![]() Marco Focchi Intervista realizzata il 23 febbraio 2016 da Yordana Hristozova Yordana Hristozova - Le chiederei di presentarsi come psicoanalista: dove lavora? Può dirci qualche parola sulla sua esperienza professionale? Marco Focchi - Il mio lavoro si svolge essenzialmente nel mio studio privato e nell’insegnamento. Faccio però delle consulenze esterne. Ne ho fatte in comunità per tossicodipendenti, e ho fatto una lunga esperienza come consulente in una scuola elementare. È stato dal 1991 al 2011, quando alcuni insegnanti mi hanno chiesto una consulenza per dei bambini autistici inseriti nelle classi con i quali non sapevano come fare. Sono stati così gli insegnanti a cercarmi inizialmente come psicoanalista, e questo ha dato avvio alla straordinaria esperienza che ho potuto fare nella scuola cominciando con questi bambini autistici. C’era, al tempo, anche uno psicologo che lavorava sull’area del disagio. L'anno seguente però questo psicologo ha lasciato l’incarico e la direttrice della scuola mi ha chiesto se avrei potuto occuparmi io dell’intera area del disagio, e ho accettato. Le cose si sono avviate così: ho iniziato seguendo una scuola, poi sono state due, poi tre, poi un’intero plesso. Di solito facevo delle osservazioni di routine in tutte le prime classi, dove incontravo i bambini. Parlavo con tutti, anche se le insegnanti mi indicavano prima quelli che consideravano problematici. A volte, quando lo ritenevo necessario, vedevo i genitori, altre volte parlavo solo con gli insegnanti. Cercavo di lavorare tra le due grandi istituzioni la famiglia e la scuola, che sono l’Altro del bambino. Questo è stato il terreno principale su cui mi sono mosso all’interno della scuola. YH - Lei ha quindi considerato questo importante aspetto nel suo lavoro: l'Altro dei bambini preso dal punto di vista psicoanalitico, nella cui prospettiva dovrebbero essere analizzati i due aspetti istituzionali della scuola e della famiglia. Purtroppo in Bulgaria questi due aspetti sono per lo più in conflitto, soprattutto quando si hanno i bambini affetti da autismo o da disturbi del comportamento.
MF - Sì, è vero, in Italia è lo stesso. Spesso su può trovare una situazione di conflitto tra insegnanti e genitori. Io l’affrontavo e la trattavo dal punto di vista analitico. Se mi domanda come sia possibile farlo a scuola, le rispondo che credo che l'esperienza di psicoanalisi applicata sviluppata in questi anni nel Campo freudiano sia utile in questa direzione. Ovviamente non occorre mettere le persone sul lettino. Diciamo che si tratta di evitare il confronto immaginario tra le persone, di triangolare e di affrontare i problemi sollevati interponendosi. Non è difficile allora mediare, fornire spiegazioni semplici, accessibili, ragionevoli, che le parti in gioco generalmente accettano lasciando cadere l’ostilità. Se si aggira il confronto immaginario introducendo il simbolico, ci si mette in grado di gestire situazioni apparentemente ingestibili e di risolvere quel che si mette di traverso. YH. Grazie. È importante sapere utilizzare in pratica questi concetti per uscire dal pantano in cui le complicazioni dell’Altro possono mettere bambino. Credo valga anche per l'adolescenza. MF - Sì, anche se dovremmo precisare cosa intendiamo per adolescenza. Una volta era chiaro cosa fosse l'adolescenza: era una prova, un passaggio. Ora, le cose non sono più così lineari. C’è un momento in cui l'infanzia è finita, quando ci si stacca dagli ideali incarnati dai genitori, ideali che sono vettori e che servono da passaggio per creare nuovi ideali. Oggi non sapremmo dire quali ideali l’adolescente potrebbe abbracciare, e la disidealizzazione della società provoca una sorta di prolungamento dell'adolescenza che non ha praticamente fine. Nel 2007 in Italia, l’allora Ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa stava promovendo una nuova politica per i giovani, cercando di rendere loro più facile affittare una casa, avere i soldi necessari, e in un’intervista una volta ha detto una frase diventata famosa, dove