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Di cosa si parla

L'epoca delle dipendenze

1/12/2020

1 Comment

 
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Ruth Pinkasz
​

Non c'è dubbio che siamo nell’epoca delle "dipendenze", qualunque sia l'oggetto a cui si rivolge la "dedizione" nelle sue molteplici varianti: che sia dipendenza dalle sostanze, dall'oggetto tecnologico, dall'oggetto di consumo, dal gioco, e così via.

Questa dedizione, quasi una venerazione, rende il soggetto dipendente al punto che quando non accede al suo particolare oggetto, sente di “non essere niente", si instaura il vuoto puro, e il soggetto si percepisce dominato da qualcosa di impossibile da sopportare.


Il senso di vuoto non è il problema in quanto tale, poiché, direi, è una sensazione insita nell'essere umano stesso; può accadere in molte diverse circostanze, e nessuno, nessun mortale, gli sfugge.


La questione è sapere di che natura è questo vuoto, e quali risorse abbiamo per affrontarlo, e a volte non sarebbe eccessivo chiamare uno specialista per affrontarlo.


D'altra parte la domanda su cosa spinga una persona a legarsi a tal punto a un tal oggetto, a una certa droga, implica vari fattori che dovrebbero essere analizzati in dettaglio. Credo infatti anche che, sebbene sia successo in tutte le epoche, oggi siamo sospinti verso la dipendenza con una forza tremenda.


Vorrei mettere in evidenza la modalità compulsiva che predomina nella dipendenza. Si tratta di un impulso inarrestabile attivato da una ripetizione che porta una persona a tornare sempre nello stesso luogo, che la porta a ricominciare una sorta di circuito di godimento il quale paradossalmente implica una soddisfazione chiaramente mortale, ma dalla quale il soggetto sembra incapace di liberarsi da solo.


La promessa di una soddisfazione immediata e "completa" è la trappola che porta a immergersi in essa, e non dimentichiamo che la promessa di felicità assoluta è lo slogan per eccellenza del nostro tempo.


Mi ha sorpreso, di recente, la quantità di pubblicità che appare in televisione sul gioco d’azzardo: uno spot dopo l'altro, senza lo spazio di una pausa, spot sparati senza tregua, con la garanzia di un guadagno assoluto, promettendo soldi anche solo per l’iscrizione.


L’idea della facilità con cui ci si potrebbe arricchire alimenta la fantasia onnipotente di essere il “prescelto”. Parliamo di arricchirsi evidentemente senza fatica, e senza nemmeno bisogno di mettere "carne al fuoco”. Se non siamo degli illusi, capiamo chiaramente che alla fine saranno il nostro corpo, la nostra vita, a nutrire lo stesso diavolo.


La promessa di successo alimenta l'illusione di una forma magica di risoluzione dei conflitti, agisce come fattore di distrazione e nega la realtà. A volte è un nascondiglio dalla solitudine, e forse è anche una sorta di cerotto contro la carenza affettiva, o forse ancora una copertura che protegge dall’incontrare gli altri.


Poiché, non neghiamolo: il tossicodipendente è sposato con la droga, sia essa sostanza, gioco, oggetto tecnologico o altro. È lei il vero partner con cui fa coppia, perché come dice la propaganda "non lo abbandona”.


Ecco perché la saggezza popolare ci insegna che chi è "fortunato nel gioco, è sfortunato in amore”. Non c'è posto infatti per l'amore quando sopra tutto prevale l’aggancio mortale; dovremmo tuttavia aggiungere che non c'è fortuna nemmeno nel gioco. Ogni dipendenza è infatti sempre e solo una scommessa in pura perdita. In fondo dentro di sé, anche se lo nega e anche se questo risulta paradossale, il soggetto dipendente lo sa.


Tentare la propria distruzione fa parte della "movida", tentativo camuffato ovviamente sotto forma di ricerca del benessere.


Non è necessario tuttavia essere dipendenti per fare questo gioco. Parte del meccanismo che funziona nella dipendenza, infatti, per quanto in dosi minori, tocca tutti noi. La possibilità di fissare un limite è una parte (non tutta) della differenza. Siamo quindi avvertiti: alla fin fine siamo soggetti della nostra epoca.


Meglio essere fortunati in amore, per quanto anche in questo ci sia un rischio. Ma in ultima istanza, l’amore implica un impegno con la vita.
1 Comment
Roberto Maracino
1/12/2020 04:56:10 pm

Notevole capacità di Marco Focchi di esporre in così breve spazio e con tanta chiarezza una verità profonda. La dipendenza se pure,per fortuna con limiti diversi,tocca a tutti noi, in quanto soggetti di questa nostra epoca.

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