di Tim Adams Per quasi trent’anni Sherry Turkle, docente di psicologia sociale presso il Massachusetts Institute of Technology, ha esplorato gli effetti che i mondi digitali esercitano sul comportamento umano. I suoi libri, La vita sullo schermo, Il secondo Io e Insieme ma soli, hanno disegnato le mappe della seduzione esercitata dalle "macchine intime", dell'avanzata dei social media, delle realtà virtuali e dell’onnipresente internet, e l'effetto che queste cose hanno avuto sulla nostra cultura e sulle nostre vite. Il suo ultimo libro, La conversazione necessaria. La forza del dialogo nell'era digitale, è una chiamata alle armi per arrestare quelle che vede come le conseguenze dannose derivanti dall’utilizzo costante di e-mail, Twitter o Facebook, e in particolare per fermare l'impatto che hanno sulla famiglia, sulla nostra vita, sull'istruzione, sull’amore e sulla possibilità della solitudine. Grazie a un gran numero di colloqui effettuati e a metà della vita dedicata alla ricerca, Sherry Turkle ̶ riferendosi alla nascita, negli anni Sessanta, del movimento ambientalista ̶ suggerisce che infatuati da una vita sullo schermo piuttosto che dalla vita nel mondo reale, senza essere mai del tutto nell’una o nell’altro, siamo in una sorta di "Primavera silenziosa”*. Osserva questi effetti nel crollo di empatia tra i bambini, nelle conseguenze di interazioni familiari sempre più distratte, e in un crescente bisogno di stimoli costanti. Il suo antidoto è semplice: abbiamo bisogno di parlarci di più. Questa intervista telefonica ha avuto luogo la scorsa settimana. D - Lei sta scrivendo su questi temi da tanto tempo. Le è sempre sembrata una battaglia persa?
R - Adesso meno. All'inizio pensavo di star dicendo alle persone cose che non volevano sentire. Penso ora che un maggior numero di persone veda che accade qualcosa che a loro non piace, ma che non sanno cosa fare al riguardo. Le nuove statistiche sembrano dire: l’89% degli americani ammette di avere portato con sé il cellulare nell’ultima uscita ̶ e l’82% dice di aver sentito un deterioramento della conversazione dopo averlo fatto. Questo si coglie nella storia della ragazza che dice: "Papà! Smettila di usare Google! Voglio parlare con te." D - È interessante notare che un po' di antipatia verso l'essere "sempre online” non viene dagli adulti, ma dai bambini. Abbiamo immaginato che questi atteggiamenti si sarebbero maggiormente radicati tra le persone cresciute con esse, ma non è necessariamente così. R - Assolutamente no. Sono rimasta colpita da ragazzi che hanno detto: “Non voglio crescere i miei figli nella stessa maniera in cui sono stato cresciuto io, ma nel modo in cui i miei genitori credono di avere cresciuto me: in una casa dove si parla.” Questo era incredibile. D - Ma cosa succede se i bambini non hanno avuto l’esperienza di sedersi attorno a un tavolo da pranzo, o di parlare con i loro amici senza un iPhone a portata di mano? Come possono sapere cosa si sono persi? R - Questo è il pericolo. Ma credo che siamo possiamo recuperare. Mi piace lo studio che mostra come dopo cinque giorni in campeggio senza connessioni, gli indicatori di empatia tra i bambini crescono. La capacità di riconoscere le emozioni di qualcuno in un video o in una storia cresce di nuovo. Credo che stiamo fatti per parlare. È una questione darwiniana. D- Suppongo siamo fatti anche per la novità e la distrazione … R - Sì. Ma sento che abbiamo ora creato un ambiente che ci porta alle distrazioni. La ricetta che suggerisco non comporta l’abbandono del telefono. È troppo utile. Implica però non utilizzarlo in occasioni come questa ora, quando sto cercando di darle tutta la mia attenzione. La voce umana occupa un’ampiezza di banda notevole se si ascolta nel modo giusto. Ma se stessi anche messaggiando, non mi potrebbe cogliere pienamente. D - Ho lavorato nella redazione di un giornale per più di vent’anni. In quel periodo, come tutti i luoghi di lavoro, ha iniziato a diventare molto più tranquilla. Prima tutti stavano al telefono, ora sono spesso a inviare e-mail. Pensa che si perda qualcosa in questo? R - Se mi mandasse dieci domande via e-mail, otterrebbe da me risposte molto diverse. Scrivere non è parlare. Gli studenti sempre più spesso dicono che non vogliono vedermi di persona, che vogliono solo scrivermi. Quando chiedo perché, semplicemente rispondono che vogliono rendere perfette le loro domande, in modo da avere da me risposte perfette. Vogliono la mia perfezione per soddisfare la loro perfezione. D - Le e-mail ci permettono di dare una versione di noi stessi come comunicato stampa? R - Sì. Ma non è quello che siamo. Si tratta di una visione algoritmica della vita. A chi è mai piaciuto imparare solo perché ha posto al professore una domanda perfetta e il professore ha dato una risposta perfetta? D - Certo, quando penso agli insegnanti che mi hanno ispirato non posso ripetere esattamente quel che dicevano, ma posso certamente ricordare il tono e le circostanze in cui lo dicevano. R - Esattamente. È il fatto di essere stata lì e di avere pensato: potrò un giorno essere come loro? *Titolo del libro di Rachel Carson che è considerato il manifesto del movimento ambientalista. Traduzione di Francesca Ferrarini Fonte: The Guardian, 18 ottobre 2015
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