Discorso tenuto il 3 giugno 2011 al seminario estivo del Laboratorio freudiano - sede di Milano di Marco Focchi Il seminario Les non-dupes errent, come tutti gli ultimi seminari di Lacan, è fatto di molti fili che s’intrecciano, sviluppa una ricerca che segue molte strade, e non ha il carattere sistematico o, meglio, focalizzato dei seminari degli anni Cinquanta. Il discorso di Lacan imbocca qui diverse direzioni e in nessuna è dato un vero e proprio punto d’arrivo. Senza entrare nei molti filoni di riflessione che il seminario contiene, è possibile però considerare un piano generale, un orientamento d’insieme che ne dà il tono. Troviamo qui innanzi tutto il primo momento in cui Lacan avvia un’esplorazione sistematica del nodo borromeo e delle sue caratteristiche. Il nodo borromeo fa la sua prima apparizione in Encore, dove è presentato come una scoperta recente. L’anno successivo, con Les non-dupes errent e con la perlustrazione sistematica delle possibilità del nodo, Lacan avvia, a partire da queste, un radicale ricentramento della clinica psicoanalitica in termini borromei. Bisogna dire che l’introduzione del nodo borromeo trasforma completamente l’impianto d’insieme della psicoanalisi, aprendo una prospettiva in cui dobbiamo ancora oggi iniziare aa addentrarci e a orientarci. Quali sono le grandi novità che introduce l’ultimo insegnamento? La prima è senz’altro la degerarchizzazione dei registri simbolico, immaginario e reale. Questa tripartizione, introdotta nel 1953 in una conferenza all’apertura dei lavori della Societé Française de Psychanalyse, resta per Lacan un filo rosso della sua riflessione, ma il suo valore cambia nei diversi stadi che questa attraversa. Nella fase strutturalista, negli anni Cinquanta, simbolico e immaginario sono senz’altro pensati in ordine gerarchico. Polemizzando con la corrente della psicologia dell’io, Lacan si rivolge infatti a Melanie Klein, di cui riconosce la grande spinta innovativa nell’esplorazione del mondo fantasmatico. Si tratta però di un avvicinamento critico, e Lacan respinge l’accento che il kleinismo mette sul valore immaginario del fantasma, sentendo invece necessario farne emergere le strutture simboliche.
La distinzione dei tre registri va in questo senso, e punta ad affermare il predominio del simbolico sull’immaginario. Il simbolico è innanzi tutto un principio d’ordine, costituito di opposizioni e discontinuità, in contrasto con l’immaginario, che è fatto di gradazioni ininterrotte. L’antinomia tra discreto e continuo sta alla base formale della differenza tra simbolico e immaginario. La determinazione inconscia viene allora dalle strutture simboliche che l’immaginario offusca, e che occorre quindi far apparire. Nel procedere della cura psicanalitica il simbolico deve rivelarsi come il principio ordinatore da cui proviene la determinazione inconscia, e occorre dissipare il velo dell’immaginario, che risulta essere una fonte di misconoscimento. Per quanto riguarda poi il terzo registro, il reale, in questa fase è semplicemente escluso dalla scena psicanalitica. Il termine reale non ha ancora il senso che assumerà a partire dagli anni Sessanta, ed è caratterizzato piuttosto, in modo prettamente freudiano, attraverso la distinzione tra realtà psichica e realtà esterna. Per quanto riguarda la realtà Lacan ha poi una posizione classica, condivisa dalla maggior parte degli psicoanalisti dell’epoca: la realtà va lasciata fuori dallo studio analitico, come il cappello che si appende prima di entrare nella stanza. La psicoanalisi opera sul fantasma, che inquadra la realtà, e tutti i problemi concreti, tutte le difficoltà pratiche della vita di cui il paziente tende a lamentarsi, sono messi in sospeso e rimandati alle loro determinazioni fantasmatiche. Il fiorire delle psicoterapie di ispirazione analitiche, o in opposizione alla psicoanalisi, cresciute in quegli anni, mirava proprio a reintrodurre, in modi diversi, il rapporto con la realtà che la pratica psicoanalitica di quegli anni tendeva a non affrontare, considerando che la soluzione dei problemi del paziente sarebbe stato un