Una ricerca mostra che in Inghilterra otto medici su dieci hanno avuto problemi psicologici. Alcuni ci raccontano la loro esperienza. Sarah Marsh Un giorno, durante il suo primo anno di lavoro come giovane medico, Craig si era sentito così disperato che aveva addirittura pensato di buttarsi sotto un autobus. Prima di allora non aveva mai avuto pensieri suicidi. Si sentiva impotente, come se avesse troppo da fare e non abbastanza tempo per farlo. È poi emerso che soffriva di depressione, in parte determinata dalla pressione enorme causatagli dal lavoro. Era ormai diventato routine fare due o tre ore di straordinario dopo un turno di dodici ore, perché il lavoro era troppo, e lui non lo lasciava indietro. “Il Sistema Sanitario nazionale ti logora," dice. "Dipende da ciascuno decidere se fare quel qualcosa in più, e restare fino a tardi, ma non si può fare quando la sola cosa che si desidera è ripiegarsi su se stessi e piangere.”
L’incidente è avvenuto cinque anni fa, ma oggi Craig sta ancora lottando. “In quest’ultimo anno l'atmosfera al lavoro è diventata insostenibile. Io e mia moglie, pure lei giovane medico, siamo di nuovo entrambi in cura con antidepressivi”. Il numero di medici alle prese con problemi psicologici nel Regno Unito è una preoccupazioni tra le maggiori. Secondo un sondaggio condotto dalla Cardiff University, che ha consultato quasi duemila medici britannici a livelli di carriera diversi, il 60% aveva traversato la malattia mentale (la cifra s’innalza all’82% tra i medici che lavorano in Inghilterra). Inoltre, la maggior parte di loro non aveva cercato aiuto. Il Guardian ha chiesto ai medici di condividere la loro esperienza di questi problemi, e molti di quelli che hanno accettato di raccontare la loro storia, hanno parlato di come si sentissero esauriti, sovraccarichi di lavoro e completamente alla deriva. Molti ritengono possa esserci scarsa comprensione per i medici con problemi psicologici. Quando Craig ha parlato con il suo supervisore, per esempio, gli è stato detto: "Non puoi dire alla gente che ti senti così. Ti giudicheranno – resta in disparte.” Harriet, ventotto anni, del West Yorkshire, dice che quando ha sviluppato un disturbo d’ansia – che si è manifestato come una paura paralizzante di contrarre una patologia o una malattia al lavoro – era terrorizzata all’idea di parlarne con i colleghi. "Sentivo che ammettere i miei problemi avrebbe indotto a pensare a un'incapacità di far fronte alla mia professione di medico, che sarebbe stato negativo per il mio lavoro e che sarei stata costretta a smettere", dice. “Ho passato quasi sei mesi d'inferno per confessare alla fine i miei problemi al mio compagno, e ce ne sono voluti molti di più per dirlo ai miei genitori. Dopo quasi un anno di lotta interiore, ho parlato con il mio supervisore educativo. Lei mi ha aiutato a parlare con dei professionisti di medicina del lavoro che mi hanno convinto a ricevere assistenza psicologica. I problemi non sono scomparsi, ma ora sono gestibili “. Questo pregiudizio si estende anche ai pazienti. Mary, quarantasei anni, di Birmingham, dice: "La mia esperienza di come sono percepiti i problemi psicologici nel Sistema Sanitario nazionale è stata decisamente disparata. La maggior parte delle persone con le quali mi sono confidata sono state comprensive e di sostegno, ma molti hanno chiaramente scarsa penetrazione dei problemi psicologici. “Sono stata trattata con prepotenza da uno specialista al quale avevo raccontato i miei problemi di depressione. E quando venivano pazienti autolesionisti, c’era una generale mancanza di sensibilità e di comprensione”. Riuscire a parlare apertamente è però incredibilmente vantaggioso. Mhairi, di trentaquattro anni, scozzese, dice: "Mi capita spesso di parlare con i miei colleghi (compresi i dirigenti) di un disturbo bipolare di cui