Marco Focchi Si parla molto oggi di psicologia dell’anziano e della depressione che può colpire chi lascia la propria attività lavorativa trovandosi di fronte a un orizzonte vuoto. Possiamo domandarci: è favorevole per l’anziano continuare la propria attività lavorativa? Per rispondere bisogna prima di tutto valutare la diversità dei tipi di lavoro: ci sono lavori di carattere creativo, che evidentemente stimolano la persona dal punto di vista intellettuale e la sollecitano a proseguire anche nell’età avanzata, e ci sono invece lavori logoranti, o di carattere ripetitivo che hanno certamente la stessa dignità, ma che possono portare a un progressivo distacco per caduta d’interesse o per il venir meno delle forze fisiche. Bisogna tuttavia da questo punto di vista considerare alcuni sedimentati pregiudizi, il primo dei quali è che l’età avanzata sia caratterizzata da un deficit sul piano cognitivo e sul piano dell’investimento psicologico nelle attività in cui si è inseriti. Questo non è necessariamente vero. Si può piuttosto osservare che in una società a rapidissimo sviluppo tecnologico come la nostra, nell’anziano si verifica una minore disponibilità all’apprendimento e all’aggiornamento. Su questo aspetto dobbiamo tuttavia considerare anche le politiche che sono state messe in atto, mirate il più delle volte alla formazione dei giovani. L’anziano può essere però valorizzato per esempio per una maggiore disponibilità a mettere in gioco le capacità cognitive cristallizzate rispetto a quelle fluide, più pronte nel giovane. La tendenza dell’anziano a sottrarsi all’attività di formazione e di riqualificazione è legata quindi per un verso al tipo di capacità da mettere in gioco, e per altro verso è riflesso delle condizioni sociali determinate da scelte politiche.
Nella nostra contemporaneità siamo poi passati da una situazione in cui l’apprendimento riguardava la fase iniziale della vita perché poi le capacità acquisite fossero esercitate per il resto della vita, a una situazione in cui l’apprendimento diventa un’attività fondamentale da proseguire per tutta la vita. Questo atteggiamento nei confronti dell’apprendimento non può naturalmente essere imposto, e diventerà parte del bagaglio culturale comune probabilmente solo con le prossime generazioni. Con questo possiamo tuttavia dire che il lavoro rappresenta per l’anziano un aspetto fondamentale, che aiuta a mantenere una sana continuità e utilità nell’evoluzione della vita piuttosto che sentirsi accantonato in un parco giochi di attività ricreative. Può essere interessante notare la preferenza che spesso l’anziano ha per forme di lavoro che incentivano l’auto-imprenditorialità, forme di lavoro cioè sottratte a rapporti di tipo gerarchico e in sintonia con l’idea di essere il centro d’iniziativa della propria attività. In Europa oltre la metà degli occupati in età oltre i limiti pensionistici (55%) lavora in proprio, con un 62% degli uomini e un 42% delle donne. Il lavoro indipendente rappresenta infatti il naturale completamento di un percorso di saperi, competenze e capacità che possono essere messi a frutto nell’ultima maturità della vita. Nelle società tradizionali, l’anziano era depositario di saggezza, esperienza, memoria, e garantiva la continuità e la trasmissione dei saperi acquisirti. Il mondo attuale vive invece di salti e di grandi accelerazioni, che promuovono l’innovazione più che l’accumulo di esperienza. Nelle imprese tuttavia gli aspetti in cui il lavoratore anziano viene preferito al giovane possono essere ancora la capacità di imporsi, l’autorevolezza, la fiducia nei confronti degli altri, e l’attaccamento all’impresa. Nell’anziano vengono privilegiati infatti il pensiero strategico, la perspicacia, la capacità di giudizio, le percezioni olistiche, le competenze linguistiche. Le qualità degli anziani corrispondono in questo senso alla possibilità di raggiungere alcuni obiettivi importanti per le imprese. Si pensi a qualità come l’orientamento al cliente, la professionalità, la specializzazione e la capacità organizzativa. Direi che queste cose possono essere viste, nel nostro mondo, come la traduzione di quelle che nelle società tradizionali l’anziano rappresentava come patrimonio culturale e cinghia di trasmissione per la continuità sociale.
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