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Il buon uso dell'inconscio

Conferenze, seminari, interventi e testi del dott. Marco Focchi
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Dovunque altrove - capitolo primo

5/7/2024

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A partire da questo post renderemo disponibile, un capitolo alla volta,  il libro di Amelia Barbui e Marco Focchi Dovunque altrove, attualmente libero da diritti. Il libro contiene, in alcuni capitoli, ampi commenti e dettagliate spiegazioni di alcune parti dei seminari di Lacan che stanno uscendo attualmente in italiano, come La logica del fantasma e Da un Altro all’altro. Sono seminari in cui vengono sviluppate alcune importanti formalizzazioni logiche che costituiscono le premesse per entrare nei temi dell’ultimo insegnamento di Lacan


DOVUNQUE ALTROVE
I topoi freudiani e il problema del soggetto nel pensiero psicanalitico 


Amelia Barbui e Marco Focchi


A Jacques-Alain Miller
maestro e amico


Il professore spiegava geografia: dovunque vada,
questo amore insiste, nonostante i villaggi
in cui mi sperdo, mi volto, chiedo strada
io lo so, davvero sento
che niente sulla terra cambierà quel
perfetto fui contento.


Milo De Angelis



PARTE PRIMA



PORZIA TRA PASCAL E TARSKI: COINCIDENZA DI LOGICA ED ETICA NELL‘INCONSCIO



La domanda su quale fosse la ragione della scelta degli scrigni si presentò a Freud mentre stava lavorando alla stesura di Totem e tabù. Il grande mito moderno dell‘uccisione del padre primitivo prendeva consistenza in un momento in cui, dopo la defezione di Adler e nell‘imminenza di quella di Stekel, anche i rapporti con Jung, principe ereditario designato, si andavano guastando. Da nemmeno due anni erano state poste le basi istituzionali del movimento psicanalitico, e già alcuni tra i discepoli più vicini a Freud si rivoltavano contro di lui, dandogli un‘idea di quel che avrebbe dovuto pagare sul piano personale per garantire un‘assise stabile alla propria dottrina.

In una lettera a Ferenczi, Freud scrisse che il suo interesse per l‘argomento shakespeariano degli scrigni dipendeva probabilmente da pensieri concernenti le sue tre figlie, e che questo ponte associativo l‘avrebbe condotto dai tre scrigni del Mercante di Venezia alle tre figlie di Re Lear.
Le traversie istituzionali della psicanalisi, che si intrecciavano in quel momento con gli episodi familiari, non lo lasciavano indifferente. Le figlie traditrici di re Lear facevano posto ai fratelli parricidi dell‘orda primordiale, e la figura del padre morto - la cui ombra malinconica e selvaggia Freud vedeva cadere su di sé - può incarnarsi tanto nel despota primitivo su cui si ritorce l‘odio dei figli, quanto nel sapiente padre di Porzia, che legando in testamento la figlia a un vincolo restrittivo per la scelta dello sposo, lascia trasparire, dietro la sollecitudine per la felicità futura della sua pupilla, l‘impulso incontrollato di una gelosia ferocemente possessiva.
L‘intreccio, in cui le vicende politiche della psicanalisi si sovrappongono nella riflessione di Freud alla trama della sua esistenza individuale e dove gli affetti personali si mescolano all‘amore per la causa, crea la condizione per l‘emergere di un interrogativo etico, presente a volte in modo più esplicito nel testo freudiano, ma che può essere qui affrontato su un terreno privilegiato.



