Presentazione della tavola rotonda che ha avuto luogo venerdì 24 febbraio 2017 presso l'Istituto freudiano per la clinica, la terapia e la scienza, in occasione della presentazione del libro di Matteo Bonazzi e Daniele Tonazzo, "Lacan e l'estetica", Mimesis edizioni. di Marco Focchi Il libro di Matteo Bonazzi e di Daniele Tonazzo di cui parliamo questa sera ha come titolo “Lacan e l’estetica”. È un testo nel quale, per via del titolo, ci si aspetterebbe di trovare discorsi sull’estetica nel senso in cui la si intende abitualmente: una teoria dell’arte, riflessioni sul bello, considerazioni sula sublimazione. Ci si incontra invece con qualcosa di completamente differente, anche se uno dei lemmi che compongono il volume è effettivamente dedicato al bello. Gli autori vanno infatti in cerca di qualcosa di diverso, esplorando le due dimensioni che abbiamo messo nel titolo del dibattito di questa sera: il dire e il sentire, cioè il linguaggio, per un verso, e per un altro verso una dimensione che invece sfugge alla presa linguistica, che non è propriamente afferrabile dal linguaggio e che si può riconoscere come collegata alla nozione di godimento che Lacan presenta nel suo ultimo insegnamento.
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di Marco Focchi Sintesi degli argomenti presentati alla tavola rotonda tenutasi a Novara il 3 febbraio 2017 dal titolo: Solitudini digitali, organizzata dall'associazione Benvenuti in Italia Internet è diventato oggi decisivo per ogni settore della nostra vita, e questo investe evidentemente anche la psicoanalisi. Il rapporto tra psicoanalisi e Internet è indubbiamente diventato importante, e può essere considerato a partire dal punto di vista di quel che la psicoanalisi può dire sull'oggetto tecnico. Sembrerebbe esserci una spaccatura tra la prospettiva psicoanalitica, che nelle sue operazioni utilizza fondamentalmente la parola, e l'oggetto tecnico, che fa parte di una cultura diversa, di tipo, ingegneristico, che in un certo senso è opposta, antitetica a quel che consideriamo come l’elemento soggettivo, o semplicemente come il fattore umano. Oggetto artistico e oggetto tecnico Mentre l'oggetto artistico ha da sempre un capitolo dedicato nella nostra riflessione, perché implica il gesto creativo, l’invenzione, perché porta l’impronta di chi l’ha realizzato permettendo a tutti noi di rispecchiarci in esso, l’oggetto tecnico sembra incarnare l'antitesi della soggettività, un puro automatismo, presentifica l'icona dell'alienazione più estrema dell’umano. Il robot, che per l’uomo è come un doppio senza interiorità, progettato per aiutare, come una sorta di Golem tecnologico diventa minaccia incontrollabile e immagine di un’alterità atta a interpretare il ruolo di Autre mechant, l’Altro malvagio, fomite dei pensieri scuri della paranoia. Percorriamo l'immaginario moderno: il robot ginoide di Metropolis si anima prendendo le fattezze della dolce e buona Marie nella scena della trasformazione, che è, credo, una delle scene più famose della storia del cinema. Il robot ginoide creato dal dottor Rotwang assume l'interiorità di Marie ̶ e ce ne accorgiamo nel momento in cui tra i cerchi di luce che avvolgono il corpo del robot comincia a battere un cuore luminoso ̶ diventandone il doppio malvagio. O ancora, in 2001 Odissea nello spazio, Hal 9000, il computer di bordo, rifiuta di aprire il portellone della nave spaziale a Dave, l’astronauta in missione verso Giove, perché teme di essere disconnesso. Anche qui vediamo la macchina che, manifestando una propria interiorità, si rivolta contro l’uomo, proprio creatore, nel momento stesso in cui si sottrae al ruolo di mero strumento. |
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