella polare del desiderio inconscio. Ho poi inserito sei capitoli di esplorazioni sull’inconscio. Tema sfuggente questo, evasivo: cogliamo qualcosa dell’inconscio solo quando ci scappa di mano, e se non seguiamo il rigore di Lacan nel formularne il disegno mutevole – uso il temine disegno a ragion veduta, anche se sarà oggetto di un libro successivo – perdiamo l’aggancio che ci permette quel che è stata chiamata una pratica senza standard ma non senza principi. Concludo con due capitoli su verità e godimento, termini in cui si delinea la svolta maggiore nell’orientamento clinico di Lacan, che ci porta a ridirigere l’intervento analitico da un valore semantico, come quello della verità, dove l’interpretazione può ancora consonare con il senso, alla scrittura pulsionale, fatta di segni o, ancora, di disegni, di mappe sul corpo che seguono i tracciati delle zone erogene. È il corpo che fa la sua apparizione nell’ultimo insegnamento di Lacan, non quello immaginario della relazione speculare, che fissa le forme identificative, ma quello mosso nel dinamismo della danza, un corpo che non sta in posa, come è limpidamente indicato nel testo di commento al libro di Marguerite Duras. Devo ringraziare i colleghi e amici che, in tutti i Paesi del Campo freudiano, sono stati interlocutori con me nei momenti di presentazione delle mie letture di Lacan, arricchendomi con le loro osservazioni, e gli allievi dell’Istituto freudiano, che con le loro domande e con la loro accesa curiosità mi hanno aiutato a rendere più chiari e penetranti i concetti su cui lavoravamo insieme. ![]() Intervento alla tavola rotonda tenutasi il 16 novembre 2020 su piattaforma Zoom in occasione della presentazione del nuovo numero della rivista Enlaces Marco Focchi Ringrazio la redazione di Enlaces per l’invito rivoltomi a presentare questa bella rivista. È un piacere essere con voi a Buenos Aires questa sera, pur restando a Milano. Sono i vantaggi della piattaforma Zoom. Liliana Mauas mi ha proposto di parlare della sezione della rivista dedicata alla pandemia. La prima cosa da dire a questo proposito è che la pandemia ha completamente investito le nostre vite negli ultimi mesi, e la psicoanalisi non poteva restare fuori da questo straordinario tsunami. Dappertutto la preoccupazione del contagio ha fatto scoprire le virtù del telelavoro e, nel momento della serrata di marzo e aprile, tempo della prima ondata, anche gli psicoanalisti hanno trasferito le loro attività su Skype, per la clinica, e sulle diverse piattaforme internet per quanto riguarda gli insegnamenti. ![]() Marco Focchi Ampliamento del discorso tenuto su piattaforma zoom il 22 settembre 2020 per il Centro Heta di Ancona Ha preso sempre più spazio, nei nostri discorsi clinici, il riferimento al reale. Parliamo di un inconscio reale, del reale del godimento, del reale del trauma, ma spesso sembra che quel che intendiamo con questo termine ci scivoli dalle dita, e che per quanto sia diventato ormai caratterizzante del nostro lessico, non sempre ne abbiamo un’idea precisa. Sull’argomento ritorna Jacques-Alain Miller nella parte finale del suo insegnamento. “Che cos’è, in fin dei conti, il reale?”, si domanda a un certo punto nel corso L’uno-da-solo (pag.19). Direi che nel suo insieme il corso potrebbe andare sotto l’insegna di questa domanda. Il desiderio è il desiderio di un oggetto che viene sempre inseguito e che sfugge sempre. Così, almeno, è nel contesto edipico, che Lacan formalizza come metafora paterna. Ma Lacan non si ferma a questo. L'oggetto che provoca il desiderio non è un oggetto da perseguire, ma un oggetto che spinge il soggetto, che provoca il desiderio. Ecco, quindi, l'orizzonte si allarga. L'immagine del fantasma delinea un orizzonte multiplo, che ha in sé, come ha detto Miller, le condizioni di un al di là dell'Edipo. Cercheremo quindi di esplorare il desiderio in questo nuovo contesto e in questa nuova definizione. Video tratto dal seminario del Campo Freudiano di Granada. 