La scelta degli scrigni come problema etico: Porzia e l‘etica


Consideriamo il problema propriamente etico posto nel motivo della scelta degli scrigni. La scelta è orientata da quella disposizione fondamentale che i greci chiamavano aretè, la virtù, e il padre di Porzia voleva che la figlia andasse in sposa a un uomo virtuoso. Poiché però la virtù, diversamente dalla bellezza, è un dono poco appariscente, il solo modo di verificarne la tempra nel carattere dei candidati alla mano della figlia era metterli alla prova per rivelare l‘orientamento delle loro attitudini.
La scelta doveva avvenire tra tre scrigni, di cui uno solo conteneva il ritratto di Porzia: chi lo avesse trovato sarebbe stato lo sposo eletto. Dei tre uno era d‘oro, uno d‘argento, uno di piombo; ciascuno portava incisa una scritta allusiva, un enigma attraverso il quale il pretendente avrebbe saggiato la virtù del proprio ragionamento.
Il primo scrigno, d‘oro, portava la scritta: «Chi sceglie me, otterrà ciò che molti desiderano», e su di esso spreca la propria eloquenza il re di Marocco, stringendo un pugno di mosche per scoprire una verità in fondo banale: non è tutto oro quel che luccica.
Su quello d‘argento, con la scritta: «Chi sceglie me avrà quel che si merita», si infrangono le speranze del principe di Aragona, evidentemente ignaro della sentenza amletica che se ciascuno fosse trattato secondo il proprio merito nessuno si salverebbe dalla frusta.
La malizia shakespeariana di far trovare un buffone ammiccante nello scrigno d‘argento, come risposta a chi si crede il miglior giudice del proprio valore, suggerisce che la virtù consiste anche nel saper mettere in conto l‘incognita per valutare, al di là del riconoscimento sociale di cui siamo consapevoli, ciò che di noi ci sfugge, se non vogliamo ridurci a zimbello.
Spetta a Bassanio la scelta dello scrigno di piombo, la cui scritta minaccia più di quanto prometta: «Chi sceglie me deve puntare rischiando tutto quel che ha». Ma questo rischio, che sembra cieco, non appare affatto irragionevole a chi abbia gli occhi aperti sulla realtà della vita: per ottenere qualcosa di inestimabile, non c‘è equazione di valori che tenga, la sola possibilità è rischiare tutto.
Il manoscritto del Mercante di Venezia, dopo essere rimasto due anni depositato presso il tipografo James Roberts, venne pubblicato nel 1600; ventitrè anni dopo, a Clermont Ferrand, nasceva Blaise Pascal, che al rischio affrontato da Bassanio avrebbe dato la forma suggestiva della sua scommessa.
«Tu che non scegli in base alle apparenze rischi lealmente, e scegli secondo verità» recita la scritta accanto al ritratto di Porzia. Non si tratta infatti solo di non farsi ingannare dalle apparenze e perseguire la verità dove si nasconde facendola uscire dalla latenza. Se questo fosse un gioco sicuro non ci sarebbero motivi per sottrarsi.
Se la contemplazione della verità non riservasse anche il destino di Atteone, il mondo sarebbe noioso come il paradiso che si immagina da bambini: l‘eterna asessuata monotonia della visione di Dio quando si ha voglia di scappar fuori a tirar calci a un pallone o a spiare le mosse vezzose e sensuali delle bambine. La verità, insomma, senza essere inafferrabile, è al di fuori delle possibiltà socialmente acquisite, e questo ne costituisce il fascino, il rischio, e il senso etico. Se la verità appartenesse solo alla logica sarebbe tutto più facile, e anche più insipido.
Cosa capita, in fondo, al re del Marocco che cerca «ciò che molti desiderano»? Trova nello scrigno la figura più terribile di padrone, quello assoluto, la morte raffigurata da un teschio nelle cui orbite vuote sta arrotolata la pergamena del responso.
Chi si affida all‘opinione della maggioranza, nell‘incapacità di scegliere, esegue gli ordini di un padrone, facendosi schiavo per non rischiare e perdendo ogni altra possibilità.
Il principe di Aragona elegge a principio il calcolo: vuole avere quel che merita, niente di più e niente di meno. Ma l‘uomo senza infamia e senza lode, che non forza il destino per provarne fino in fondo le possibilità, l‘uomo che si accontenta di un equilibrio e di una misura del tutto estranei al nihil nimis della classicità, perché non si è mai spinto abbastanza avanti da poter intravedere il troppo - quest‘uomo incontra la derisione che gli cade addosso dalla vasta zona d‘ombra lasciata nel suo «conosci te stesso», come chi porti un pesce d‘aprile sulla schiena.
Né la scelta del re di Marocco, né quella del principe di Aragona sono autentiche, perché si affidano a criteri predeterminati, consolidati dal senso comune, che non mettono intimamente a repentaglio, come se nella scelta si trattasse soltanto di applicare un sapere e la verità potesse essere conosciuta prima della prova. Ma il problema dell‘etica è proprio la differenza tra sapere e virtù, tra logos e aretè, per cui nessun ampliamento del sapere tecnico o scientifico, per quanto avanti possa essere spinto, è in grado di eliminare la necessità della decisione, con il rischio della verità e dell‘imponderabile che ne costituisce l‘essenziale. Qui si impernia l‘atto etico per eccellenza, estraneo all‘assiologia. Non vi è norma o possibile prefigurazione dei valori a cui l‘atto debba conformarsi: esso apre ogni volta una nuova via. Non importa stabilire se Cesare ha fatto bene o male a passare il Rubicone, ma avendolo attraversato ha fatto nascere qualcosa che prima non c‘era, l‘Impero romano.
L‘inestimabile, cui punta Bassanio con la sua scelta, non solo è al di fuori di qualsivoglia scala di valori, ma, in un certo senso, esorbita dalla possibilità comune, come l‘amore che, relegato in una sorta di trascendenza terrena, nasce in contrasto con ogni forma di economia, imponendo  di rischiare tutto per ottenere l‘impossibile. Nella propensione a giocare tutto contro niente sta in fondo la scelta etica, dove il compenso, estraneo alla logica degli scambi, ha l‘incertezza del dono e della sorpresa.