effetto collaterale dell’esperienza analitica e non poteva essere messa nel conto. Il che per un verso è vero, ma per un altro no. È vero cioè che le determinanti del modo in cui il soggetto vive la propria realtà sono altrove, in un Altra scena da esplorare, ma non è vero che questo escluda, se non per un eccesso di purismo, la possibilità di trattare i problemi concreti del soggetto. Problemi di questo tipo, non considerati dalla psicoanalisi di quegli anni, hanno contribuito alla crisi della clinica nella psicologia dell’io, e al proliferare di nuove correnti, come la narratologia, nata dagli allievi degli esponenti di spicco della psicologia dell’io che volevano tornare alla concretezza della clinica, e lo facevano, per esempio, tagliando fuori la metapsicologia. Lacan seguì altre vie per affrontare questi stessi problemi, e sono le di cui vediamo il tracciato nei seminari degli anni Sessanta e Settanta. Con Les non-dupes errent salta quindi la gerarchizzazione dei tre registri e il reale, che negli anni Cinquanta era semplicemente fuori gioco, e negli anni Sessanta cominciava appena a venir formulato, con questo seminario diventa il centro della ricerca di Lacan. Il reale – dice in una delle prime lezioni – è qualcosa che precede l’ordine – “La nozione di ordine – aggiunge – mi disturba. Cerco di uscirne attraverso la nodalità”. Se dice che cerca di uscirne perché in effetti ne è stato preso, è perché tutta la prima parte del suo insegnamento è implicata in questa nozione di ordine: lo è infatti strutturalismo è l’imposizione di un ordine sul reale. In Les non-dupes errent, invece Lacan mette in contrapposizione ordine e nodalità, e la nodalità risulta essere un modo di cogliere il reale diverso che a partire dal simbolico sovraimposto. Partire dal simbolico per arrivare al reale significa incontrarlo come impossibile. Negli anni Settanta Lacan fa piuttosto il cammino inverso, e non a caso incontriamo alcune ricorrenze dove coniuga il reale con il possibile. Intaccare la priorità del simbolico ha una serie di importanti conseguenze per quanto riguarda la clinica. Cosa ne è di una clinica che si fonda sull’idea che l’inconscio è strutturato come linguaggio quando togliamo la priorità del simbolico? Non dimentichiamo che un punto fermo della clinica di Lacan negli anni Cinquanta è il rovesciamento della prospettiva che pone al centro l’autonomia del soggetto inaugurata dalla svolta cartesiana. Al posto dell’autonomia del soggetto Lacan parla di autonomia del simbolico, struttura dotata di leggi proprie di cui occorre far emergere la nervatura formale. La dialettica intersoggettiva, secondo Lacan, è integralmente condizionata dall’Altra scena, cioè dal palcoscenico in cui si muove il macchinario dell’inconscio strutturato come un linguaggio. L’autonomia del simbolico è l’assioma necessario per studiare le leggi costitutive e determinanti di un linguaggio di cui il soggetto è semplicemente un effetto. Solo partendo da questa premessa si può considerare che, muovendo le leve del linguaggio, si producano ricadute cliniche sul soggetto. Man mano che la riflessione di Lacan mette al vaglio e in discussione – non apertamente, ma in modo chiaramente riconoscibile – questi assiomi, si produce uno spostamento verso la nozione di scrittura. A partire dagli anni Settanta, inizialmente in un dibattito con Derrida, la traccia, il tratto, la scrittura prendono sempre più spazio, fino a che, in Les non-dupes errent, Lacan giunge a identificare il reale e la scrittura, parlando del nodo stesso come di una modalità di scrittura. Questo spostamento d’accento dal significante alla scrittura costringe a ripensare l’orientamento della clinica. L’idea espressa in Funzione e campo è infatti che l’esperienza psicoanalitica, attraverso una donazione di senso, debba procedere a colmare le lacune della storia del soggetto decifrando, a partire dai monumenti rimasti e dalle vestigia – in questo Lacan è molto freudiano – gli strati archeologici precedenti che l’azione analitica fa affiorare. Quando mette l’accento sulla scrittura Lacan mette invece l’accento su