sosteneva di voler aiutare i bamboccioni a lasciare la casa dei genitori. Ne nacque una polemica. Ma in Italia abbiamo in realtà un’altissima percentuale di giovani che vivono in casa con i genitori. YH - Lo stesso accade in Bulgaria. MF - Sì, bene allora!. Ricordo che allora i giornali, hanno riferito che le statistiche: in Italia il 60% dei giovani resta a casa per un di tempo che va oltre i trent’anni. È come avere un'adolescenza infinita. Non c'è un punto di termine. L'adolescenza come ha ricordato Jacques-Alain Miller nella sua conferenza, è una costruzione sociale. Come possiamo ricostruire l'adolescenza nella nostra società? Nella società primitiva c'era un momento critico, con dei riti di passaggio. Ora, quando finisce infanzia, inizia un giovinezza ad libitum, e in un certo senso il problema è, se si prende il punto di vista dei bamboccioni, che inizia un'adolescenza senza fine. Ma questo si può vedere anche da un altro punto di vista, e considerare che non c'è una vera e propria età adulta che possa rappresentare un limite all’adolescenza. Vi è il rischio di uno slittamento all’infinito, è la sindrome del “sempre giovane”, nessuno vuol più invecchiare. Si ricorre così alla chirurgia estetica, e la medicina è ormai tecnicamente in grado di favorire questa possibilità sul piano fisico, andando incontro al crescente bisogno psicologico di sentirsi sempre giovani. Questo, sul piano sociale, porta a non differenziarsi, dai “veri” giovani, a mimetizzarsi con loro. Nella confusione di generazioni che si produce, non c'è allora una posizione adulta di responsabilità in grado di fare da contrasto per i giovani permettendo loro di confrontarsi. Vi è una sorta di indeterminazione delle generazioni. Il bambino esce dall’infanzia, comincia a essere un giovane, ma non arriva mai a occupare la posizione adulta che gli permette assumerne la responsabilità. Nel secolo scorso la definizione dell'adolescenza era data dai romanzi di formazione, i classici Bildungsromanen, che illustravano il percorso in cui un giovane si prepara per assumere le responsabilità della vita adulta. Basta ricordare David Copperfield, o il Wilhelm Meister. Sono figure che mostrano cosa fosse l'adolescenza nella borghesia del secolo scorso. Oggi potremmo dire che si è fuori dall’adolescenza quando si ha un lavoro, si costituisce una famiglia e si hanno dei figli. Ma tutti questi criteri sono diventati piuttosto incerti. I giovani hanno difficoltà ha trovare un lavoro e devono vedersela con una precarietà che si prolunga oltre ogni limite. Il lavoro non funziona più come stabilizzatore. Questa è una differenza importante rispetto alle generazioni precedenti. YH - Il padrone contemporaneo del godimento è diventato tirannico imponendo ideali di felicità creati sul modello delle immagini pubblicitarie. MF - Sì, certo. L’imperativo è di essere sempre in forma. Il rischio di alcuni ideali che si incentrano sul potenziamento corporeo è che con essi l'imperativo della salute diventa un imperativo morale. Ci dovrebbe essere una demarcazione tra le pratiche salutiste e quelle morali, ma i nuovi imperativi fanno leva sul corpo. Nel campo della medicina, per esempio, vi è quella che si chiama enhancement medicine, cioè una medicina non della cura ma del miglioramento, della spinta verso la perfezione, verso l’accrescimento della forza, della memoria, delle prestazioni. Negli Stati Uniti, per esempio, alcuni anni fa dei bambini normali, solo non molto alti, erano stati curati con farmaci studiati per il nanismo. Sono forzature, sono tentativi di infrangere il limite, di creare una supernormalità, o meglio, di annullare la normalità come limite. Sono questi i nuovi imperativi di godimento: un fisico sempre più prestante, una memoria sempre più potente, una salute che non è definita come negativo della malattia. YH - Lei ha parlato della sua pratica con gli adolescenti e con le loro famiglie. Quali sono i loro problemi, per che tipo di questioni si rivolgono a lei? MF - Possono essere problemi scolastici, ansie dei