![]() Discorso tenuto il 2 marzo 2011 a Milano nel ciclo di preparazione al Convegno di Catania sul tema Modernità della psicoanalisi di Marco Focchi Nel Seminario sui quattro concetti fondamentali della psicoanalisi Lacan definisce l’inconscio dicendo che non ha uno statuto ontico, ma etico. È una formula a cui siamo ormai abituati, che ci sembra di sapere, e la leggiamo o la ripetiamo quasi senza più interrogarla. In realtà è una formula che dice qualcosa d’importante, e sulla quale vale la pena di soffermarsi. Consideriamo che il Seminario sui quattro concetti fondamentali è del 1964, e sono passati pochi anni da quando Lacan ha introdotto il tema dell’etica, e ha tenuto il Seminario sull’Etica della psicoanalisi. La parte principale del Seminario sull’etica, la parte iniziale che costituisce il corpo maggiore del seminario, è dedicato a delineare un elemento eterogeneo rispetto al campo delle rappresentazioni – delle Vorstellungen, di cui parla Freud – rappresentazioni che Lacan rilegge alla luce della sua teoria del significante.
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![]() Discorso tenuto il 3 giugno 2011 al seminario estivo del Laboratorio freudiano - sede di Milano di Marco Focchi Il seminario Les non-dupes errent, come tutti gli ultimi seminari di Lacan, è fatto di molti fili che s’intrecciano, sviluppa una ricerca che segue molte strade, e non ha il carattere sistematico o, meglio, focalizzato dei seminari degli anni Cinquanta. Il discorso di Lacan imbocca qui diverse direzioni e in nessuna è dato un vero e proprio punto d’arrivo. Senza entrare nei molti filoni di riflessione che il seminario contiene, è possibile però considerare un piano generale, un orientamento d’insieme che ne dà il tono. Troviamo qui innanzi tutto il primo momento in cui Lacan avvia un’esplorazione sistematica del nodo borromeo e delle sue caratteristiche. Il nodo borromeo fa la sua prima apparizione in Encore, dove è presentato come una scoperta recente. L’anno successivo, con Les non-dupes errent e con la perlustrazione sistematica delle possibilità del nodo, Lacan avvia, a partire da queste, un radicale ricentramento della clinica psicoanalitica in termini borromei. ![]() di Marco Focchi Nel seminario Le savoir du psychanalyste Lacan dà un’illustrazione brillante e sintetica del modo in cui opera la cura psicoanalitica: in quella riproduzione della nevrosi spontanea che si realizza con la nevrosi di traslazione – dice – occorre reperire un significante che ha segnato un punto del corpo. Si tratta quindi di mettere in moto una ripetizione che costruisce un modello della nevrosi, e che in tal modo svuota questo significante di godimento, perché il godimento vuole il privilegio, e ogni duplicazione lo uccide. Siccome la nevrosi – aggiunge – non senza ragione è attribuita all’azione dei genitori, lo psicoanalista può sostenere la propria operazione solo occupando il posto del genitore traumatico. Il potere della cura, qualunque sia la configurazione famigliare che fa da sfondo al soggetto, attinge quindi la propria autorità da una specifica posizione che ha per il soggetto un valore costituente. In altre parole Lacan sostiene qui che occorre collocarsi nel punto di scaturigine, dove le cose iniziano, in un punto eccentrico rispetto a tutto quel che viene dopo, un punto che è fuori dalla serie e che al tempo stesso sostiene la serie. Questo punto, dove le cose iniziano e trovano la loro singolarità, è lo stesso con il quale le famiglie ipermoderne si trovano sempre più in difficoltà, perché l’omogeneizzazione della vita contemporanea tende a sfumarlo, a opacizzarlo, a farlo svanire. ![]() di Marco Focchi Lacan conduce un grande lavoro di ripensamento della psicoanalisi lungo tutto il corso dei suoi seminari che passa – in particolare in quel che chiamiamo il suo ultimo insegnamento, a partire dagli anni ’70 – attraverso un serrato confronto con diversi campi del sapere e con la filosofia. Lacan cita, e commenta in modo memorabile, soprattutto Platone, Aristotele, Cartesio, Kant, Hegel, Kierkegaard e Heidegger. Con tutti questi filosofi Lacan dialoga, anche se non con tutti con la stessa intensità. Il filosofo che ha dato l’impronta decisiva alle riflessioni di Lacan negli anni fino al ‘60 è certamente Hegel. Avendo frequentato i seminari di Kojeve su Hegel, Lacan ne assorbe i concetti, e li riformula alla luce della clinica psicoanalitica. L’anima bella, l’infatuazione, la legge del cuore, sono tutti temi hegeliani trasformati da Lacan in concetti clinici, e che contrassegnano la prima parte del suo insegnamento. Qualcosa poi comincia a cambiare, e si sente in particolare nel seminario del ‘62-‘63 sull’angoscia, quando Lacan comincia a modificare lo schema hegeliano di Signoria e servitù da cui Kojeve desume la formula: ”Il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’altro”. Nella problematica hegeliana della lotta di puro prestigio con l’altro per far riconoscere il proprio desiderio, l’altro è ancora una coscienza, e la posizione tra le due coscienze è simmetrica. Lacan fa entrare in gioco, in questo confronto, attraverso l’inconscio, l’idea di una mancanza che dissimmetrizza lo schema hegeliano. Nelle formule di Hegel, fronteggiandosi, il soggetto e l’altro sanno cosa vogliono, e vogliono farlo riconoscere. Nella formula di Lacan, l’inconscio fa entrare un margine di non sapere: l’altro che il soggetto ha di fronte non è semplicemente una figura in carne e ossa, è uno schermo, è lo schermo del fantasma. ![]() di Marco Focchi Cosa si intende quando si parla di valutazione dei risultati nelle psicoterapie? Può sembrare scontato. Le psicoterapie razionali, a differenza di quelle che Singer e Lalich hanno battezzato psicoterapie folli – cioè senza paradigmi teorici precisi di riferimento, stravaganti nei loro modi d’intervento e discutibili negli obiettivi che perseguono, come viaggi rivelatori nel passato, guarigione cosmica o guarigione della Dea bianca – hanno precisi modelli di riferimento, punti di mira ben riconoscibili, risultati verificabili. La razionalità ci salva dal magma indefinito di un misticismo che collega tutto con tutto, e in cui niente viene mai a capo di esiti tangibili. Siamo sicuri però che la ripartizione razionale/folle sia una buona guida per sceverare, in questo campo, il grano dal loglio? Il confine tra ragione e follia, così saldo agli albori della modernità, concretatosi anche fisicamente con solidi muri di separazione come quelli dei manicomi, non ha più tanto credito nella riflessione contemporanea. Foucault, su questo, ha segnato un punto senza ritorno. |
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