La sorpresa e la mancanza d‘essere


La sorpresa, alle origini della disposizione filosofica nei confronti dell‘essere, si trova, dopo duemila anni, al cuore della problematica freudiana dell‘inconscio, nel motto di spirito, nel lapsus, nell‘interpretazione riuscita, quando il soggetto si coglie a pensare dove non è: dalla meraviglia filosofica di fronte a un essere impensato si passa allo stupore psicanalitico di fronte a un pensiero che esclude l‘essere.
La possibilità della sorpresa è l‘inverso di quel dominio incondizionato della tecnica in cui il pensiero contemporaneo ha riconosciuto un carattere distintivo della civiltà odierna.
La sorpresa dunque, conseguenza della scelta etica, appartiene alla dimensione inconscia. Per questo nella psicanalisi, diversamente che nella scienza, il problema etico non riguarda una sfera esterna a cui la dottrina può indifferentemente accordarsi oppure no. La psicanalisi ha uno statuto etico proprio. Oppenheimer poteva dedicarsi alla realizzazione della bomba atomica lasciando a Truman la decisione e la responsabilità di lanciarla. La crisi morale che lo ha investito personalmente non si interseca con la sua opera di scienziato. Lo psicanalista, preso in analisi un paziente, non può separare gli intenti scientifici da quelli clinici: non può demandare ad altri le decisioni relative alla conduzione della cura.
Il motivo etico della scelta emerge con chiarezza nel tema fiabesco degli scrigni: Marocco e Aragona allontanano da sé la responsabilità della decisione cercando di fondarla, il primo sull‘opinione comune, il secondo sull‘equivalenza degli scambi. Solo Bassanio non delega le ragioni della scelta e pone a fondamento della decisione esclusivamente il proprio desiderio, mettendo in gioco null‘altro che se stesso, ma anche tutto se stesso senza riserve: può farlo in quanto, amando Porzia, non ha altro da perdere se perde lei, non beni, non regno, non dignità né grado; segue, in fondo, la sola via per lui possibile, se ammettiamo che è inaccettabile propter vitam perdere causam.