genitore sull’uso di sostanze, o problemi di incomprensione. Prendiamo l’incomprensione, che è un esempio interessante. Ci sono mille ragioni di incomprensione tra genitori e adolescenti YH - Si tratta di un momento di crisi che potrebbe aprire nuovi spazi. MF - Sì, è così. La verità è che l’incomprensione è necessaria. Lei conosce l’espressione “genio incompreso”. È normale per un genio essere incompreso, perché se non lo fosse non sarebbe un genio. Anche per l’adolescente in una certa misura è normale essere incompreso, perché si dibatte in interrogativi che lui stesso non comprende e non sa neppure ben denominare. I problemi nascono piuttosto quando c’è un adolescente troppo “compreso”. L’incomprensione dovrebbe contrassegnare il divario generazionale, e aprire spazi di libertà, d’invenzione. Cosa succede invece quando si “capisce troppo” l’adolescente? Lo vedo nella mia pratica con alcuni adulti le cui difficoltò derivano dal non avere passato la soglia dell'adolescenza a tempo debito e di non avere avuto nessun contrasto con i genitori. Sono sempre rimasti sulla via segnata per loro dai genitori, non hanno mai avuto il tipico momento ribelle dell’età, e non sono riusciti a costruirsi una vita loro. Ricordo il caso di una donna. Aveva sempre seguito la strada indicatale dai genitori. Aveva sposato un bravo ragazzo, approvato dalla famiglia, poteva avere con lui normali rapporti sessuali, ma non sapeva cosa fosse l’amore. Era un’insegnante, e intorno all’età di quarant’anni un giorno incontra un collega, anche lui insegnante, e se ne innamora perdutamente. Questa, che potrebbe sembrare una bella notizia, è invece una catastrofe, perché vive allora il momento dell'adolescenza, ma non è lo stesso viverlo a sedici anni o viverlo a quaranta. La sua vita ha cominciato ad andare a pezzi, è entrata in crisi il marito, con i figli, non sapeva più cosa fare. Il vero problema non è l’incomprensione, ma una comprensione totalizzante senza vie di fuga. YH - È un caso molto interessante. La posizione soggetto è infatti importante e nelle società totalitarie o post-totalitarie è completamente sottovalutata. In Bulgaria per esempio ci sono ancora ideali nati dal Padrone totalitario. Questi chiudono la porta alla soggettività. È invece importante per una persona essere accettata per la propria soggettività. MF - Non ho l’esperienza diretta della vita in una società totalitaria. Ma in un un certo senso, e in modo mediato, di una società post-totalitaria sì. Possiamo dire che l’Italia, dopo l’esperienza del fascismo, è stata una società post-totalitaria prima che io nascessi. La nostra generazione, io appartengo alla generazione del dopoguerra, ha iniziato a vivere in una società già liberata, sorta dalla Resistenza. Ma per i nostri padri e i nostri nonni è stato diverso. Ai loro tempi non si poteva scegliere. C'erano organizzazioni giovanili, come i Balilla o i Figli della Lupa, in cui si era inquadrati da subito, assorbendo l’ideologia del Regime. Così, persone che sono state autenticamente antifasciste ricordano gli anni giovanili in cui l’adesione da parte loro all’ideologia fascista era un fatto naturale, perché ci si nasceva dentro, e la presa di distanza aveva richiesto loro un grosso sforzo critico. YH - Da questo punto di vista l'ambiente, l’Altro dell'adolescenza, che parte ha nella formazione e nella crescita, per esempio in aula, o nelle istituzioni? Lei ha parlato in una conferenza di un Altro immorale. MF - Sì, è vero, quando l’ho detto avevo in mente alcuni esempi letterari, il Törless di Musil, o gli Indifferenti, di Moravia. Sono buoni modelli per capire l'adolescenza della modernità. L'adolescenza è un momento di scoperta della sessualità e di trasformazione del proprio corpo. Il nuovo mondo che si apre con la scoperta della sessualità va insieme alla la scoperta della sessualità nel mondo degli adulti, che può apparire torbida, ambigua. Nel Törless questo è in primo piamo. In passato le persone non parlavano mai di sessualità in casa. Ora le cose stanno cambiando. Ho una