qualcosa che definisce come la funzione dell’illeggibile. La cura, fino a tutti gli anni Sessanta, doveva condurre a un disessere, a uno svuotamento, al riconoscimento di una mancanza, che in termini freudiani è il riconoscimento della castrazione. L’analisi doveva toccare questo limite giungendo a un punto d’impossibile in cui il sintomo si dissolve. La scrittura è invece la traccia reiterata, la cantilena ripetitiva dell’Uno, il segno di godimento che è puro segno contabile, e non parola piena o vuota di senso. Questo segno è quello che il linguaggio lascia sul corpo, buco, strappo nell’immaginario, trauma, troumatisme come si esprime con un neologismo Lacan in questo seminario: il trauma è anche buco, un buco che non è da colmare né da suturare. Il segno del linguaggio sul corpo non è un segno che si risolve, che si dialettizza, che si compone con altro segno per un’Aufhebung, è un segno opaco del godimento, ed è da questa opacità che si desume il carattere illeggibile della scrittura. Questo segno è il sintomo nella formulazione che viene ad assumere nell’ultimo insegnamento di Lacan, cioè non qualcosa di interpretabile, non il significante il cui significato è rimosso, ma il segno indelebile di un godimento che non entra nella dialettica del senso. Con il nodo e con l’uscita dalla struttura gerarchizzata dell’ordine si delinea un’altra fondamentale conseguenza per la clinica che a partire da qui si differenzia dalla precedente clinica strutturale: è la perdita della centralità del Nome del Padre, come annuncia il titolo stesso del seminario, che passa dal singolare al plurale. Les non-dupes errent è un gioco di parole particolare infatti dietro al quale si nasconde, per omofonia, il plurale “i nomi del padre”. Dupe è l’upupa, che i francesi considerano come un uccello estremamente stupido, perché si lascia prendere in trappola con un nonnulla. Noi diremmo “un pollo”. Nel titolo si allude dunque alla credulità, ma una credulità correlata a una credenza che non si può eliminare senza andare alla deriva, senza errare, rispetto alla struttura. Non è richiesto un atto di fede nel Padre, ma occorre contare su una funzione che non passa attraverso le filiere della dimostrazione, e che serve a sostenere il legame nell’esercizio sociale. Non c’è più dunque un riferimento al Nome del Padre, ma ai nomi del padre, elementi diversi e molto variati che possono assolvere la funzione non tanto di dare una norma al desiderio quanto di renderlo possibile. È la ragione per cui non è un grosso problema l’estendersi delle famiglie a geometria variabile o monogenitoriali. Se una madre vive sola con un figlio, ma le funzioni simboliche sono svolte nel modo giusto, il bambino non soffre di nessuna carenza paterna. La prospettiva di Lacan si spinge comunque molto al di là: la televisione può fungere da nome del padre, o una poesia, qualsiasi operatore strutturante che tiene lontano dal delirio e contrassegna la via del desiderio può entrare nella lista. Portando all’estremo questa prospettiva Lacan, nel seminario in cui studia Joyce, mette in equivalenza il Nome del Padre con il sintomo. Sono le conseguenze della logica che comincia a impostare nel seminario Les non-dupes errent. Consideriamo la definizione classica del Nome del Padre: è data con la metafora paterna, che è la trascrizione strutturalista dell’Edipo. Qui il Nome del Padre ha una funzione normativa, definisce la legge del desiderio e dà il senso della mancanza nell’Altro in termini di castrazione. La clinica derivante da questa definizione del Nome del Padre segue la via tradizionale della decifrazione, e l’operatore del Nome del Padre svolge la funzione di mettere un velo sulla mancanza, di rivelarne il senso, e di dire, in ultima istanza: “State tranquilli, è tutto sotto controllo, non abbiate paura”. Quando è posto in equivalenza con il sintomo il padre ha invece tutt’altra funzione: non di calmare, ma di segnare il desiderio. Non abbiamo più allora l’universalità della norma, il padre pensato come funzione universale, che può anche non esistere – giacché, dal punto di vista logico, rispetto