Conferenza tenuta a Granada il 17 marzo 2018 presso la sede della Escuela lacaniana de psicoanalisis Marco Focchi La parte di lavoro che dobbiamo affrontare oggi riguarda fondamentalmente le strutture del delirio di Schreber. Il testo Una questione preliminare, nel suo insieme è costituito essenzialmente da una parte di riconsiderazione della visione psichiatrica classica, che si sviluppa come critica alla teoria dell’allucinazione – è tutta l’analisi riguardante il rapporto tra percipiens e perceptum, i fenomeni di codice e di messaggio, i fenomeni elementari. Una seconda parte è costituita dalla valutazione del contributo postfreudiano, che consiste essenzialmente nell’analisi del testo di Ida Macalpine. Una parte verte poi sul problema delle psicosi a partire da Freud, e si svolge essenzialmente nella complessificazione dello schema L trasformato nello schema R, e nella valorizzazione del fallo come terzo elemento della relazione immaginaria madre-bambino. Dopodiché, Lacan si mette dalla parte di Schreber, dove troviamo gli stralci che dovremo commentare oggi, ed entra nel merito della soggettività di Schreber, dopo aver fatto il primo passo che è la messa nero su bianco della metafora paterna. La metafora paterna è la grande acquisizione di Lacan in quegli anni. Come sappiamo la stesura della Questione preliminare è contemporanea allo svolgimento del Seminario V. È stata infatti redatta tra il dicembre ’57 e il gennaio ’58, e pubblicata nel ’59. Le lezioni del Seminario V in cui parla della preclusione del Nome del Padre e in cui viene costruita la metafora paterna sono per l’appunto quelle a cavallo tra dicembre e gennaio. La metafora paterna, come sappiamo, è la trascrizione dell’Edipo freudiano nel formalismo delle strutture linguistiche, e stabilisce una precisa correlazione tra significante del Nome del Padre e il significato fallico. Questo diventa poi l’asse intorno a cui ruota la prima teoria della psicosi in Lacan, imperniata sulla preclusione dal Nome del Padre, operazione la cui conseguenza è un buco dalla parte del significato fallico. Sappiamo infatti che per Lacan tutta la costruzione del delirio schreberiano è una supplenza della metafora paterna che non ha avuto luogo: la metafora delirante prende il posto della metafora paterna. Questo in Schreber ha un effetto determinante per a visione della realtà che in lui si produce. Schreber non vede le cose come noi, quel che gli succede prende significati diversi da quelli istituiti nel discorso comune e condiviso. Non è la percezione a essere distorta, è il significato dei fenomeni che implica un sistema diverso da quello che noi condividiamo, e che non è poi tanto più folle di quello pensato a tratti dalla filosofia. Lacan mette bene in risalto questo aspetto in quello che Miller ha chiamato un distico di cui, dice, non c’è nessun riferimento, non è una citazione letteraria, perché è un’invenzione dello stesso Lacan.
De Malebranche ou de Locke Plus malin le plus loufoque Ovvero: tra Malebranche e Locke il più astuto è il più bislacco. Lacan prende qui Malebranche come esempio di un sistema filosofico analogo a quello di Schreber, dove c’è un Dio che interviene continuamente nella creazione. I pensatori seicenteschi, ma già Cartesio, avevano concepito un Dio orologiaio, che una volta creato il mondo lo lasciava al suo funzionamento. Una volta stabilite le leggi del creato, questo si regola da solo, seguendo queste leggi come un orologio che, una volta caricato, non ha più bisogno dell’orologiaio, e funziona secondo i suoi meccanismi. Poiché si tratta poi di un orologio fatto da Dio, la sua carica durerà all’infinito, o almeno fino al tempo dell’Apocalisse. Malebranche si oppone dunque a Cartesio con il suo sistema un po’ strampalato, un po’ loufoque, come lo definisce Lacan, ma questa bizzarria è messa in contrasto con Locke, e la bizzarria di Malebranche è più astuta del pupazzo psicologico concepito da Locke, che basa tutto sull’esperienza e considera la mente – mind – come pagina bianca su cui l’esperienza deve deporre le propria tracce. Malebranche non lascia nessuno spazio all’esperienza, la