di Miquel Bassols Il luogo della vittima è sempre stato vicino al sacro, vicino alla "zona sacra", come l’ha chiamata Lacan, mostrando la sua vicinanza con l'oggetto indicibile, proibito, intoccabile, un oggetto impossibile da rappresentare, o rappresentabile solo come un vuoto*. Questo oggetto è la Cosa freudiana, das Ding. Il nostro collega Gil Caroz ha ricordato di recente questa relazione, facendo riferimento agli attacchi di Charlie Hebdo, nel suo articolo intitolato "Quando il sacro diventa sacrificale”, pubblicato sul Lacan Quotidien [1]. Esiste, infatti, un sottile legame tra il sacrificio della vittima e il ruolo del sacro, un collegamento che l'etimologia evoca in varie lingue. La parola "sacrificio" deriva dal latino “sacrum” e “facere”, rendere sacre le cose, mettendo la vittima sacrificale nel luogo stesso del sacro. Ogni sacrificio indica così il luogo del sacro, della Cosa indicibile, sia per farla esistere sia per cercare di cancellarla dalla faccia della terra, sia per individuarla nel soggetto stesso o nel luogo dell’Altro, sia nel sacrificio suicida o nel sacrificio di massa. Il sacro non ha quindi alcun significato in sé, ma è al centro di ogni senso, del senso che è religioso per definizione. È ciò che impariamo nell'esperienza analitica, quando il soggetto si avvicina a questa zona del suo fantasma di cui alimenta il senso del sintomo. Ed è anche quel che impariamo ad ascoltare quando il senso religioso raggiunge lo statuto di epidemia. "Sappiate che il senso religioso farà un boom di cui non avete idea – diceva Lacan a Roma nel 1974 – perché la religione è la dimora originale del senso. “[2] Nella dimora originale del senso si trova l'oggetto indicibile di godimento, l'oggetto più intimo e sacro per ogni soggetto, sia questo rappresentato dal sudario che avvolge il corpo di Cristo, o in quel che copre l'invisibile del corpo femminile, o si trova nelle torri gemelle della ricchezza, del tesoro dell'Altro, o nella cabina di pilotaggio dell’aereo, bloccata dall’interno per farlo esplodere e causare un sacrificio di massa. Se da un lato è impossibile confrontarli, dall’altro gli atti sacrificali hanno questo punto in comune, questa zona di intersezione vuota e senza senso della quale si nutre tuttavia ogni senso.
Ricordiamo come affrontava Lacan questa zona vuota della Cosa freudiana nel suo seminario sul tema "L'etica della psicoanalisi”, per farne la bussola dell'esperienza analitica. Indicava almeno tre operazioni possibili, tre risposte al reale dell’oggetto sacro impossibile da rappresentare. Se l'arte che sta intorno a questo vuoto con i suoi oggetti per elevarli alla dignità dell’oggetto di sublimazione, la religione lo evita, spostandosi sempre verso un altro luogo, in una corsa inarrestabile per produrre un nuovo senso. La scienza, da parte sua, preclude questo vuoto, rifiuta la presenza della Cosa nell'universo del godimento, cercando di ridurlo a una quantificazione oggettivata. Sempre invano. Quanto più la scienza guadagna terreno sul reale con la sua produzione di nuovi oggetti tecnici, tanto più il senso religioso ricicla gli stessi oggetti con il suo macchinario di produzione del senso, tanto più la prima collabora, senza saperlo, al boom del senso religioso. Oggi assistiamo a un battaglia nella rincorsa del senso tra la tecnica e la religione, in un incontro tanto paradossale quanto quello dell’ombrello con la macchina da cucire sul tavolo anatomico caro ai surrealisti. L'oggetto tecnologico ha così incontrato il boom del senso religioso sul tavolo delle operazioni del mercato chiamato “globalizzazione”, una globalizzazione che tuttavia funziona attraverso una delocalizzazione sistematica dell’oggetto di godimento, del suo vuoto non localizzabile. La tecnica oggi ha le sue leggi al di fuori della scienza che la vide nascere in Occidente. E questo soprattutto a partire dalla metà del secolo scorso, quando la scienza firmò il suo accordo con la politica del dopoguerra nel rapporto che porta il nome di Vannevar Bush. È con il nome di questo scienziato americano che si conosce infatti il rapporto intitolato, in maniera molto eloquente, "La scienza: una frontiera senza limiti”, che ha convinto il presidente Roosevelt e il Congresso della necessità di progettare una politica scientifica: "La scienza è dietro le quinte – possiamo leggervi. Dobbiamo metterla al centro della scena, perché in essa sta gran parte delle nostre speranze per il futuro". [3] Il problema è che invece della scienza, quel che apparve al centro della scena fu l'oggetto tecnico innalzato allo zenit sociale, e secondo leggi sempre più indipendenti dal pensiero della scienza stessa. Come indicava Jacques-Alain Miller alcuni