La verità come causa


L‘analisi freudiana del tema degli scrigni mette in luce infatti, come elemento di fondamentale importanza, il carattere vincolato di questa scelta. Essa non ha nulla a che vedere con le possibilità indifferenti del libero arbitrio, e viene al posto dell‘inesorabilità del destino.
Nel mito di Paride, e in tutti gli altri che prende in considerazione, Freud svela come in ultima istanza, nella bellezza della donna scelta si celi Atropo, l‘Inesorabile. Dietro il sorriso invitante dell‘amore si denuda il ghigno agghiacciante della dea della Morte, ma non si tratta semplicemente del tema romantico di amore e morte. Il punto vivo dell‘analisi di Freud sta piuttosto nel domandarsi perché, potendo scegliere, si scelga sempre l‘inesorabile. Di fatto è la sola possibilità di cui si dispone per affermare la propria libertà: scegliendo l‘inevitabile si dà alla necessità il carattere di libera scelta.
Il soggetto non può far altro che desiderare ciò che ha perduto e, affermando fino in fondo il proprio desiderio senza indietreggiare per il timore della perdita, guadagna il plusgodere di un oggetto inestimabile, che non può raggiungere se non mettendo in gioco tutto se stesso. Soltanto considerando l‘inconscio dal punto di vista del suo statuto etico possiamo capire la necessità nella psicanalisi di assumere la verità come causa, perché questo significa eleggere la mancanza a perno del proprio desiderio. Occorre ora, per un momento, rivolgere l‘attenzione allo statuto logico della verità per vedere come, sul piano della soggettività che interessa la psicanalisi, la necessità stringente della logica trovi la propria coerenza solo in coincidenza con la verità etica messa in gioco dalla scelta. Poiché abbiamo cominciato con Porzia, restiamo ancora in sua adorabile compagnia