sostituisce con la creazione continua da parte di Dio di tutto ciò che costituisce l’universo. Se però, per Malebranche, l’universo deve rigare dritto, nella psicosi di Schreber il creato fa di testa sua e tutto sbanda, va fuori binario, e sbanda perché evidentemente non è fissato dal significato fallico. In un suo vecchio testo una volta Miller ha affermato che la letteratura realista, contrariamente da quella fantastica – come quella di Hoffmann, che si fonda sullo sconfinamento dell’oggetto “a” nel campo della realtà – la letteratura realista è incentrata intorno al significato fallico. Questa osservazione mi sembra particolarmente pertinente rispetto al modo in cui Lacan descrive e mette in schema la distorsione della realtà che si verifica nella psicosi. È chiaro che quando prendiamo il problema da questo lato non usiamo i concetti che intervengono nella Questione preliminare, perché in questo testo Lacan non ha ancora formulato la nozione di oggetto “a”, ma è qualcosa che ci aiuta a capire. In effetti, la funzione del Nome del Padre, se ci spostiamo nei termini del Lacan degli anni ’60, ha una corrispondenza con l’operazione di separazione, con il distacco cioè dall’oggetto “a”. Con questa operazione l’oggetto “a” è escluso dal campo della realtà, che si costituisce intorno a un buco, e questo buco, possiamo dire, è la finestra del fantasma. Il piano della realtà e quello del fantasma sono nettamente segnati e distinti, c’è un confine invalicabile tra essi. I momenti di estraniamento, di vacillazione – come quelli descritti per esempio nel Seminario VI a proposito di Amleto – si verificano allora quando gli elementi del fantasma hanno varcato il confine, non sono più separati ed entrano in gioco destabilizzando la realtà. Estraniamento, derealizzazione, perdita d’identità,, disorientamento spazio-temporale, sono tutti effetti legati al superamento della soglia che separa realtà fantasma, e sono solo transitori quando, malgrado gli sconfinamenti, il confine resta tuttavia chiaramente segnato. Nel caso di Schreber evidentemente questo confine non è segnato, e la destabilizzazione che in lui si produce porta a un rimaneggiamento e a una distorsione del campo della realtà. La letteratura realista è in grado quindi di descrivere la realtà perché è incentrata sul significato fallico che rimanda al referente, e fa da stabilizzatore della realtà, mantenendo la separazione dallo spazio fantasmatico. La letteratura fantastica dà luogo invece a effetti di delirio e di xenopatia analoghi a quelli che vediamo apparire in Schreber. Venendo al delirio di Schreber, vediamo da cosa parte. Sappiamo che ha il suo nucleo generatore nell’idea, venutagli un mattino al risveglio, che sarebbe bello essere una donna mentre sta subendo la penetrazione. È un’idea che accoglie prima con esitazione, se non con repulsione, e che man mano si fa poi strada e si consolida in lui. Se ci riferiamo alla metafora paterna che Lacan mette in forma nel testo, questa idea ha una sua logica stringente. Lacan considera infatti l’equivalenza girl = phallus, che è relativa allo sviluppo della metafora paterna. Il bambino infatti si identifica in un primo momento con il desiderio della madre, e sappiamo cosa desidera la madre: desidera il fallo. L’intervento paterno separa il bambino da questa posizione, perdendo la quale il bambino si trova nella condizione di diventare erede del titolo che lo abilita all’esercizio del fallo. Non ha potuto essere il fallo, per via dell’intervento paterno, diventa allora titolare della sua funzione. In Schreber il problema sta per l’appunto qui: per via della preclusione del Nome del Padre, non può separarsi dalla posizione che lo fa coincidere con il desiderio materno, ed è questo a farlo decadere dalla linea ereditaria. Non può infatti diventare esercente del titolo fallico, ed è il tema che nel testo di Schreber si sviluppa sotto il titolo dell’Entmannung, l’evirazione. Lacan segnala precisamente questa uscita dalla linea ereditaria, quando dice che la trasformazione del soggetto in donna lo fa “déchoir de toute hoirie”. Questo è un punto fondamentale, la