Marco Focchi Nel pensiero politico contemporaneo la moltitudine si distingue dalla massa, che è una molteplicità indefinita di individui, si differenzia dal popolo, che è collegato alla nozione di sovranità, si diversifica dalla classe, che si qualifica attraverso le sue opposizioni (classe operaia/classe borghese) e che rientra nella logica categoriale, la stessa sottesa all’impianto del DSM. Tutti i concetti a cui la moltitudine si oppone soggiacciono al criterio della rappresentazione: nella sovranità il popolo parla attraverso i suoi rappresentanti; le classi si esprimono per tramite dei loro delegati; la massa, nelle sue derive populiste, parla per bocca di un capo. La moltitudine è invece un insieme di singolarità non rappresentabili, ed esige che i soggetti parlino per conto proprio. Si tratta quindi di qualcosa di opposto alla plasmabilità della massa inerte, perché nella moltitudine c’è l’idea di una potenza, di una produttività, di un movimento. Negri definisce la moltitudine come “la carne della vita”, e la carne, dice, non è materia, ovvero non è inerte. Per darne un concetto riprende la definizione di Merleau-Ponty, che assimila la carne a un elemento, nel senso antico sapienziale, nel senso del fuoco, dell’aria, della terra, dell’acqua. Questa idea di una carne traversata dalla lingua, è la definizione stessa della pulsione, che nella versione freudiana era ancora imprigionata in un linguaggio che faceva inevitabilmente ricorso alla rappresentazione. Per liberare la pulsione da questa implicazione rappresentativa Lacan ha lavorato sul termine Vorstellungsräpresentanz che, punto centrale della rimozione primaria, diventa la marca dell’irrappresentabile, il segno che rende presente ciò che è sottratto al visibile, la carne come moltitudine irriconducibile all’uno. Nella sublimazione gli artisti mettono in forma e rendono sensibile quel che non entrerebbe altrimenti nella percezione. Paul Klee diceva che il pittore non riproduce il visibile, ma “rende visibile”. John Cage esercitava una estrema rarefazione del suono fino a rendere percepibile il silenzio. La sublimazione fa vivere e durare quel che nella pulsione sarebbe puro consumo, dilapidazione, divorazione immediata. L’arte, quella vera, è sottratta al dominio della rappresentazione perché si dispiega piuttosto in quello della sensazione, che non classifica ma raccoglie le pure singolarità. Per questo ogni artista è un eretico, perché parla nella singolarità della moltitudine. Anche nella clinica psicoanalitica seguiamo la traccia eretica del soggetto se, invece di disperderci nelle varie rifrazioni del senso, miriamo l’interpretazione al dettato pulsionale, alla moltitudine della carne che non è inerte perché è animata dalla parola. Se l’interpretazione del desiderio non punta al senso, che ricade sempre nel senso comune, segue allora i labirinti infiniti di una carne che parla attraverso le risonanze de lalangue, come in Joyce, come in Gongora, come in Celine, come in Gadda.
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Ha avuto luogo in questi giorni a Barcellona l’XI Congresso dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi su tema: “La psicosi ordinaria e le altre, sotto transfert”. La posta in gioco era mettere in luce una pratica clinica non subordinata alla logica categorica del DSM. La nozione di psicosi ordinaria va per l’appunto nel senso di essere una bussola, una possibilità di orientamento dinamico del campo clinico psicoanalitico piuttosto che una nuova entità nosologica. Conferenza tenuta a Granada il 17 marzo 2018 presso la sede della Escuela lacaniana de psicoanalisis Marco Focchi La parte di lavoro che dobbiamo affrontare oggi riguarda fondamentalmente le strutture del delirio di Schreber. Il testo Una questione preliminare, nel suo insieme è costituito essenzialmente da una parte di riconsiderazione della visione psichiatrica classica, che si sviluppa come critica alla teoria dell’allucinazione – è tutta l’analisi riguardante il rapporto tra percipiens e perceptum, i fenomeni di codice e di messaggio, i fenomeni elementari. Una seconda parte è costituita dalla valutazione del contributo postfreudiano, che consiste essenzialmente nell’analisi del testo di Ida Macalpine. Una parte verte poi sul problema delle psicosi a partire da Freud, e si svolge essenzialmente nella complessificazione dello schema L trasformato nello schema R, e nella valorizzazione del fallo come terzo elemento della relazione immaginaria madre-bambino. Dopodiché, Lacan si mette dalla parte di Schreber, dove troviamo gli stralci che dovremo commentare oggi, ed entra nel merito della soggettività di Schreber, dopo aver fatto il primo passo che è la messa nero su bianco della metafora paterna. La metafora paterna è la grande acquisizione di Lacan in quegli anni. Come sappiamo la stesura della Questione preliminare è contemporanea allo svolgimento del Seminario V. È stata infatti redatta tra il dicembre ’57 e il gennaio ’58, e pubblicata nel ’59. Le lezioni del Seminario V in cui parla della preclusione del Nome del Padre e in cui viene costruita la metafora paterna sono per l’appunto quelle a cavallo tra dicembre e gennaio. |
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Settembre 2024
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