Intervista a Marco Focchi, di Andres Borderias, 4 novembre 2023 Andres Borderias - Com’è la situazione attuale per la “questione trans” in Italia? Sono previsti cambiamenti nella legislazione attuale? Marco Focchi - In Italia prima del 1982 non c’era nessuna possibilità di modificare la propria condizione per una persona che non si identificasse nel proprio sesso biologico. Sin dal dopoguerra hanno cominciato a formarsi delle associazioni per il riconoscimento dei diritti omosessuali, ma la forte influenza della Democrazia Cristiana è stata sempre un freno per lo sviluppo di queste iniziative. Il suo indebolimento a partire dagli anni Settanta ha permesso affiorasse, su spinta dei Movimento Italiano Transessuali e del Partito Radicale, un diverso clima culturale. Questo ha portato all’approvazione di un disegno di legge con il quale per la prima volta veniva consentito un cambio di sesso. La legge del 1982 regola la possibilità di cambiare il proprio sesso anagrafico in base all’identità di genere percepita. Prevede due fasi: prima è necessario presentare una domanda al tribunale per chiedere l’autorizzazione all’intervento medico chirurgico. Occorre poi avviare una successiva procedura con cui, attestando le avvenute modificazioni dei caratteri sessuali. Il tribunale può allora emettere una sentenza grazie alla quale diventa possibile rettificare il sesso e il nome nell'atto di nascita e nei documenti d’identità. Dopo aver ottenuto la rettifica del sesso diventava possibile contrarre matrimonio con una persona del sesso opposto a quello acquisito, ma non adottare o procreare figli.
La legge del 1982 è stata modificata dal decreto legislativo nel 2011 che ha semplificato e accelerato il procedimento di rettifica del sesso. Il decreto ha previsto che la domanda di cambio chirurgico di sesso e quella di cambio legale sui documenti possano essere presentate insieme, evitando di dover avviare due procedure. Il decreto ha poi anche abolito la commissione medico-legale prima incaricata di esaminare le richieste, e ha affidato al giudice il compito di valutare le prove mediche e psicologiche presentate dal richiedente. Si tratta quindi di una semplificazione procedurale senza mutamenti sostanziali nel percorso di riconoscimento del cambio di sesso. Un differenza sostanziale viene introdotta invece nel 2015 con una sentenza della Corte di Cassazione che stabilisce il diritto all’integrità psicofisica della persona transessuale. Questo significa che l’intervento chirurgico di demolizione degli organi sessuali non è più ritenuto indispensabile per rettificare il cambio di sesso nei documenti. Un ulteriore sentenza della Corte di Cassazione nel 2020 ha stabilito poi che le persone che si sottopongono a intervento chirurgico per il cambio di sesso hanno diritto di scegliere all’anagrafe il nome che preferiscono e non sono tenute a semplicemente a modificare al maschile o al femminile il loro nome originario. A parte la situazione legislativa bisogna considerare come questi temi vengono accolti dalla sensibilità delle gente, e bisogna dire che che la maggioranza delle persone esprime una certa tolleranza, secondo le statistiche quasi il 68%, contro una media europea del 76%. Certo il quadro politico attuale, completamente in mano alle destre non favorisce un atteggiamento positivo nei confronti delle tematiche LGBT. Due anni fa, prima ancora di essere al governo, le destre sono riuscite ad affossare il disegno di legge Zan contro la discriminazione dell’omostransfobia, e attualmente, con l’occupazione sistematica di tutti media informativi, questa tendenza può sono peggiorare. Al tempo stesso alcune università hanno aperto le porte alla carriera alias, che va nel senso dell’autodeterminazione dell’identità di genere: “sono quel che dico”. Lo spazio per la psicoanalisi, in questo quadro, è molto stretto. Qual è la posizione del Vaticano sulla questione trans? C’è un dibattito teologico sui problemi fondamentali? Sì, c’è un vero e proprio dibattito teologico sulle questioni fondamentali. Nel Sinodo che si è svolto in ottobre si sono confrontate posizioni opposte nell’ambito della Chiesa: quella del papa, tentato da una prudente apertura nei confronti dell’omosessualità, e quella di alcuni vescovi conservatori, che hanno espresso dei dubia proprio nel timore della possibilità di accordare la benedizione delle coppie omosessuali. A conclusione del sinodo tuttavia, prima del voto, l’acronimo LGBTQ è sparito dalla bozza iniziale. È rimasto un solo paragrafo che accenna in modo generico all’omosessualità. Ovviamente l’idea di fondo è che tutti sono figli di Dio, anche gli omosessuali, ma purché vivano in castità. Non è stata approvata nessuna norma che legittimi la pratica omosessuale. Se tuttavia sull’omosessualità si è discusso, sul LGBTQ si è semplicemente tirato un tratto di penna. Questo testimonia del grande imbarazzo della Chiesa sul problema. Subito dopo il Sinodo tuttavia, sollevando un certo scalpore, Bergoglio ha indicato, attraverso il prefetto per la dottrina della fede, alcuni punti su temi cruciali, resi poi pubblici sul quotidiano La Croix, sostenendo la possibilità per una persona trans di ricevere