Quintin Dumoulin La paura degli effetti delle tecniche sugli esseri parlanti è un fenomeno antico, ma il fatto che l'ansia raggiunga perfino coloro che le concepiscono non può non richiamare la nostra attenzione. La costruzione del Center for Humane Technology conferma lo stato d’emergenza raggiunto da quest’angoscia, un segnale reale per alcuni ex ingegneri della Silicon Valley. I “pentiti del GAFA” * fanno così marcia indietro, o meglio propongono di fermarsi, pietrificati dall'orrore di ciò che hanno creato. La letteratura, fin dall'antichità, ci presenta la struttura del progetto scientista su un vassoio mitico: da Epimeteo al suo moderno avatar del Dr.Frankenstein, passando per il Rabbino Loew e il suo Golem, o il Dio della Genesi di Adamo e Eva. La creazione e il suo fallimento sono per eccellenza alla base della trovata dell'essere parlante, di cui quest’ultimo deve ogni volta pagare il prezzo, per garantirsene la padronanza. Brigitte Munier, sociologa, ha d’altra parte cercato di individuare le costanti strutturali. Riassume così in sei atti questi racconti golemici: (1) prima di tutto l’essere parlante realizza un Golem a sua immagine e lo anima, (2) non nutre nessun affetto nei confronti della creatura, (3) quest'ultima è considerata mostruosa. (4) Il Golem acquisisce quindi una forza superiore rispetto a quella del suo creatore e (5) finisce col ribellarsi, (6) prima che si riesca finalmente a distruggerlo.
Seguendo questo percorso, i social network avrebbero raggiunto il penultimo stadio. Per convincersi, basta visitare il sito web del Center for Humane Technology, nel quale ci invitano a informarci sul condizionamento totale e subdolo del quale ci rendono schiavi quei dispositivi che essi stessi hanno contribuito a progettare, quindi a diffondere. È necessario reagire, e rapidamente, perché il bambino è naturalmente al centro di questo sfacelo, e "Dio solo sa cosa fa Facebook [al suo] cervello". È la totalità dei social network che è qui elevato alla dignità di un luogo dove si scopre esserci il diavolo. Così Snapchat "interrompe le conversazioni e ridefinisce l’amicizia con la misura”, "Instagram distrugge la nostra autostima," Facebook "ci divide in diverse camere di risonanza e frammenta le nostre comunità", quanto a YouTube ci erode il sonno “con la sua funzione di riproduzione automatica dei video”. Nei paesi del pragmatismo si tratta quindi di porre rimedio a questa catastrofe annunciata. Così lo scorso dicembre, Chamath Palihapitiya, ex dirigente di Facebook, si è dichiarato pentito di aver contribuito a creare strumenti che "rovinano il legame sociale" annunciando che avrebbe vietato ai suoi figli "usare questa merda”. La tecnologia al servizio del bene? Il Center for Humane Technology ha deciso di condurre la lotta come a tutto campo di fronte ai social network, vuole cioè rispondere alla questione che questi ci pongono. Come ogni diavolo dopo quello di Cazotte, la domanda è piuttosto strutturale: “Che vuoi?”, “Cosa vuoi tu, internauta delle reti? Gli ex dirigenti del GAFA hanno trovato una risposta: l'Altro dei social ci vuole male. È quindi opportuno stabilire un limite legale alla sua azione, così da garantire che le nuove tecnologie funzionino solo per "il nostro bene”. In attesa di una schiarita, il programma del centro ci invita più che altro a una vera e propria disintossicazione. Rendere le scorciatoie "meno accessibili" sul telefono, cambiare l'interfaccia in "scala di grigi" permette di liberarsi poco a poco di questo “problema invisibile che colpisce l'intera società". Per i più coraggiosi, eliminare completamente le applicazioni di rete consente, sempre secondo il Center, di "riprendere il controllo" delle nostre vite sociali piratate da questi strumenti consumisti. È vero (e gli attori del Center ne sanno qualcosa) che l'industria capitalista fa fuoco e fiamme per conquistare la New Frontier imposta dai mondi digitali; è anche vero che su queste reti vengono diffuse vergognose dichiarazioni e discorsi violenti e razzisti. Ma promuovere la limitazione di questo spazio d’espressione rischia sempre di trasformasi in una manipolazione totalitaria, proprio come quella denunciata da questo collettivo. Se la verità può essere detta solo a metà, il confine che la limita può solo spostarsi. Il bene e il male si rivelano come due lati della stessa medaglia e non si può giocare a testa o croce l'etica che governa i social. Proporre, o addirittura imporre dei filtri per il soggetto del web, è negare la sua capacità di "ignorare il feedback", visto che questi filtri sono prima di tutto interni al soggetto. Il corpo, insaputo della rete Piuttosto che lavorare per denunciare o addirittura controllare il diavolo, il discorso analitico può proporre un’altro modo di trattare i social? Come render conto del modo in cui il soggetto s’identifica in questi nuovi mondi digitali e di cosa lo guida? L'iniziativa del Center dà testimonianza dell’esistenza di una forza irrefrenabile e spaventosa che ci abita, eco nel virtuale della Konstante Kraft [spinta costante] della pulsione. Questi nuovi orpelli digitali traducono oggi un "è più forte di me", di cui i regimi di governance cercano di farsi carico. Ma cosa testimoniano i soggetti, se non della fatto che questa forza proviene dal corpo? La pulsione, "eco nel corpo del fatto che c'è un dire", ci aggancia all'oggetto che si nasconde dietro lo schermo – e questo nella fattispecie si sovrappone alla figura del diavolo. Se l'iniziativa del Center è un'interpretazione, giacché si tratterebbe di adattare le tecnologie al funzionamento del cervello, la scoperta analitica pone la pulsione come quella di un "soggetto acefalo". Come diceva Freud, "Chiunque conosca la vita psichica dell'uomo, sa che non c’è nulla di più difficile per lui che rinunciare a un piacere una volta conosciuto. In realtà, non possiamo rinunciare a nulla, solo sostituiamo una cosa con un’altra; ciò che sembra essere una rinuncia è in realtà una formazione sostitutiva o un succedaneo". È quindi improbabile che un’igiene dei social network ci soddisfi e ci garantisca di non percepire più il diavolo pulsionale. Si rileverà, nell’utilizzo che ne fanno i soggetti, sempre un insaputo, una falla logica. Questo luogo del corpo proprio del soggetto, tra l'immaginario e il reale, è quello della pulsione. I social network sono, a questo titolo, un nuovo avatar di questa falla. L’igiene e la rimozione ne sono, certamente, un possibile trattamento; ma la via aperta da Freud proponeva un'altra modalità d’analisi: interrogare il soggetto dell'inconscio di fronte alla responsabilità del proprio atto.
Traduzione di Micol Martinez
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