Diego Sartorio , Refettorio, Disa Editore, Milano 2020 Marco Focchi La poesia contemporanea si esercita in una scrittura che sfida il senso, lo mette a repentaglio, lo usa per rovesciarlo, per cercarne il lato contrario, o per inabissarlo. È una poesia di rigenerazione della parola, e a volte si arrampica su pareti verticali per lasciar cadere i propri termini in una catastrofe asemantica, catastrofe da cui il linguaggio deve rinascere a prescindere dalle nostre intenzioni di significato. La poesia di Diego Sartorio percorre un’altra via, cerca uno strano equilibrio tra senso e non senso, non vuole la catastrofe palingenetica, percorre il crinale che separa senso e non senso, e a tempo stesso li presenta, come due abissi in cui appaiono mostrando due facce dello Stesso. Il fraseggio di Diego infatti è costruito di immagini che sono compiute in sé, ma che subito intrappolano in una scivolata d’ala in cui lo sviluppo atteso si annulla. Per esempio:
Non basta una suora a scattare fotografie in colonia mi hanno obbligato a guardare un paesaggio come un flipper Potrebbe presentarsi come uno scorcio autobiografico, l’inizio di una perlustrazione della memoria, l’avvio di un racconto in un romanzo di formazione. Ma la frase immediatamente successiva disattende l’aspettativa, ribalta la strada in cui sembrava volerci incamminare. Sul tappeto anche l’ultimo fratello siciliano scavalca la ringhiera si nasconde tra i vagoni Chiaramente questa è un’altra storia, una altro inizio che non si concatena come seguito della prima immagine. E poi ancora: Con la mancia in bocca non si è più superficiali per risparmiare il veleno Qui la storia è completamente saltata, non segue né il primo inizio né il secondo. Le due prime immagini ci seducono come per volerci fare entrare in una narrazione, si contraddicono come urtando fra loro, e la terza ci disincanta completamente dal senso che sembrava potessimo aspettarci. È un procedimento che si ripete, per esempio, in una poesia allucinata come Idroscalo 1967. Anche qui l’inizio sembra promettere uno sviluppo narrativo. Piombano sul canotto gettano biglie in acqua si vestono da indiani È come l’avvio di un’evocazione adolescenziale. Ma subito dopo troviamo: sono arbitri con la gola infiammata perché una diva si spoglia nella cabina Sembra di aprire una finestra su un’altra storia, ma neppure questa prosegue, perché subito dopo troviamo: È smarrita spaventata più dei dottori automaticamente fantascienza Con questo ogni tentativo di storia si arena, cambia prospettiva, contrasta il possibile senso che nasceva dalle immagini precedenti. La lotta con il senso ingaggiata di Diego è quindi più sottile, labirintica, scivolosa. Presenta immagini molto concrete, come per esempio: Dio l’ho cacciato sotto il materasso mi servirà per voltarmi Oppure: Chi si agita tre le latte e svuota il maiale nel cortile? Immagini di una concretezza antinarrativa e antirealistica, che però sono di forte impatto materiale (svuotare il maiale) e pragmatico (mi servirà per voltarmi) In questa concretezza però assistiamo come a una dissoluzione della materia, dove le parole entrano in contrasto, l’astrazione di Dio con la solidità del materasso, la corposità del maiale con l’idea dello svuotamento, che esaurisce, sfinisce, smaterializza. Direi che il fascino della poesia di Diego è nel farci percorrere questo labirinto di sorprese, di false partenze, di cammini sbarrati, ma che sempre aprono su una ricerca d’immagini di forte impatto e che si urtano tra loro. Se la poesia contemporanea cerca una rigenerazione del linguaggio, la poesia di Diego insegue una rinascita dell’immaginario, un suo rinnovamento, un suo smontaggio e rimontaggio, e in questa sua ricerca ci imprigiona, ci ipnotizza in una lettura che è come un inseguimento senza pause, che è un incitamento a non sedersi sul panorama di visioni che potevamo dare per scontato, e che impariamo a ricostruire fuori dalla quadrettatura a cui ci ha abituato la nostra visione quotidiana.
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Novembre 2024
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