Porzia e la logica


Alcuni logici maliziosi hanno insinuato che il padre di Porzia sarebbe forse stato più saggio se avesse desiderato per la figlia un marito intelligente anziché virtuoso. Hanno così provato a immaginare un diverso tipo di prova cambiando le scritte sugli scrigni. Una delle forme più semplici che hanno proposto è la seguente. Sullo scrigno di piombo sta scritto: «Il ritratto non è nello scrigno d‘argento»; su quello d‘argento: «Il ritratto non è in questo scrigno»; su quello d‘oro: «Il ritratto è in questo scrigno». Premesso che almeno una delle tre affermazioni è vera e che almeno una è falsa, disponiamo di tutti i dati necessari per risolvere il problema. Se infatti il ritratto fosse nello scrigno d‘oro tutte e tre le affermazioni sarebbero vere, contraddicendo i dati del problema. Se il ritratto fosse nello scrigno d‘argento tutte e tre le affermazioni sarebbero false, contraddicendo nuovamente i presupposti. Il ritratto può quindi essere solo nello scrigno di piombo, in quanto così le due prime affermazioni risultano vere e la terza falsa, coerentemente con le premesse.
La scelta operata in base alla logica guida il pretendente in modo molto più sicuro, con il solo svantaggio che, illuminandoci sul grado d‘intelligenza, non ci dice nulla sulla capacità di rivolgere alla pratica le sue doti. Cosa che ha un certo peso quando si tratta di scegliere un marito piuttosto che un amante occasionale. La prova etica mette in luce le peculiarità del soggetto, le sue aspirazioni, quel che veramente desidera, e in ultima istanza quel che veramente è. La prova logica riguarda invece solo il piano dell‘universale e l‘incidenza soggettiva non è messa in gioco nella scelta.
Con questo, la prova etica non lascia alcuno spazio per l‘arbitrio, come dimostra la commedia shakespeariana. La scelta è forzata, ma non vincolata logicamente, c‘è un margine d‘indeterminazione che fa posto alla decisione soggettiva rivelatrice del desiderio. Neppure la logica però è univoca come sembra, e anche in essa può sorgere un margine d‘indeterminazione tale da mettere in imbarazzo il più arguto dei pretendenti. Basta modificare leggermente i dati del problema. Per semplificare ci limiteremo a considerare due scrigni: su quello A sta scritto: «Il ritratto non è qui dentro»; su quello B: «Una e solo una di queste due proposizioni è vera». Come ci guida la logica in questo caso? Il pretendente avrebbe potuto ragionare nel modo seguente. Se la proposizione incisa sullo scrigno B è vera, allora una e una soltanto delle due proposizioni è vera. Ciò significa che quanto afferma la scritta sullo scrigno A è falso. Se invece la proposizione sullo scrigno B è falsa dobbiamo dedurre che le proposizioni sono entrambe vere o entrambe false. Non possono essere entrambe vere, perché siamo partiti dall‘ipotesi che quella su B sia falsa, quindi devono essere entrambe false. Ne risulta che, indipendentemente dal fatto che l‘affermazione sullo scrigno B sia vera o falsa, l‘affermazione incisa su A deve essere falsa. Quindi il ritratto è nello scrigno A. A questo punto il pretendente può aprire trionfante lo scrigno per scoprire di essersi ingannato. Dov‘è l‘errore? In un certo senso possiamo dire che l‘errore consiste nel non essersi reso conto che i dati del problema sono incompleti, e che non c‘è modo di risolverlo senza aver informazioni sulla relazione tra i valori di verità delle due proposizioni. Stando così le cose, l‘oggetto può essere ovunque, a prescindere da quanto è affermato nelle scritte. Più propriamente però l‘errore consiste nell‘attribuire un valore referenziale ad affermazioni che si riferiscono soltanto ai propri valori di verità. Consideriamo infatti più attentamente il problema. L‘affermazione incisa sullo scrigno A: «Il ritratto non è qui dentro» deve essere necessariamente vera o falsa perché si riferisce a un dato di fatto: il ritratto o c‘è o non c‘è; tertium non datur. Se invece il ritratto si trova nello scrigno B, l‘affermazione su esso incisa non può essere né vera né falsa senza cadere in un paradosso. Se infatti la supponiamo vera, una e una soltanto delle due proposizioni è vera. Ma poiché la proposizione incisa su A è vera, avendo noi messo il ritratto in B, allora l‘affermazione incisa su B è falsa. Così se è vera è falsa. Se d‘altra parte la supponiamo falsa, la prima è vera e la seconda falsa, ovvero ci troviamo nella condizione in cui una e solo una delle due affermazioni è vera. Poiché ciò è quanto la nostra proposizione asserisce, essa dovrebbe essere vera. Di conseguenza sia che la supponiamo vera, sia che la supponiamo falsa, ci troviamo di fronte a una contraddizione.
Questo tipo di contraddizione è ben noto nella storia della logica e proviene dal paradosso del mentitore di cui la prova sopra esposta è soltanto una variante.
La sua forma più semplice, «io mento», imbroglia subito in un ragionamento contraddittorio analogo al precedente in quanto se dico di mentire e mentisco veramente allora sto dicendo la verità mentre se dicendo di mentire sto dicendo la verità allora mentisco. Naturalmente questo è un problema se ci situiamo solo sul piano logico, perché su quello pratico abbiamo altri mezzi per stabilire se chi ci sta di fronte vuole ingannarci o no, anche perché, di solito, non ne dichiara l‘intenzione. Il paradosso del mentitore sta anche alla base della costruzione di Tarski di una semantica estensionale attraverso un metalinguaggio che tenta di eliminarlo. Nella logica proposizionale è necessario suturare la contraddizione; occorre che vero e falso siano rigorosamente separati e la scienza moderna non può che attenersi a questa condizione in quanto deve sempre essere in grado di decidere se le proposizioni della teoria corrispondono ai fatti. È ciò che si esprime dicendo che le teorie scientifiche devono essere verificabili. Sul piano logico Tarski realizza la formalizzazione più completa di una semantica estensionale fondata sulla nozione classica di verità come corrispondenza. Ma il risultato ottenuto da Tarski, basato sul teorema di Gödel, è che non tutti gli enunciati veri esprimibili nella lingua naturale sono formalizzabili.
Per quanto possiamo ampliare un sistema formale vi è sempre un elemento che resta escluso. Questo significa che sul piano meramente logico non si può suturare la falla aperta dal paradosso del mentitore senza andare incontro a una perdita, a un‘esclusione.
Il problema della verità, secondo Frege, indica l‘indirizzo della logica nello stesso modo in cui il problema del bello indica l‘indirizzo dell‘estetica e quello del bene l‘indirizzo dell‘etica.