anni fa nel suo corso: “Ci rendiamo conto oggi che la tecnologia non è subordinata alla scienza, rappresenta una propria dimensione dell'attività del pensiero. La tecnologia ha una sua dinamica ". [4] Non si tratta soltanto di un buono o cattivo uso della tecnica, argomento facile con il quale si tende spesso ad accantonare il problema, bensì degli effetti che ha questa dinamica per ogni soggetto nel suo rapporto con il godimento. Si tratta del modo in cui ogni soggetto, preso ad uno ad uno, viene utilizzato in questa dinamica nel suo approccio alla Cosa freudiana, nel suo percorso sfuggente tra il sacro e il sacrificio. Quando l'oggetto sacro non può più essere localizzato nel mondo del senso, è l'oggetto tecnico che viene allora a prenderne il posto, senza che abbia troppa importanza il sacrificio che presuppone. Siamo in grado di verificarlo nella clinica del caso per caso come un tentativo di soluzione dell'antinomia tra senso e reale senza senso. Serva come breve esempio il caso del ragazzo autistico che poteva avvicinarsi a un oggetto, farne uso, solo se in precedenza ne quantificava il grado di comodità in base a una percentuale che doveva calcolare nel modo il più preciso possibile, senza trovare tuttavia trovare l’esattezza che gli avrebbe dato abbastanza tranquillità. Il tanto per cento, la percentuale di comodità, era il semplice espediente tecnico che gli permetteva o no di essere utilizzato dalla dinamica degli oggetti, qualunque fosse il sacrificio di godimento per lui implicato. Di fatto non si comportava in modo molto diverso da quello del consumatore di oggi, che acconsente di essere utilizzato dalla dinamica di qualsiasi oggetto tecnico, a partire dalle statistiche di soddisfazione, che le leggi di mercato impongono a proprio vantaggio. In un altro ambito, citiamo la testimonianza riferita alle stragi causate dalla corsa inarrestabile del senso religioso. È la testimonianza di Ayaan Hirsi Ali, una donna che ha attraversato i vari gradi della religione islamica, dalla versione più radicale fino all’assimilazione ai modi di godimento chiamati occidentali, venendo eletta deputato del Parlamento olandese, e vedendosi poi ritirata la cittadinanza europea, in seguito restituita, e che sta attualmente collaborando con i think tank americani di tendenza liberal-conservatrice. È una testimonianza sorprendente della difficoltà di localizzare, nella sua particolare traversata del deserto, il luogo del sacro, sempre al limite del sacrificio nelle sue diverse versioni: come donna, come eretica o come apostata da sterminare. Ayaan Hirsi Ali spiega il ruolo primordiale che per lei ha avuto il sacro nell'idea e nel valore della vita dopo la morte, un luogo “paragonabile – scrive – a quello che è giunto a rappresentare l'orologio per la mentalità occidentale. In Occidente, strutturiamo le nostre vite in funzione del trascorrere del tempo, di ciò che realizzeremo nella prossima ora, nel prossimo giorno, nel prossimo anno. Pianifichiamo in funzione del tempo e in genere siamo soliti dare per inteso che avremo una vita lunga. (...) Nella mentalità islamica, in confronto, non è il ticchettio dell'orologio ciò che si sente, ma l’avvicinarsi del giorno del giudizio ". La promessa del godimento della Cosa dopo la morte è qui una bomba a orologeria che non ha bisogno di nessun ticchettio. Dato questo approccio, non vale nessuna percentuale, l’unica contabilità necessaria è quella che riuscirà a raggiungere il godimento della Cosa, dell'oggetto sacro promesso. È lo stesso approccio di cui dava testimonianza qualche settimana fa un giovane detenuto jihadista a Barcellona. "Morire in nome di Allah non fa male, è come un fremito.” Ma attenzione, questo leggero fremito in realtà non è molto diverso nella struttura dal fremito di cui hanno dato testimonianza i primi utilizzatori di un cinturino disegnato per il nuovo Apple Watch, che viene fornito con trenta ore di autonomia, come promesso dalla pubblicità. Il fatto è che, nel momento di contabilizzare il godimento, tecnica e religione possono oggi incontrarsi sulla stessa strada. [1] Gil Caroz, “Quand le sacré devient sacrificateur”, Lacan Quotidien nº 474, 7/02/2015. [2] Jacquez Lacan, “La troisième”, Lettres de l’École freudienne, 1975, nº 16, pp. 177-203. [3] Vannevar Bush, Science, the Endless Frontier, Washington, United Sates Government Printing Office, 1945, p. 13. [4] Jacques-Alain Miller, “Nullibieté”, Corso di Orientamento lacanieno, 14/11/2007 (inedito). [5] Ayaan Hirsi Ali, Reformemos el islam, Galaxia Gutenberg, Barcelona 2015, p. 117. Intervento a PIPOL 7, Bruxelles, 5 luglio 2015 Traduzione di Francesca Ferrarini
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