Presentazione della tavola rotonda tenutasi il 1 dicembre 2023 a Milano presso la sede dell'Istituto freudiano con il titolo: L'era del tossico Marco Focchi Questa sera abbiamo il piacere di avere con noi Clotilde Leguil, psicoanalista a Parigi, autrice di molti libri, l’ultimo dei quali ha come titolo: L’era del tossico. È un titolo che potrebbe fuorviare, facendo pensare che si tratti di un libro sulla droga. In realtà non è affatto un libro sulla droga, è piuttosto un libro sull’etica, e sui termini fondamentali attraverso cui si articolano i nostri desideri e i nostri piaceri nel mondo contemporaneo. Siamo abituati a pensare all’etica come all’indicazione di un modo d’agire lineare, dove dal bene viene il bene e dal male viene il male. La clinica psicoanalitica ci mette tuttavia di fronte a un Super-Io che non è più quello kantiano, imperniato sulla rinuncia, sulla massima universale che implica l’astensione da qualsiasi pathos e inclinazione personale, perché ci fa invece incontrare un Super-Io esigente, con una punta sadiana, come ha ben visto Lacan, che spinge al godimento, e che ci propone un’etica in cui bene e male s’incrociano, dal male viene il bene e dal bene viene il male, e nulla si presenta più in modo lineare. Freud aveva riconosciuto questa diversa dimensione parlando della pulsione di morte. Il termine “tossico” è allora preso qui come paradigma di un’epoca dell’eccesso, dove il consumo, le relazioni, i sentimenti, possono essere spinti oltre i limiti in cui il godimento diventa letale, mortifero, insopportabile.
Poiché tuttavia i nostri incontri del venerdì sono pensati come una serie che punta a far dialogare la psicoanalisi con la politica, consideriamo uno spunto che ci viene dall’attualità, in un momento in cui una sostanza tossica, in senso letterale, è diventata un fattore della politica. Penso al Fentanyl, che è stato oggetto di un negoziato tra Biden e Xi Jinping nel loro recente incontro. Il Fentanyl è infatti un oppioide da cinquanta a cento volte più potente della morfina, che viene prodotto in Cina viene esportato negli Stati Uniti per essere spacciato a una platea di consumatori tra i quali produce una quantità inverosimile di decessi. Restiamo accora un momento sul piano del significato letterale del termine tossico, dove non lo prendiamo come una metafora ma come una sostanza reale. Vorrei riferirvi di un episodio della mia esperienza personale, quando facevo una supervisione in una comunità di tossicodipendenti nei dintorni di Milano. Un giorno gli educatori avevano fatto fare agli ospiti il gioco di disegnare la casa ideale e la città o il paese in cui avrebbero voluto vivere, e quando hanno visto i disegni si sono impressionati e sono venuti a mostrarmeli. Le case contenevano tutte gli oggetti di godimento preferiti da ciascuno. Per qualcuno erano degli HiFi, per altri dei maxischermo, c’era ogni varietà di apparato elettronico, qualcuno, pochi, nella casa avevano messo la fidanzata. Ma quel che colpiva era che le case erano circondate da un reticolo di strade, che rappresentavano il paese, nessuna della quali portava alla cassa. A volte s’interrompevano, altre volte giravano intorno senza collegare l’ingresso, altre ancora la casa era isolata su un’altura, staccata da tutto il resto. Ciascuno degli ospiti si era insomma isolato nel bunker di se stesso, con i suoi oggetti di godimento, tagliando tutti i ponti con il paese intorno, cioè con l’Altro. Direi che si tratta di un esempio illuminante, che mostra come il carattere tossico venga dal fatto di soffocare il desiderio, che implica il rapporto con l’Altro, nel cortocircuito autoerotico della consumazione immediata, in un flusso di godimento senza punto d’arresto, dove la spinta al consumo è costantemente sollecitata, come succede quando andiamo a cercare qualche acquisto su Amazon o con Google. Naturalmente perché sia possibile una spinta