rottura della linea ereditaria, l’uscita dalla logica del possesso determinata dal mancato accesso al titolo fallico – e lo vediamo in altri casi di psicosi famosi, come S.Francesco che si spoglia di tutti i beni del padre, o come Wittgenstein, che di fronte a un notaio compie quello che è stato definito come una sorta di suicidio finanziario alienandosi senza possibilità di ritorno ogni sua proprietà. Schreber, in assenza dell’operazione paterna, si trova a dover essere il fallo – e questo è il nucleo della trasformazione in donna – identificandosi con la mancanza d’essere della madre. Nel momento in cui questa identificazione viene scossa, s’innesca la dissoluzione del tripode immaginario costituito dai tre termini madre-bambino-fallo, e Lacan trova significativo che questa prima scossa, con un accesso di confusione ansiosa, si verifichi proprio nell’appartamento della madre, dove c’è anche il primo tentativo di suicidio, impedito dalla moglie. Siamo nella fase della seconda malattia, quella che si manifesta nel 1893 dopo la nomina di Schreber a Presidente della Corte di Appello di Dresda. Lacan osserva a questo proposito, con una frase spessissimo citata, come Schreber, non potendo essere il fallo che manca alla madre, abbia la sola soluzione di essere la donna che manca agli uomini. L’interessante in questa frase è che apre uno scorcio sul secondo ramo del delirio di Schreber, quello che riguarda la redenzione, la generazione di una nuova stirpe umana. C’è un passaggio dalla posizione singolare di fallo della madre, a una posizione universale – la donna che manca agli uomini – e anche cosmica, di radicale palingenesi e rinnovamento attraverso di lui della stirpe umana. Lacan fa apparire quindi qui chiaramente la radice comune di questi due rami di delirio. C’è insomma un passaggio dal singolare all’universale, in cui il delirio comincia a prendere le dimensioni dell’Ordine del mondo. Schreber dice, nella sue Memorie, che in condizioni normali non avrebbe mai potuto sussistere una collisione tra gli interessi di Dio e quelli degli individui, e che questo è accaduto per lui in seguito a una concatenazione di circostanze talmente mirabili e uniche, che non si è mai verificata nella storia del mondo. C’è in fondo un grande problema, una grande crisi politica che porta in contrapposizione Dio e gli uomini, e di conseguenza l’umanità si svuota d’anima. Dal momento infatti in cui Schreber dice che si è verificato lo “scaricarsi degli orologi cosmici” si è prodotto il fenomeno definito dall’espressione “maledetto giocare con gli uomini”, tema che Lacan raccoglie e commenta (a p.566 dell’edizione francese). Il termine tedesco che Schreber usa è: Menschenspielerei, che vuol dire propriamente uomini mossi dall’esterno, come da fili, tipo burattini, e che Lacan legge come uomini sforniti di fallo, tra i quali c’è Schreber stesso. In questo scardinamento dell’ordine cosmico, in questa grande crisi politica che mette Dio in contrasto con gli uomini, le cose vanno presto in stallo, fino al punto in cui il soggetto stesso trova la soluzione per uscire da questo stato deplorevole, e al tempo stesso per riscattare il proprio onore. La soluzione è quella che lui chiama Versöhnung, la riconciliazione. Lacan ne esplora tutte le risonanze di significato che sono di espiazione, di propiziazione e anche di sacrificio e di compromesso. Si tratta insomma del momento in cui Schreber smette di opporsi all’inqualificabile situazione in cui si è trovato e accetta il proprio destino. Il che vuol dire che cambia la propria politica con Dio. Dopo questo cambiamento di posizione soggettiva Schreber raggiunge una maggiore stabilizzazione. Recupera infatti le sue vecchie abitudini: torna a fumare, a giocare a scacchi, a suonare il piano. Il momento di questa svolta segna una tappa fondamentale nella vita di Schreber. Non vi è più alcun impedimento al processo che porta alla femminilizzazione, ora accettata. La sola soluzione è abituarsi all’idea di essere trasformato in donna, processo che richiederà secoli, e che quindi slitta lungo un asintote. La prospettiva futura è di essere fecondato