Marco Focchi La scrittura è abitualmente presa come subordinata alla parola. La scrittura in questo senso è l’insieme dei segni che, consegnato alla carta, al documento o al libro, deve essere letto, pronunciato, fonetizzato. È quel che Miller ha definito "scrittura secondaria", in contrasto con una “scrittura primaria” che ha invece come palinsesto il corpo. Per Lacan questa scrittura primaria è il tracciato del godimento sul corpo. Spiega questa idea attraverso le immagini metereologiche di Lituraterre, ed è il suo modo di rileggere il concetto di zona erogena di Freud. La scrittura primaria è immediatamente legata al corpo. Un modo di vederlo è per esempio il tatuaggio, a cui Lacan si è riferito a più riprese nei suoi seminari. Ne ha sottolineato la funzione erotica, lo ha definito come l'incarnazione di quell’organo irreale chi è la libido. A più riprese poi, ha messo in connessione il tatuaggio con il tratto unario. È interessante considerare questo aspetto, perché Lacan trova un primo esempio del tratto unario nelle tacche segnate sull’osso risalenti alla fine del paleolitico medio, e verso gli inizi del paleolitico superiore. Questi reperti datano alla fine del periodo Musteriano, cioè a circa 40.000 anni fa, in un’età in cui si riscontrano le prime tracce di un grafismo non figurativo. Si tratta di una manifestazione espressiva molto diversa da quella che si trova nelle grotte di Lascaux e di Altamira. È un grafismo che non compare solo su ossa o pareti rupestri, ma anche sul corpo.
Il più antico reperto umano mummificato è infatti la mummia di Ötzi, rinvenuta nelle Alpi venoste, risalente al 3300 o 3200 a.C., il cui corpo è completamente ricoperto di tatuaggi. All'epoca a cui è databile la mummia di Ötzi, la scrittura in senso proprio non era ancora comparsa in Europa. I tatuaggi che mostra sono dunque un vero e proprio grafismo primario, una sorta di scrittura primaria che può essere coordinata al linguaggio, ma non subordinata, vale a dire: un racconto può presentare e accompagnare quel che è mostrato dai segni, ma non leggerlo, perché i segni non rappresentano suoni, sono piuttosto mitogrammi, disegnano un’ordine del cosmo, una posizione nelle gerarchie sociali, o dei legami tra gli individui. Qualcosa di analogo a questo racconto che accompagna il segno ma non lo legge accade quando si lavora con i disegni dei bambini. Il modo tradizionale di prendere il disegno infantile è quello simbolico rappresentativo. C'è però un piano di analisi che può essere più interessante. Il disegno infantile presenta – e non “rappresenta” – un modo di costruzione e di organizzazione del mondo. C'è un'infinita varietà di disegni infantili ma, se vogliamo fare una ripartizione molare, ci sono bambini che dispongono le loro figure su una linea, che può essere descrittiva o narrativa. Sono i bambini dal disegno itinerante, che segue il tracciato di una storia o l’enumerazione di alcuni personaggi. Ci sono invece i bambini che mettono al centro un elemento principale – loro stessi, un genitore, un oggetto o un animale importante – e a partire da qui dispongono intorno le cose del loro mondo. Sono i bambini dal disegno radiante. Disegno itinerante e disegno radiante sono due modi, non di rappresentare, ma di organizzare, di costruire, di sperimentare il mondo. Nella scrittura primaria, quella sul corpo, c'è qualcosa di analogo. C'è qualcosa per cui, al di qua del dire – che non vuol dire al di qua del linguaggio, ma semplicemente al di qua della sua funzione referenziale – il bambino sperimenta dall’inizio la dimensione erotica del suo corpo. Questa geografia di zone erogene si produce nel rapporto di cure con la madre, nelle lotte con i coetanei, nell’esplorazione fisica dei compagno o delle compagne, ed è fatta di eventi cruciali che lasciano un segno, concretamente, sul corpo, individualizzandolo, facendone un campo erotizzato d’esperienza. Potremmo prolungare questa riflessione in quel che è la scrittura in Joyce, che ha una funzione analoga, che disallinea – soprattutto nel Finnegans – la scrittura dalla fonetizzazione – ma questo è, direi, un altro capitolo. Intervento pronunciato su Radio Lacan
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