al consumo incessante sono necessarie determinate condizioni di produzione e di economia, occorre si sia creata un’economia che si sostiene su un regime di sovrabbondanza, piuttosto che su uno fondato sul soddisfacimento delle necessità vitali. È il tipo di economia che sappiamo essere nata con il capitalismo, e che può sopravvivere solo generando un’accelerazione continua. Occorre però siano disponibili merci non indispensabili alla vita, merci voluttuarie, e questa condizione si è creata un po’ alla volta, mentre man mano si sono prodotti dei mutamenti di mentalità e di abitudini di vita. Tutto è cominciato quando, con lo sviluppo delle rotte commerciali atlantiche, a partire dal XVII secolo, hanno iniziato a giungere in Europa merci come il caffè, il tè, il cioccolato, lo zucchero, il tabacco. È una tipologia di merci che va al di là dei bisogni primari, legata a particolari rituali, a luoghi di consumo che diventano occasioni di ritrovo sociale, come le sale da tè o le caffetterie. Vediamo subito però che se il consumo di questi particolari prodotti travalica il rituale simbolico e sociale dei circuiti in cui gira e in cui resta contenuto, se diventa incontrollato, se diventa eccesso, diventa anche tossico. Per il tè, il caffè, il fumo questo salta subito agli occhi. Con il capitalismo avanzato la spinta al consumo non si limita più alle mutate abitudini sociali, che inducono una fruizione legata anche a ragioni di prestigio, di vetrina, e nasce la necessità di sollecitare nuovi desideri, di circonfondere alcune merci di un’aura, di un fascino, di una magia che va al di là della loro utilità o della loro funzione di rappresentanza. Man mano che i consumi si democratizzano occorre inventare sempre nuove motivazioni all’acquisto. Diventa necessaria una spinta che li renda più che desiderabili, indispensabili.. Occorrono esche simboliche che prendono all’amo il consumatore. Nasce allora la propaganda, il cui inventore è Edward Bernays, il primo a capire che si possono influenzare i comportamenti di consumo delle persone con adeguate forme di comunicazione subliminare. Bernays per esempio ha lavorato per alcune aziende alimentari negli anni '20 e '30 del XX secolo, e ha usato le sue tecniche di propaganda per influenzare le abitudini alimentari dei consumatori. Nel 1929 ha creato una campagna per la Beech-Nut Packing Company, che produceva carne in scatola, per convincere le persone a mangiare più pancetta a colazione. Bernays ha chiesto a un medico di scrivere un articolo in cui si affermava che una colazione pesante era più salutare di una leggera, e ha poi diffuso l'articolo tra migliaia di medici e giornalisti. La campagna ha avuto successo, e le vendite di pancetta sono aumentate. Un altro esempio è la campagna che ha realizzato nel 1933 per la California Fruit Growers Exchange, che voleva incrementare il consumo di arance. Per realizzarla ha condotto un sondaggio tra le casalinghe, scoprendo che molte di loro usavano le arance solo per fare il succo. Ha allora suggerito di creare delle ricette che usassero le arance come ingrediente, e di pubblicarle su riviste femminili e libri di cucina. Ha inoltre organizzato eventi in cui alcuni chef famosi preparavano piatti a base di arance, e ha inviato delle polveri di arancia essiccata ai giornalisti per farne loro provare il sapore. La campagna ha avuto un grande impatto, e le arance sono diventate popolari. È certamente a partire da questa spinta superegoica subliminare del capitalismo avanzato che siamo ormai intossicati dalle merci, che siamo intossicati nei nostri desideri, e che stiamo intossicando il pianeta. Si tratta allora di tornare alla possibilità di desiderare, che viene attualmente prevenuta da quello che potremmo chiamare il regime dell’ipersazietà, e la psicoanalisi ha su questo certamente una parola da dire.
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