dai raggi divini in vista della creazione di una nuova razza di uomini. Il motivo del mutamento di posizione soggettiva viene da Lacan attribuito al fatto che nel frattempo il soggetto era morto. È quel che leggiamo nel capitolo VII delle Memorie, dove troviamo: “Ricordo che all’incirca alla metà di marzo del 1894, quando aveva avuto inizio con grande intensità il rapporto con forze sovrasensibili, mi fu fatto vedere un giornale, nel quale si poteva leggere qualcosa come l’annuncio della mia morte; interpretai questo evento come un avvertimento, secondo il quale non dovevo più contare di tornare nella società umana” (p.101). Ci potremmo chiedere perché la morte del soggetto dovrebbe implicare un cambiamento di posizione nella politica con Dio. In realtà Lacan collega la morte del soggetto con la sua rinascita riferendosi a un episodio, menzionato nel capitolo XII, che parla dei miracoli del caldo e del freddo, quando il sangue, nel miracolo del freddo, viene respinto dalle estremità del corpo in modo che ne deriva una sensazione oggettiva di freddo, mentre nel miracolo del caldo il sangue viene spinto verso il volto e la testa. Si rendono così necessari provvedimenti per deviare i raggi divini verso le parti del corpo che gelano, in particolare le mani e i piedi, in modo da difendere la testa dall’effetto dannoso. Per un certo periodo quindi spesso Schreber teneva i piedi fuori dalla finestra attraverso le sbarre, allo scopo di esporli alla pioggia fredda; finché faceva ciò i raggi non potevano raggiungere la testa e questo, a parte il gelo dei piedi, lo faceva sentire perfettamente bene. Lacan interpreta questo comportamento come pretestuoso per uscire dalla finestra rinnovando così la presentazione della sua nascita. L’impresa di una nuova nascita può tuttavia, se la si intraprende a cinquant’anni, portare a qualche effetto di smarrimento – dice Lacan – ed è quello che registrano le voci annaliste, descrivendolo come un “cadavere lebbroso che conduce un cadavere lebbroso”. Lacan legge questa frase come l’espressione di un’identità ripiegata nel confronto con il proprio doppio, in una regressione topica allo stadio dello specchio, dove la relazione con l’altro speculare è ridotta semplicemente al taglio mortale. È la dialettica mortifera dello stadio dello specchio, dove c’è: “O lui o io”, ovvero ce n’è uno di troppo. In questa identità consistente orma solo nel confronto con il proprio doppio, vediamo però anche che si gioca per Schreber la sua posizione rispetto al desiderio dell’Altro. Schreber trova cioè trova una soluzione di quel che lui è come x. Non essendosi instaurato per lui il significato fallico che gli permetterebbe di rispondere a distanza all’Altro primordiale, si identifica con la donna. Esce quindi dalle coordinate edipiche per entrare in quelle cosmico-teologiche: non è il fallo che manca alla madre, ma la donna che manca di Dio. Questo gli dà, in un certo modo, un godimento transessuale, giacché identificandosi, accettando di trasformarsi in donna, riesce a recuperare un senso. L’immagine di lui nel godimento transessuale prende il posto che nello schema L sarebbe di S, del soggetto. Accade allora che (i), l’ideale, va al posto di (- phi), il fallo, e poiché (i) è il luogo del narcisismo, il corpo di Schreber viene investito narcisisticamente secondo la modalità transessuale. Questo non vale per tutte le psicosi, basti pensare a Joyce. Lacan sottolinea infatti come il corpo di Joyce sia disinvestito narcisisticamente, e dopo la batosta presa dai suoi amici, ha come la sensazione che il corpo si stacchi da lui come la buccia di un frutto maturo. Con Schreber abbiamo evidentemente una situazione differente, quella che descrive nel capitolo XXI delle Memorie quando dice: “Ho la temerarietà di affermare che chiunque mi vedesse stare davanti allo specchio con la parte superiore del corpo denudata, e ancor più se l’illusione venisse accresciuta da qualche ornamento femminile, riceverebbe senza dubbio l’impressione di un torace femminile” (p.294). Non solo si propone in veste femminile ma, come effettivamente accade ne casi di transessualismo, si