L‘inconscio e i paradossi della logica


Nella psicanalisi moderna abbiamo assistito a un potente sforzo di formalizzazione logica e matematica dell‘inconscio a partire da Lacan. La struttura linguistica dell‘inconscio è logica. Ma la logica moderna, in quasi tutte le sue varianti, affronta i problemi epistemologici che le si pongono nel quadro filosofico in cui viene riconosciuta al linguaggio una funzione rappresentativa, intendendo che il linguaggio parla delle cose. I paradossi di autoriferimento diventano problematici proprio in questa prospettiva: se il criterio di fondo è che il linguaggio deve essere funzionale alla comunicazione di stati di fatto, che posto hanno enunciati, tipo quello del mentitore, che si riferiscono solo ai propri valori di verità? Tale interrogativo interessa la psicanalisi in quanto l‘emergere di una problematica dell‘inconscio delinea esattamente una dimensione del linguaggio che non concerne la comunicazione, che non parla di stati di cose.
La struttura dell‘inconscio è certamente logica, ma non possiamo considerare il problema della verità in psicanalisi soddisfatto dai termini in cui è affrontato nella logica classica.
Il paradosso, che per la logica costituisce un modo di invalidazione, in psicanalisi è indice della posizione soggettiva. La contraddizione, da eliminare nella linearità dimostrativa della logica, ha una funzione centrale per Freud: il sintomo, il lapsus, il motto di spirito hanno al loro centro una contraddizione dove uno dei due termini viene escluso. La rimozione, descritta da Freud come proveniente da un‘istanza morale, da un confronto con l‘ideale, è così ricondotta a una pura formulazione logica: per mantenere la coerenza del sistema un elemento deve venire escluso. Ma questo termine escluso è, in ultima istanza, l‘elemento in cui riconosciamo la posizione soggettiva.
Sul piano di una logica dell‘inconscio, dunque, la verità consiste nel riconoscimento di una mancanza che il soggetto assume come desiderio a scapito del godimento.
L‘universale della verità logica viene così a coincidere con il particolare della scelta etica nella misura in cui la necessità strutturale della mancanza si articola, nel desiderio, con la contingenza di una perdita determinata di godimento.
Per questo l‘etica della psicanalisi non può essere definita dalla ricerca di un bene, e Lacan, sviluppandola a partire dal rigorismo kantiano, la impernia piuttosto sul desiderio come soggettivazione della mancanza.
Lo statuto logico dell‘inconscio, forma universale, si completa così nello statuto etico, forma particolare, dando luogo a un punto in cui la verità è universale, in quanto necessità della struttura che include la mancanza, e al tempo stesso è particolare in quanto scelta dal soggetto e assunta in forma di desiderio, ovvero nel punto di mancanza determinata da una particolare perdita di godimento.
Questa scelta non porta però alla disinteressata «freddezza» del dovere kantiano, in quanto si prospetta piuttosto come la sola possibilità per il soggetto di ottenere un parziale recupero di godimento attraverso il desiderio.
Si tratterà ora di vedere come la problematica qui abbozzata risponde agli interrogativi che hanno spinto Freud a formulare la seconda topica, e come su questo punto critico si giochi una partita decisiva tra le diverse correnti di pensiero psicanalitico che si rifanno all‘eredità freudiana.
2 Comments
Giuseppe
5/7/2024 05:53:39 pm

Uno dei primi libri su Lacan che lessi, che mantiene una sua contemporaneità. Grazie Marco.

Reply
Marco Focchi
9/7/2024 02:21:46 pm

Grazie e un saluto.

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