Tra rappresentazione e simulazione, l’immagine della natura prodotta dalla scienza resta saldamente ancorata a un’idea antica. È bloccata nel tempo, non dalla tecnica ma dal suo statuto: la meraviglia e l’orrore. Mauro Panzeri Una premessa: per leggere questo testo occorre, prima di iniziare, andarsi a vedere le immagini di cui tratta. La prima, in ordine di esposizione, si trova qui: https://phil.cdc.gov/Details.aspx?pid=23312 Le seconde invece qui: https://en.wikipedia.org/wiki/Kunstformen_der_Natur “Creare un’immagine consiste nel togliere all’oggetto tutte le sue dimensioni a una a una: il peso, il rilievo, il profumo, la profondità, il tempo, la continuità e certamente il senso”. 1 Jean Baudrillard All’inizio del lockdown, dai primi di marzo di quest’anno, ho seguito online le tesi di un gruppo di studenti IED fino a luglio, quando si sono poi diplomati con distante soddisfazione. La comunicazione tra noi venne regolata da incontri settimanali piuttosto complicati: si può immaginare quanto possa essere difficile visionare e discutere di progetti grafici in remoto, soprattutto trattandosi di libri, complessi e in costruzione. Per rafforzare questa impresa comune, decisi di aumentare il tasso di comunicazione con gli studenti e mantenere vivaci le relazioni (e anche me stesso) facendo ricerca e inviando loro molti materiali di prima mano, ricercati in rete, sul tema del covid-19. Credo sia stato contemporaneamente un tentativo personale di trovare letture (e immagini) interessanti da contrapporre all’ossessiva invasione televisiva di quel primo, imprevedibile periodo e anche un modo per offrire a tutti materiali di buona qualità e onestà intellettuale per la gestione del disagio. La maggior parte di questi contributi erano semplici segnalazioni di siti, spesso internazionali, per possibili letture. Ma ho scritto anche qualcosa di personale. Uno di questi testi, in forma di breve ricerca e comunicazione tecnica, si intitola #23312. L’immagine del virus. Nasceva in quel momento da una semplice osservazione: vedevo comparire in tv, a fare da sfondo a tutti i programmi e notiziari riguardanti il virus, con costanza e in modo invasivo, sempre la stessa immagine. Si tratta in effetti dell’immagine capostipite, che non si può dimenticare anche perché dai nostri schermi non se n’è mai andata; è la più diffusa rappresentazione del virus. Ecco un breve riassunto di quel testo.
Non vedere, in una condizione tecnologica di assoluto privilegio dell’occhio, è una condizione innaturale. Ma a risolvere questa cecità hanno provveduto i media, che sono il nostro occhio esteso, protesico. E i media ci hanno mostrato subito l’immagine del virus. È bella e aliena, perfettamente sferica e con un aspetto poroso, con petali rossi incastonati nel nucleo grigio a farla brillare su un fondo scuro. È un fiore di Avatar o forse un mostro fantastico risalito dagli abissi, a fuoco in primo piano e sfocato sul fondo, tridimensionale e presente, che ci viene incontro. Quest’immagine è distribuita con la didascalia: photo di Alissa Eckert, MS; Dan Higgins, MAM/CDC. E non ci vuole molto per scoprire che in realtà una fotografia non è (in inglese tra photo, image e picture si giocano diversi significati, confusi in italiano). Questa photo è in realtà un’illustrazione digitale cioè un’immagine 3D generata al computer. Basterà scaricare e controllare il file .png con attenzione: è un’illustrazione piuttosto imprecisa nei dettagli e alcune parti sono vistosamente ‘incollate’; lo sono soprattutto i petali (spike) colorati e sovrapposti al corpo sferico. Ma l’effetto è indubbiamente fortissimo perché questo è un vero e proprio ritratto senza occhi, che ci guarda. È il volto inespressivo della bestia, numero di riferimento #23312. Lo trovate così, inserendo questo codice nel browser. Il file, pubblicato anche in WikiMedia Commons, è di pubblico dominio, cioè non è sul mercato delle immagini, e utilizzabile a patto che se ne citino autori e provenienza. #23312 è un’immagine d’invenzione dunque, arricchita da una fantasia molto attenta, mutuata e costruita rielaborando immagini scientifiche preesistenti al microscopio elettronico che di fatto non possiedono né quel dettaglio né quella colorazione (totalmente artificiale), essendo le immagini scientifiche tendenzialmente in b/n e utili solo per chi le sa leggere. L’autrice Alissa Eckert si occupa di Medical and Scientific Illustration, Design & Animation, come cita il suo sito. L’immagine è stata commissionata, realizzata e pubblicata, in concorso con Dan Higgins, un microbiologo, per il CDC (Centers for Disease Control and Prevention) del U.S. Department of Health & Human Services che ne è il committente, dove la si può scaricare gratuitamente e in alta risoluzione. Il CDC di Atlanta (USA) ha deciso di distribuirla come immagine della morfologia del coronavirus. Fino a qui, la ricerca di marzo. Nei mesi successivi, con più dati a supporto, sono usciti parecchi articoli sul tema, raccolte d’immagini e interviste agli autori. 