all’universale l’esistenza o l’inesistenza non cambiano nulla. Abbiamo invece il padre singolare, che è più vicino al padre kierkegaardiano, il padre della colpa. Ma il padre della colpa è per l’appunto, il padre del desiderio. Il sintomo allora non appare più allora come qualcosa da far sparire dietro la restituzione del senso, qualcosa da eliminare facendone affiorare la verità, ma come segno del godimento, indice del reale. Su questo si apre un tema che assume importanza centrale in Les non-dupes errent, quello della differenza tra il tema della veridizione e del reale, dove si tratta di cogliere il reale separato dalla verità. Nel momento stesso in cui separa la veridizione e il reale, Lacan si preoccupa di capire se c’è una scienza del reale. Il reale è radicalmente staccato dal senso: cosa se ne può cogliere? Interrogandosi a partire da qui su una scienza del reale, la prima pista che cerca di seguire lo porta a sostenere che questa scienza è la logica. Anche la logica infatti è senza senso, e il vero e il falso non sono niente più che due lettere, Ve F, e proprio perché senza senso la logica può essere candidata a essere la scienza del reale. La scienza, nel suo momento costitutivo, agli albori della modernità, diventa possibile nella misura in cui si stacca del problema della verità, e comincia a operare sulla natura con alcune cifre. Ciò che occupa la scienza sono la certezza e l’esattezza. Quando Galilei avvia il programma di una scienza della natura, il solo linguaggio di cui ha bisogno è la matematica, che non dice cose vere o false, dice cose esatte. La questione che Lacan si pone nel corso di tutto il seminario Les non-dupes errent non riguarda però la scienza della natura, ma la scienza del reale, e nell’ambito di questo seminario il problema non trova una risposta, rimane allo stato di quesito. La risposta appare – ritengo – due anni dopo, quando, nel seminario Le sinthome Lacan afferma che il reale è senza legge. Credo che possiamo prendere questa affermazione come risposta al problema aperto in Les non-dupes errent riguardo alla logica come scienza del reale. Il fatto che il reale sia senza legge dice in fondo che non c’è una scienza che possa formulare le leggi del reale, neppure la logica. Del reale c’è una messa in cifra, una scrittura, ma non una scienza, non una logica. Non per nulla Lacan trova la risposta è nel seminario in cui rivolge la propria attenzione alla scrittura di Joyce, con i suoi incredibili slittamenti e ghirigori verbali. La scrittura di Joyce è l’antitesi dell’ordine, è una cifratura di godimento metamorfico, è la matrice di quel che Lacan chiama lalangue. La clinica che inaugura l’ultimo insegnamento di Lacan, attraverso le questioni poste nel seminario su Les non-dupes errent è una clinica del non rapporto, del mancato incontro, del fallimento, perché non c’è modo di aggiustare le cose quando si va al punto di fondo del non rapporto sessuale. Quel che partendo dal simbolico Lacan incontrava come impossibile, partendo dal reale della nodalità Lacan lo incontra come non rapporto. È una clinica anche che si lascia un po’ alle spalle le classificazioni. A partire dal momento in cui identifichiamo Nome del Padre e sintomo, perde mordente anche la differenza strutturale tra nevrosi e psicosi, e la clinica diventa una clinica delle singolarità, clinica del sintomo come invenzione singolare del rapporto per supplire l’assenza di rapporto sessuale. Ma proprio perché duttile, questa clinica si presta particolarmente ad affrontare le forme del disaggio contemporaneo. In fondo, possiamo dire che Lacan ci ha liberato dagli schemi standard della pratica che voleva definire la psicoanalisi attraverso le regole del setting, ma possiamo aggiungere che ci ha anche liberato dalla psicoanalisi come teoria – cioè come modello che può destare l’interesse e la preoccupazione degli epistemologi – traversando e smontando la costruzione freudiana per farne risultare una pratica che offre un modo di sostenere l’esistenza, senza che sia necessario darle un senso.
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