presenta come la donna più donna. “Non c’è da meravigliarsi se il mio corpo è permeato di nervi di voluttà, in grado tale, quale difficilmente può essere superato dallo stesso fenomeno voluttuoso in qualsiasi altro essere femminile” (p.293). Dalla fase del primo irrompere della malattia, quando la connessione del suo corpo con i nervi di Flechsig gli fanno sentire come impuro l’interesse che Flechsig ha per lui, fino a queste descrizioni che vengono dopo la Versöhnung, dopo l’accettazione del suo ruolo e del suo destino, vediamo lo straordinario lavoro realizzato dal delirio. Il godimento malvagio di cui è invaso dall’Altro, e di cui la connessione nervosa è l’espressione delirante, trova modo di collocarsi e di avere senso – un senso scollegato evidentemente dal significante fallico – e riesce a inserirsi in un progetto di ristrutturazione globale dell’Ordine del mondo. Attraverso il godimento transessuale e la trasformazione in donna, si restaura per lui il significato, per lui e per il destino dell’umanità, perché attraverso questa trasformazione diventa la promessa di Dio di ricreare l’umanità. Abbiamo quindi uno sviluppo del delirio che parte da quel che viene definito “assassinio dell’anima”. Schreber ne parla all’inizio del capitolo II, dove scrive: “Devo notare innanzi tutto che nella genesi dello sviluppo in questione [la “mirabile struttura” in cui prendono corpo i fenomeni deliranti] i cui primi inizi risalgono assai indietro, forse al secolo XVIII, hanno un ruolo di primo piano da una parte i nomi di Flechsig e Schreber (probabilmente non limitati a indicare un individuo nelle rispettive famiglie) e dall’altra il concetto di assassinio dell’anima” (p.42). Secondo Schreber l’assassinio dell’anima consiste nel fatto che un’anima si consegni a un’altra nell’intuizione delirante che così quest’ultima si garantisca una sorta di immortalità, anche se sostiene “Io non sono in grado di dire, a parte ciò che ho accennato sopra, in cosa consista la natura vera e propria di un assassinio dell’anima e, per così dire, la sua tecnica” (p.48). È interessante notare che, dopo questa frase, nelle Memorie c’è un passaggio censurato in quanto non ritenuto adatto alla pubblicazione. La tecnica implicava evidentemente qualche descrizione sessuale non adatta allo spirito del tempo. Gli effetti dell’assassinio dell’anima riguardano comunque il sentimento della vita, e Lacan in questo sentimento della vita ci fa riconoscere il nucleo stesso del significato fallico. Per questo l’assassinio dell’anima rimane comunque enigmatico, perché non c’è solo la perdita di senso del soggetto, del suo sentimento della vita, ma anche una perdita del senso di ciò che accade intorno a lui. Possiamo dunque senza dubbio dire che l’assassinio dell’anima rappresenta molto chiaramente la formula della struttura delle psicosi nel suo punto di esordio, dove P0, cioè la preclusione del Nome del Padre fa sempre emergere ɸ0, ovvero l’assenza di significato fallico. Il delirio si struttura dunque a partire dall’assassinio dell’anima fino alla riconciliazione, dalla Seelemorde alla Versöhnung, ed è la soluzione che Lacan mette in forma nello schema I. In questo vediamo da un lato, intorno al buco prodottosi nel significato ɸ0 l’immaginario proiettarsi in due asintoti che illustrano i due modi di godimento di Schreber, quello della pratica transessuale e quello che lega la femminilizzazione alle coordinate della copulazione divina, per dare luogo alla nuova umanità e che Lacan indica come futuro della creatura. Questi due modi di godimento ristabiliscono per lui il significato, lo ristabiliscono, come già detto, per lui e per noi, cioè per il futuro dell’umanità. È interessante notare che sulla linea bassa dello schema, nel posto dell’altro siglato aI, Lacan mette l’indicazione dell’amore di Schreber per la moglie. Sappiamo che ci furono alcune difficoltà nel matrimonio di Schreber, cominciate nel 1894 quando, durante la seconda crisi, Sabine si ritirò a Berlino presso il padre per un periodo di riposo. Tre mesi dopo questa visita al padre, Schreber rifiutò di firmare le carte che avrebbero