il battesimo e di fungere da padrino o da madrina, per una persona gay di essere testimone di matrimonio, per il figlio di una coppia gay adottato o avuto con la gestazione per altri di ricevere il battesimo. Bisogna dire che dopo il naufragio del papato di Ratzinger, fine teologo ma politico maldestro, che ha tentato di riportare la Chiesa ai tempi di San Tommaso con l’obiettivo di rimettere insieme fede e ragione, papa Bergoglio ha cercato di prendere una via più in linea con i tempi. In diversi momenti Bergoglio si è espresso in termini della più benevola accoglienza. È famosa la sua affermazione di una decina di anni fa: “Se una persona è gay e cerca il Signore, chi sono io per giudicarla?” Qualche anno dopo, durante un suo viaggio, ha poi sostenuto che la Chiesa deve chiedere scusa agli omosessuali, che ha offeso. Si è inoltre rivolto ai genitori incitandoli a non condannare mai un figlio omosessuale. Ha sostenuto con un gruppo di genitori di figli LGBT che il papa ama i loro figli perché anche loro sono figli di Dio. Queste tuttavia sono dichiarazioni informali, che non costituiscono il corpo di un magistero autentico e fatto proprio dalla Chiesa. La posizione formale mantiene sul fondo l’idea che gli atti contro natura siano intrinsecamente disordinati, contrari alla legge naturale e non consentano il dono della vita, unica ragione legittimante dell’atto sessuale. Bisogna aggiungere che al tempo in cui in Parlamento in Italia è arrivato il disegno di legge Zan il Vaticano ha mobilitato i suoi canali diplomatici per ostacolarne il corso imprimendo alla sua azione un salto di livello e rivolgendo una nota direttamente alla Farnesina. C’è in Italia un dibattito sulla “depatologizzazione”? Come tocca la pratica psicoanalitica? La segreteria milanese della SLP ha organizzato l’anno scorso un importante ciclo d’incontri sul tema: La direzione della cura nell’epoca della depatologizzazione. Ci sono due versanti in cui può essere preso il tema della depatologizzazione. Da un lato è il motore di una spinta progressiva. Pensiamo al momento in cui negli anni Settanta fu ingaggiato il dibattito per derubricare l’omosessualità dalle categorie diagnostiche del DSM, culminato, dopo molte trasformazioni che tendevano a mitigare o a occultare la diagnosi, con la definitiva cancellazione della denominazione di omosessualità dall’elenco delle patologie classificate. Questo va anche nel senso di contrastare la medicalizzazione della vita denunciata da Foucault come modalità di controllo biopolitico. I totalitarismi del XX secolo, sia il nazismo sia lo stalinismo, hanno per altro saputo benissimo utilizzare la psichiatria come disciplina utile a legittimare la repressione e il silenziamento della dissidenza. L’altro lato, quello che incontriamo oggi, è quello che ci viene dalla cultura woke. Minoranze che si muovono per far giustamente valere i propri diritti al riconoscimento sociale assumono atteggiamenti aggressivi e tendenzialmente totalitari, chiusi a ogni dialettica, sordi a ogni interrogativo, producendo cortocircuiti identitari con i quali è impossibile qualsiasi confronto. Noi stessi ci siamo trovati nei nostri dibattiti a confrontarci con questo tipo di presa di posizione, in cui si pretendeva di mettere la psicoanalisi alla scuola di improbabili orientamenti di matrice americana o anglosassone, di tendenza biologista con i quali si pretendeva di fondare scientificamente la posizione omosessuale, o trans, o bisessuale o fluida o comunque fosse con premesse organiche che, proprio in quanto tali, vengono ritenute oggettive e immutabili. Il nostro mondo, figlio del pensiero unico scientista, ha bisogno del marchio di qualità della scienza per garantirsi nella propria posizione mettendo fuori circuito la dimensione soggettiva. Anche la carriera alias, che con sempre maggiore frequenza le scuole e le università riconoscono, va in questo senso. L’allievo, lo studente che si dichiarano di un determinato sesso, a prescindere dalla propria realtà corporea, va preso per quel che dice, e i suoi documenti di studio devono riportare l’indicazione del nome di scelta. In questa prospettiva, in cui: “sono quel che dico”, Miller riconosceva che il soggetto del diritto prende piede sul soggetto dell’inconscio. Come si riflette questo nella pratica clinica? Ci sono isole identificative che non si possono mettere in discussione, intorno alle quali bisogna girare. Nelle giornate di studio di Parigi del 2022 abbiamo sentito dai nostri colleghi francesi molti casi di questo tipo, trattamenti che si cesellano intorno a punti intoccabili. Lacan aveva già incontrato questo problema: parlando del caso di una donna che aveva una relazione extraconiugale, ma che non avrebbe mai messo in discussione né in dubbio il valore del matrimonio monogamico, segnalava come non bisognasse toccare questo tipo di identificazioni costituite come muri maestri della soggettività, scuotendo i quali crolla tutta la struttura, o semplicemente si provoca la fuga dall’analisi. Naturalmente, come in ogni cosa, bisogna saper trovare la giusta misura di quel che si può toccare e di quel che invece no.
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