2 Arrivato a quel punto, dopo aver scoperto quel primo debole inganno visivo, il mio interesse si andava già spostando in un’altra direzione. Stavo cominciando a incrociare questa immagine dell’oggi con altre immagini; rappresentazioni più antiche che mi tornavano alla mente. Vi vedevo una certa somiglianza, sia formale che concettuale. Mi riferisco al lavoro visivo di Ernst Haeckel, biologo, zoologo e filosofo tedesco. Lascio ad altri raccontare del suo contributo al darwinismo, alle teorie della razza e altre storie curiose: una fusione di scienza, filosofia e religione che lo portò a immaginare riti e templi per l’adorazione della natura, al posto delle chiese… L’idea che mi sono fatto è invece un’altra, quella di individuare una sincronizzazione di differenti rappresentazioni, tecniche e non solo, realizzate in epoche diverse. Questa pratica d’indagine potrebbe essere definita ‘morfomatica’, cioè l’analisi degli artefatti come manifestazioni materiali di concetti, seguendo l’archeologo Dietrich Boschung. Quel che mi ha sempre colpito di Haeckel sono le sue illustrazioni, grandi tavole a colori ma anche in bianco e nero, che provengono dal suo Kunstformen der Natur (come a dire: la natura in forma d’arte), pubblicato nel 1904, negli ultimi anni della sua lunga vita. Opera notevole e molto conosciuta per le sue qualità immaginifiche e di interpretazione visiva del mondo naturale, soprattutto quello dei microorganismi marini, che coglie perfettamente il sentimento che pervase lo scienziato e la sua epoca. Più che un trattato scientifico infatti quel volume fu di grande ispirazione per altro: l’Art Nouveau, ad esempio. Più che un manuale enciclopedico, di cui però eredita la forma editoriale per le grandi tavole fuori testo, è la rappresentazione ermetica di un mondo fatto di organismi minimi, invisibili a occhio nudo, che l’autore, con una finissima tecnica di gestione del disegno, trasforma in decori, con effetto iperrealista. Già cinquant’anni prima il giovane scienziato si era procurato a Firenze un microscopio a immersione che gli fu utile nei suoi viaggi d’osservazione delle coste marine, dal Mare del Nord alla Sicilia. Cosa traesse da queste osservazioni ottiche non può essere stato che una memoria visiva, uno schizzo, non certo una fotografia. Cosa vedesse oltre il visibile, non lo sappiamo; ma le sue tavole contengono l’ossessione di uno sguardo (già tecnologico ma sicuramente confuso e sfocato dal movimento dell’organismo indagato), che ha generato poi un disegno calligrafico più definito e una ricostruzione ex post, con dovizia di particolari e un uso compositivo della simmetria bilaterale che, già presente nel singolo organismo, viene riproposta e sublimata come modello della tavola nel suo insieme, compensando così l’invisibile con eleganza decorativa e proponendone una ricostruzione visionaria. Le tavole dedicate ai radiolari, i suoi microrganismi prediletti, sono forse l’esempio più convincente di questa metodologia della rappresentazione. Le tavole di Haeckel sono in realtà un’invenzione della natura, un organismo visivo astratto, vivido e perfetto. In questo salto temporale ardito, mettendo in sincronia tempi e culture diversi e proponendo un confronto tra l’immagine contemporanea del virus e le tavole d’arte dello scienziato tedesco, intravedo qualcosa che va oltre la forma. Potrebbe essere questo un metodo, rimasto tale nonostante l’evoluzione tecnologica degli strumenti della visione, che prevede di generare immagini scientifiche al di là del dato di natura, anzi di reinventarle, compensando così la loro invisibilità. Sembra non sia possibile, se ne potrebbe dedurre, fare a meno di una qualche rappresentazione, come se questa debba appagare, più che una curiosità, una necessità dello sguardo. E così inverarla, per essere stupiti oggi come allora, dall’affascinante miracolo della sua epifanìa. Il monstrum compare così, con metodo e per necessità, si mostra ed è vivente. Pur restando in agguato, segregato nella rappresentazione, che ci fissi da tavole illustrate ottocentesche o dagli schermi lividi di un computer, ne percepiamo l’efficacia prodigiosa del ritratto, che diventa esemplare. Come si usa dire in gergo: ‘buca lo schermo’, invadendo gli occhi e così il mondo. P.S.: si potrebbe continuare a lungo mettendo a confronto altre formidabili immagini. Ad esempio le cere anatomiche della Specola con le tomografie assiali dell’artista Alexander Tsiaras, o le tavole anatomiche di Leonardo con le odierne illustrazioni digitali dei manuali di medicina, senza dimenticare però lo splatter ironico e romantico di Grey’s Anatomy (la serie tv), che però nulla ha a che vedere con Gray’s Anatomy, il manuale medico-chirurgico del 1850.
abbiamo voluto creare un virus realistico che le persone possano vedere quando si trovano in luoghi pubblici o a stretto contatto con estranei, qualcosa che dica che questo virus è reale” (corsivo mio). In licenza CC4.0
1 Comment
19/12/2020 06:20:15 pm
osservazione bello caro Mauro,
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