soffro, e la maggior parte di loro è molto gentile ed empatica. "Molti hanno avuto problemi psicologici. Parecchi altri hanno affermato che il loro modo di vedere i propri pazienti è cambiato quando ho mostrato che anche i medici possono ammalarsi, consentendo loro di identificarsi maggiormente. Em, ventinove anni, di Londra, ha anche scoperto che un contesto di franchezza l’ha aiutata a guarire dall’ansia: "Ho avuto modo di parlare chiaramente con la direzione e con i miei supervisori della mia condizione, ma credo di essere stata solo fortunata. In precedenza ho incontrato medici che non credevano nelle malattie mentali e con loro sarebbe stato difficile. Ma ho avuto solo due supervisori clinici, ed entrambi molto comprensivi.” Lo stigma è però solo uno dei problemi. C’è ancora molto lavoro da fare per affrontare le questioni maggiori che riguardano, in primo luogo, il benessere. Brye, trentasette anni, dal sud-ovest, dice: “ È impossibile risolvere il problema di fondo. Il Servizio Sanitario nazionale non ha le risorse adeguate, e al personale che per anni ha lavorato con una mentalità da soluzione-lampo, si dice che deve fare di più e spesso viene criticato dai media. I politici promettono sempre di più dando sempre meno, e tutto questo si ripercuote sull’atteggiamento dei pazienti nei confronti del personale.“ Sam, di trent’anni, è un pediatra tirocinante di Manchester che soffre di ansia e depressione, e dice che una stragrande percentuale della forza lavoro è a un punto di rottura. "Ci viene chiesto di lavorare più a lungo e più duramente per meno – e allora? Molti sono in questa situazione. Ma le nostre giornate prevedono momenti in cui si deve comunicare a una famiglia che il loro bambino morirà tra le loro braccia, o in cui combattere per salvare un neonato con un’infezione, o in cui ci si trova coperti di vomito o di sangue... a volte non riesci a dormire perché potresti aver commesso un errore. Siamo tutti al punto di rottura.” Questa pressione può significare avere a che fare con colleghi meno solidali di quanto avrebbero potuto essere in precedenza. Kyle, sessant’anni, di Londra, dice che quando ha sofferto di problemi psicologici, le persone che lavoravano con lui inizialmente gli sono state di sostegno – fino a che si sono stancati di doversi fare carico del suo lavoro oltre che del proprio. Non avere affrontato questo problema porta ora conseguenze notevoli. Ade, ventisei anni, dell'Irlanda del Nord, parla dell’incidenza dei suoi problemi psicologici sulle sue capacità lavorative. A volte non ero in grado di concentrarmi per via dell’opprimente depressione in cui ero sprofondata“, ricorda. “Mi sono trovata a girare per i reparti a tratti quasi in trance, perché la mia concentrazione era minima. Nella mia scuola medica sono passata dal segmento di vertice a quello più basso a causa della mia malattia. Ho quasi rischiato di abbandonarla, e a volte mi sono anche trovata a fare altri lavori al di fuori della medicina, perché stavo lottando con me stessa.” Harriet ha una storia simile. dice: “Ero preoccupata e incapace di concentrarmi. A volte dovevo lasciare il posto di lavoro per cercare di controllare la mia ansia. Ho preso nota di tutte le volte che ho condotto una procedura 'a rischio', come fare un prelievo di sangue, verificando che non mi fossi tagliata, perché non mi fidavo più della mia memoria. "Ero sfinita dalle notti che trascorrevo sveglia nel letto cercando di convincermi che ce l’avrei fatta ancora un altro giorno. Ogni giorno pensavo di darmi malata, o di dare le dimissioni. È stato solo un senso di lealtà verso i colleghi più giovani, anch’essi alle prese con lo stesso carico di lavoro, che mi ha fatto ogni volta tornare ". Fonte: The Guardian, 19 Aprile 2016 Traduzione di Francesca Ferrarini
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