Venerdì 5 aprile ha avuto luogo, presso la Scuola lacaniana di psicoanalisi, una serata sulla passe, nell'ambito dell'ampio dibattito che sul tema si sta svolgendo nell'Associazione Mondiale di Psicoanalisi. Riportiamo l'intervento di Marco Focchi Marco Focchi Dato che da tanto tempo sono nel mondo lacaniano in Italia, sono anche un po’ la sua memoria storica. Mi sembra utile allora rievocare alcuni passaggi interessanti per i più giovani che si affacciano oggi alla nostra Scuola. Come primo punto vorrei dunque riportare un momento originario nell’esperienza della passe in Italia, collocato verso la fine degli anni ’90. Non c’era ancora la SLP, c’era il GISEP, il gruppo di studio destinato a essere preludio per la creazione della Scuola. Erano stati allora istituiti due cartelli della passe, ed io facevo parte di uno di questi. L’esperienza non durò a lungo, perché fu investita dall’onda lunga della crisi del 1998, esplosa al Congresso di Barcellona. La crisi si ripercosse in Italia nel 1999, e in quel momento l’esperienza di passe fu interrotta, perché non si era ritenuto possibile entrare nel merito di materiale confidenziale come quello analitico se veniva meno l’affectio societatis e si istaurava invece la stasis, la guerra civile. Questo ci mette di fronte al presupposto necessario per un’esperienza di passe, ovvero una stabilità della comunità analitica garantita da relazioni di fiducia reciproca. È un punto, direi, oggi per noi acquisito, anche se nessun punto è acquisito per sempre o può essere dato per scontato. Le buone relazioni vanno quindi sempre coltivate e curate. Come secondo punto vorrei riprendere alcuni aspetti teorici relativi alla passe. Nel nostro dibattito sul blog sono state dette moltissime cose e si sono dipanati una gran quantità di argomenti. Abbiamo così davanti già un vasto panorama. Mi limiterei quindi semplicemente a ricordare e a riassumere, per avviare il dibattito, alcuni temi proposti da Miller.
Per cominciare vi proporrei quella che Miller presenta come la messa in formula dell’esperienza dell’analisi, dove troviamo ciò che ne marca l’inizio e ciò che ne sigla la fine. L’inizio parte dalla struttura dell’inconscio, che è la stessa del discorso del padrone. La fine – per via del fatto che nell’esperienza lacaniana è cancellata la differenza tra analisi terapeutica e analisi didattica – ha come formula il discorso dello psicoanalista. Ogni analisi giunta a termine produce un soggetto posizionato nel discorso dell’analista. Ma tra l’inizio e la fine, in mezzo cosa c’è? C’è il discorso dell’isterico, perché ogni analisi produce un’isterizzazione, che vuol dire un’attivazione del desiderio, un porsi nella posizione di soggetto diviso. Miller quindi formula l’intero percorso di analisi attraverso la struttura dei discorsi. Per farlo ne usa tre, e resta fuori il quarto, che è il discorso universitario. Anche questo è però utile per definire quel che vediamo essere un certo logoramento verificatosi nell’esperienza della passe in questi anni, e il rimedio che è stato proposto. Questo punto è stato toccato da diversi interventi nel dibattito sul blog: è la passe a ripetizione. Fallita una volta, la si tenta una seconda, ed eventualmente una terza, come si fa con un esame universitario. Questo ha prodotto una virata della passe verso il discorso universitario, e per rimediare a questo problema si è ormai deciso che la passe si fa solo una volta, o la va o la spacca. È una modalità attraverso cui viene restituito alla passe il carattere di evento che le appartiene. Questo ci porta al terzo punto, sempre esplorato da Miller: la differenza tra enunciato ed enunciazione. Lacan eredita questo tema dalla linguistica, dove l’enunciato è l’atto del locutore che produce gli enunciati, e dove quindi enunciazione ed enunciato sono perfettamente in continuità. Non è così per Lacan, che invece disgiunge l’enunciato dall’enunciazione, e considera possibile un’enunciazione senza enunciato, o un enunciato senza enunciazione. L’enunciazione senza enunciato per Lacan si traduce nell’enigma, e l’enunciato senza enunciazione si traduce nella citazione. Questo corrisponde a due diverse modalità di passe: la prima dove è più accentuata la parola, con le sue lacune, i suoi intoppi, i buchi che lascia e che va più quindi nel senso dell’enigma, cioè della manifestazione del desiderio dell’analista, che ha appunto il carattere di enunciazione enigmatica. L’altra modalità va invece nel senso della scrittura, che raccoglie citazioni dei detti dell’analizzante, e si avvicina di più all’idea di presentazione di un caso clinico. Entrambe le modalità sono state praticate nell’esperienza di questi anni. Miller è incline a favorire la prima modalità, quella che lascia la parola a tutte le sue fluttuazioni, e che apre lo spazio dell’occasione, al Kairos. Non è necessario avere un quadro completo del caso, si tratta di puntare ai momenti salienti, alle discontinuità, agli inciampi. La brevità è costitutiva dell’esperienza di passe. Non bisogna temere la dimenticanza e annotare tutto per tenere sotto controllo l’oblio. Quarto e ultimo punto: la passe è stata pensata da Lacan in un’ottica di degerarchizzazione. Questo non vuol dire che nella Scuola non ci siano dei gradi, cioè delle sfumature di differenza. Nei documento costitutivi dell’ECF la differenza tra gerarchia e grado è messa ben in risalto. Nella prospettiva di contrastare la verticalità Lacan ha però assegnato il compito di raccogliere la testimonianza a dei pari del passant, cioè a degli analizzanti che si trovino a un punto avanzato dell’analisi, questi sono i passeur. Inizialmente, racconta Miller, Lacan aveva pensato anche di affidare la nomina ai passeur. Nel blog questo punto è stato ricordato solo in un intervento, quello di Maura Gaudenzi, ma a me sembra fondamentale riprenderlo, perché innanzitutto dice della radicalità della proposta iniziale di Lacan. Miller racconta di come poi Lacan abbia ceduto alla pressione dei notabili dell’ECF istituendo il Giurì, e come questo sia stato un compromesso, uno dei pochi, se non l’unico accettato da Lacan. La nomina avrebbe dovuto nascere da una consultazione, sentendo sia il parere dei passeur sia quello del Giurì. È un aspetto interessante perché Miller ne fa un punto di critica su come sono poi andate le cose, sul fatto che il Giurì abbia prevalso sul giudizio dei passeur, e la partita sia in un certo senso tornata in mano dei notabili. Per questo Miller vede un rimedio possibile nel fatto di tornare alla formulazione originaria, e vorrebbe prossimamente discutere questo punto con le istanze della Scuola. Direi quindi che dobbiamo tenere ben presente questo punto, dobbiamo farci attenzione, perché se le cose andassero in questa direzione, sarebbe una rivoluzione epocale in una procedura che è uno dei cardini delle nostre istituzioni, che è stata praticata nella formula attuale da più di cinquant’anni, e la cui eventuale trasformazione immagino sarebbe un vero e proprio terremoto nella nostra comunità. Un terremoto salutare, certo, ma a cui prepararsi bene e nei dovuti modi.
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