paziente il cui padre era solito andare in giro per casa nudo, e non nascondeva i suoi interessi erotici. Dalla punto di vista della rivoluzione sessuale, alla Wilhelm Reich, questo potrebbe sembrare liberatorio, ma non è così. La mia paziente reagiva con disgusto e con rifiuto, ed è diventata una donna con seri problemi relazionali e con la sessualità. In un certo senso quindi, la scoperta della sessualità adolescenziale è anche la scoperta della sessualità degli adulti, fatta spesso in un modo che non aiuta a crescere e che semplicemente distrugge l'ideale, la figura dell’adulto, senza portare verso ideali sostitutivi, mettendo di fronte a una forma di Altro malvagio. Un altro paziente per esempio, un giorno, all’età di tredici anni, trova una collezione di giornali pornografici del padre. Ricorda il discredito in cui cade il padre ai suoi occhi, e come la stessa sera a cena, si fosse chiuso in un silenzio pieno di rancore e di rabbia, sentendosi ingannato. Elaborare questo aspetto è stato un momento cruciale della sua analisi. In realtà, in questi momenti, si tratta della rivelazione scandalosa del godimento dell’Altro . YH - Come dovrebbe stare l’adulto accanto all’adolescente e sostenerlo? Quale dovrebbe essere la posizione del genitore, o dell’insegnante? Cosa raccomanderebbe per noi come genitori? MF - Come sa non c'è un modo standard. Ogni situazione va trattata come particolare. Penso comunque che la buona posizione sia quella suggerita da Lacan a proposito del Nome del Padre: farne a meno ma a condizione di usarlo. Non crediamo al Padre come ideale, ma lo usiamo come esempio. Non è necessario che il padre sia un modello, ma può mostrare come lui se l’è cavata, come ha trattato il fatto che non c’è rapporto sessuale. Si tratta di prestare attenzione all’adolescente, non di metterlo a confronto con l’ideale. YH - Consideriamo il digitale. In che modo la realtà virtuale influenza i giovani? MF - La realtà virtuale, le possibilità date dalla rete, sono un Pharmakon. In greco Pharmakon è un rimedio, ma anche un veleno. Bisogna trovare il modo giusto di utilizzare internet, per non farne veleno. Oggi gli adolescenti appartengono a una generazione nata digitale, ed è più facile per loro utilizzare questa tecnologia. È una grande opportunità, è un’occasione, ma è un problema se, per esempio, questi strumenti sono utilizzati senza senso critico. Molte ricerche in Internet vengono fatto senza questa prospettiva critica. È necessario poi usare internet in dialettica con la realtà. C’è una sindrome, l’hikikomori, che si chiama così perché è stata osservata prima in Giappone, per cui l'adolescente rimane su un computer ventiquattro ore su ventiquattro e non vuole più uscire. Internet diventa allora una patologia e questo è il lato del veleno. YH - Potrebbe dire qualche parola sul suo nuovo libro “L'inconscio in classe”? MF - Sì. Ripercorre e condensa l'esperienza di vent’anni di lavoro che ho fatto come consulente nella scuola, e contiene alcune delle storie più significative che ho incontrato nella pratica come psicanalista a scuola. Due soprattutto sono i problemi principali nella scuola: uno è la debolezza dell’istituzione, collegata con il declino del Nome Padre, e la perdita d’autorità. L'altro è che a scuola si deve studiare, quindi possono nascere difficoltà di comprensione. Ho cercato di spiegare cosa significa capire basandomi sui concetti lacaniani. Ho cercato di ricostruire il modo in cui si può trattare con gli ideali e con le difficoltà dei giovani dal punto di vista della psicoanalisi, partendo dai sintomi che si manifestano nell’apprendimento, come la dislessia, i cosiddetti ritardi e così via. YH - Grazie mille per il tempo e l’impegno che lei ci dedica. Sarà utile per il pubblico bulgaro incontrarla e discutere con lei i diversi problemi della scuola e dell’adolescenza. L’aspettiamo in Bulgaria il 15 ottobre prossimo per la sua conferenza a Plovdiv.
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Gennaio 2025
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