consentito a Sabine di incassare il suo onorario come giudice. Sabine si rivolse al superiore di Schreber. Questi le suggerì che avrebbe potuto ottenerlo per via giudiziaria. Sabine tuttavia non fece partire alcun procedimento. Questa storia è raccontata nello straordinario libro di José Maria Alvarez La invencion de las enfermedades mentales a p.464. Lacan valorizza poi una nota del capitolo XIII in cui Schreber sostiene di aver mantenuto intatto il suo passato affetto per la moglie, e questo gli serve per sostenere l’opinione che dice di essersi fatta esaminando il caso, secondo la quale anche nello scardinamento delle relazioni con l’Altro maiuscolo, si mantiene la relazione con l’altro inteso come simile. Tutte le anomalie, le dissonanze, i disturbi che si producono nella relazione con l’Altro maiuscolo, che danno luogo al delirio, sono compatibili con una tenuta della relazione con l’altro minuscolo. Dal lato della struttura simbolica, il buco di P0 provoca una fuga asintotica verso gli altri due rami, verso M e verso I. Lo statuto dell’Altro ha la caratteristica principale del Liegen Lassen, del lasciare cadere, del piantare in asso. È un Altro legato alla simbolizzazione primordiale della madre (M), ovvero all’Altro che si riduce all’”effetto coccodrillo”. Per un verso si ritira lasciando un vuoto di significato, dall’altro gode del corpo del soggetto, facendo contrarre i suoi muscoli per provocare, per esempio, il fenomeno dell’urlo. Nel momento in cui l’Altro si ritira, tutto cade sulle spalle di Schreber, che al tempo stesso deve difendersi, affinché l’Altro non goda troppo di lui. Il soggetto deve mantenere così il Creato con le proprie parole – lo vediamo indicato nello schema come creature della parola – e vive come proprio dovere il fatto di preservare l’Ordine del mondo. Mantenendo il Creato con le proprie parole, Schreber fa sì che l’Altro abbia una regola. Troviamo infatti nelle Memorie le sue descrizioni di come Dio sia stupido, senza regole, senza leggi, incapace di capire gli uomini e capace solo di lasciarli cadere. Schreber si trova così a dover spiegare a questo Altro capriccioso come mantenere l’Ordine del mondo, per questo prende appoggio sull’ideale dell’io (I), che funge da parvenza del padre che manca. Nella linea superiore dello schema Lacan indica poi il fatto che Schreber si rivolge a noi, vale a dire a noi che siamo i lettori del suo libro, a noi a cui il libro è rivolto. Perché dovrebbe preoccuparsi tanto della nostra opinione, e darsi tanta cura nel confezionare un libro così voluminoso, se non forse per il motivo detto prima, che lo scardinamento dell’Altro non compromette la relazione con il simile? E la relazione con il simile corre lungo le due linee parallele dello schema, che riguardano noi, il pubblico dei lettori per un verso, e la moglie per l’altro. Una parola ancora sulla linea diagonale che attraversa lo schema I. J.A. Miller ha analizzato questa linea sviluppando la questione del fantasma nella psicosi e mostrando che ciò in cui risiede la grande ricostruzione di Schreber alla fine del suo delirio, è precisamente la linea che attraversa lo schema I. In essa troviamo quel che per Schreber fa funzione di fantasma e che si può enunciare nei termini: “Più avanti sarò la donna di Dio.” È molto pacificante il fatto che questo accadrà più avanti, nel corso dei secoli, e che non debba essere subito.” Schreber così non subisce in modo eccessivo il godimento dell’Altro, e in fondo non è neppure lasciato cadere, perché il confronto decisivo è rimandato a più tardi, un più tardi che si perde nell’indefinito, e forse nell’infinito. Qui ritroviamo dunque le stesse funzioni che il fantasma ha nelle nevrosi: per non trovarsi di fronte a un Altro radicale, quello dell’Altro sesso, il nevrotico tra sé e l’Altro interpone il fantasma. Questa stessa funzionalità della nevrosi è quella che Schreber riesce a ricostruire attraverso l’interposizione di una promessa che, separandolo, differendo il suo incontro con Dio, svolge la stessa funzione protettiva del fantasma nevrotico.
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