11 marzo 2016.![]() Intervento presso la NEL (Nueva Escuela Lacaniana) tenuto via web il 27 giugno 2020. Marco Focchi Capita che alcuni pazienti vengano in seduta lamentando qualche difficoltà della loro vita, aggiungendo però che sembra loro strano trovarsi con questo problema: hanno avuto una famiglia normale, dicono, non hanno subìto traumi, né ci sono particolari conflitti che possano ricordare. Se li si invita tuttavia a rievocare i primi esordi del problema che lamentano, il più delle volte si risale all’inizio dell’adolescenza, nelle prima fasi della soglia che segna l’uscita dall’infanzia. L’adolescenza – è la tesi che vorrei proporre – può essere considerata in effetti un tempo di passaggio più che una fase, la soglia d’uscita dall’infanzia, una soglia che Lacan colloca in un elenco costituito da una successione di momenti di crisi: “Svezzamento, intrusione, Edipo, pubertà, adolescenza, ciascuna della quali [crisi] rifà una nuova sintesi degli apparati dell’Io in forma sempre più alienante per le pulsioni che vengono così frustrate, e sempre meno ideale per quelle che trovano qui la loro via di normalizzazione” (Introduzione teorica alle funzioni della psicoanalisi in criminologia; Lacan, Cénac, 1950). All’inizio degli anni Cinquanta Lacan sta sviluppando una clinica propriamente hegeliana, e la forma a cui si riferisce è quella del processo tesi-antitesi-sintesi, la cui causa Lacan riconosce in quello che all'epoca considera come uno tra i fenomeni più fondamentali scoperti dalla psicoanalisi, cioè l’identificazione. ![]() Marco Focchi Intervento tenuto il 14 giugno 2020 nell'ambito del ciclo La pratica analitica organizzato via web dalla Scuola lacaniana di psicoanalisi. Il tema La presenza dell’analista, proposto per questo incontro nell’ambito del ciclo La pratica analitica, si presta particolarmente bene per affrontare gli interrogativi sorti nella fase di serrata – vissuta in questi mesi per via dell’emergenza sanitaria – che ha costretto la maggior parte di noi a proseguire i trattamenti attraverso internet o per telefono, evitando per l’appunto gli incontri in presenza. I trattamenti da remoto Sul problema dei trattamenti da remoto si è aperto ora un importante dibattito in cui si sono espresse diversi punti di vista sui social, sui blog, su tutti i nostri canali di scambio e di contatto via web. Le posizioni sono state le più diverse, spesso in contrasto tra loro anche se tutte legittime. Ritengo che per il momento si tratti di opinioni in cui si riflettono per un verso le inclinazioni soggettive di ciascuno, per altro verso le esperienze personali fatte durante il periodo di confinamento. La logica del quadro analitico in quanto tale può emergere solo dal dibattito stesso, attraverso una dialettica e un confronto che si prospetta promettente per la nostra pratica. Un punto interessante mi sembra sia stato posto dal testo di Matteo Bonazzi uscito nel n° 6 di Rete Lacan, dove Bonazzi fa una distinzione tra forma e discorso e considera che la struttura del discorso analitico può presentarsi empiricamente in diverse forme, legate a diverse contingenze, una delle quali è senz’altro quella che stiamo vivendo. Da questo punto di vista si tratta di mettere in discussione anche il termine presenza, che non può più essere dato per scontato in seguito al vaglio che ha subito nel pensiero del Novecento, dopo Husserl, Heidegger, Derrida. |
Marco Focchi riceve in
viale Gran Sasso 28 20131 Milano. Tel. 022665651. Possibilità di colloqui in inglese, francese, spagnolo Archivi
Marzo 2021
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