Marco Focchi Intervista realizzata il 23 febbraio 2016 da Yordana Hristozova Yordana Hristozova - Le chiederei di presentarsi come psicoanalista: dove lavora? Può dirci qualche parola sulla sua esperienza professionale? Marco Focchi - Il mio lavoro si svolge essenzialmente nel mio studio privato e nell’insegnamento. Faccio però delle consulenze esterne. Ne ho fatte in comunità per tossicodipendenti, e ho fatto una lunga esperienza come consulente in una scuola elementare. È stato dal 1991 al 2011, quando alcuni insegnanti mi hanno chiesto una consulenza per dei bambini autistici inseriti nelle classi con i quali non sapevano come fare. Sono stati così gli insegnanti a cercarmi inizialmente come psicoanalista, e questo ha dato avvio alla straordinaria esperienza che ho potuto fare nella scuola cominciando con questi bambini autistici. C’era, al tempo, anche uno psicologo che lavorava sull’area del disagio. L'anno seguente però questo psicologo ha lasciato l’incarico e la direttrice della scuola mi ha chiesto se avrei potuto occuparmi io dell’intera area del disagio, e ho accettato. Le cose si sono avviate così: ho iniziato seguendo una scuola, poi sono state due, poi tre, poi un’intero plesso. Di solito facevo delle osservazioni di routine in tutte le prime classi, dove incontravo i bambini. Parlavo con tutti, anche se le insegnanti mi indicavano prima quelli che consideravano problematici. A volte, quando lo ritenevo necessario, vedevo i genitori, altre volte parlavo solo con gli insegnanti. Cercavo di lavorare tra le due grandi istituzioni la famiglia e la scuola, che sono l’Altro del bambino. Questo è stato il terreno principale su cui mi sono mosso all’interno della scuola.
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Marco Focchi Conferenza tenuta a Ravenna il 5 maggio 2013 Ringrazio dell’invito che mi porta a essere qui di nuovo a Ravenna, dopo cinque anni, come ricordava Raffaele Calabria, ed è un piacere per me ritornare in questa città, reincontrarvi come pubblico e dialogare di nuovo con voi. Olivier Carlassara, che mi ha presentato, ha ben inquadrato i temi che ho cercato di proporre nel mio libro. Si tratta in effetti di una serie di problemi lungo un filo che si sviluppa attraverso gli interventi fatti in diversi contesti. È anche una risposta al Libro nero e al clima fondamentalmente scientista che questo esprime sulla psicoanalisi. Viviamo in un’epoca che possiamo definire scientista, e questo influenza un atteggiamento mentale che si riflette nelle pratiche sociali. Tra queste ci sono le pratiche di psicoterapia, che si informano e si adeguano a questo clima. Marco Focchi La scrittura è abitualmente presa come subordinata alla parola. La scrittura in questo senso è l’insieme dei segni che, consegnato alla carta, al documento o al libro, deve essere letto, pronunciato, fonetizzato. È quel che Miller ha definito "scrittura secondaria", in contrasto con una “scrittura primaria” che ha invece come palinsesto il corpo. Per Lacan questa scrittura primaria è il tracciato del godimento sul corpo. Spiega questa idea attraverso le immagini metereologiche di Lituraterre, ed è il suo modo di rileggere il concetto di zona erogena di Freud. La scrittura primaria è immediatamente legata al corpo. Un modo di vederlo è per esempio il tatuaggio, a cui Lacan si è riferito a più riprese nei suoi seminari. Ne ha sottolineato la funzione erotica, lo ha definito come l'incarnazione di quell’organo irreale chi è la libido. A più riprese poi, ha messo in connessione il tatuaggio con il tratto unario. È interessante considerare questo aspetto, perché Lacan trova un primo esempio del tratto unario nelle tacche segnate sull’osso risalenti alla fine del paleolitico medio, e verso gli inizi del paleolitico superiore. |
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Novembre 2024
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