Presentazione del dibattito tenutosi a MIlano via Zoom, per l'Istituto freudiano, il 18 febbraio 2022 Marco Focchi Abbiamo cominciato a prestare particolare attenzione nel Campo Freudiano alla questione Trans dopo il dibattito di Miller con Eric Marty, pubblicato nel numero 927 di Lacan Quotidien. È il dibattito che ci ha fatto entrare nel merito delle proposte di Judith Butler e della sua critica al binarimo sessuale. Avevamo avuto un assaggio di questi temi già con l’intervento di Paul Preciado alla 49° giornata dell’ECF, dove Preciado aveva fatto leva su temi analoghi per dare contro all’ideologia patriarcale, commettendo però l’errore prospettico di mettere la psicoanalisi e il patriarcato dallo stesso lato della frontiera. Noi sappiamo bene in realtà quanto lavoro critico è invece stato fatto nel Campo Freudiano per erodere il primato che da secoli conserva il Nome del Padre. Ha poi fatto sensazione il filmato, visibile su you tube, Petite fille. Il filmato presenta il problema del piccolo Sasha, bambino di 8 o 9 anni, che si dichiara bambina gettando nello smarrimento la madre e gli esperti che si occupano di lui. Nessuno osa contraddirlo e mettere in questione, o dialettizzare la sua affermazione o, meno ancora, interpretare quel che dice.
Una recente circolare del Ministero dell’Istruzione in Francia, con il lodevole scopo di bloccare ogni forma di discriminazione, fa esplicito divieto, nel caso di un bambino che si dichiari Trans, di considerare questa presa di posizione come un indice patologico e di sottoporlo al vaglio di un esperto. Il soggetto, per quanto minorenne, è considerato padrone della propria parola, che non è lecito interpretare. È chiaro che l’idea di un soggetto padrone di sé – necessaria sul piano del diritto – diventa controproducente sul piano analitico, dove l’interpretazione in fondo destituisce il soggetto dalla padronanza del senso dei propri enunciati, per farli entrare nell’arena in cui pullulano gli equivoci e la traversata degli equivoci, sappiamo da Lacan, è il solo modo per trattare il sintomo. Ma per l’appunto, l’affermazione: “Sono Trans” non può essere presa come sintomo, non può essere messa alla prova sulla base dell’ideologia in cui il soggetto è padrone di quel che dice: “Io sono quel che sono” è un’enunciato in un certo senso blindato.. Mettere in questione l’enunciato: “Io sono quel che sono” per la psicoanalisi tuttavia vale non solo per il Trans, ma per qualunque soggetto, etero, omo, LGBT che sia. Non c’è in questo nessuna forma di discriminazione, semplicemente il fatto di tener conto di quel che Freud a suo tempo diceva affermando che l’Io non è padrone in casa propria. Quel che viene dunque messo avanti per evitare la stigmatizzazione e la discriminazione diventa allora anche un veto alla problematizzazione. Se il linguaggio viene preso come semplice vettore di comunicazione e non come un modo di interrogare noi stessi, è perché siamo in una fase di dominio a senso unico di una sorta di neo-positivismo dove ognuno è considerato identico a se stesso, A vuol dire solo A. La difesa dalla stigmatizzazione diventa così al tempo stesso un abbandono alla schiavitù di un padrone molto più rigido, dove l’inconscio si cristallizza come discorso del padrone e perde quel potenziale di liberazione che solo la psicoanalisi può dargli. Credo che di fatto la psicoanalisi possa benissimo articolarsi con le forme fluide di godimento presentate nel movimento LGBT, e sia dalla parte della tutela del diverso, del singolare, anche del freak, purché si consideri che parliamo di posizioni soggettive e non di imposizioni biologiche. L’argomento spesso utilizzato per giustificare il movimento LGBT ha di solito un’intenzione decolpevolizzante: queste persone sono così perché sono nate così, è il loro corpo a essere così. La decolpevolizzazione però scivola qui nella deresponsabilizzazione, il che vuol dire nella cancellazione della posizione di soggetto, con l’effetto in ultima istanza di considerarci tutti come macchine biologiche. Per noi tutto si sposta sul piano della soggettività: nella posizione di godimento si tratta di scelte nelle quali il soggetto si costituisce come tale, e non di un destino biologico passivamente subito. Questo mi sembra un modo molto più autentico di rispettare e far valere i diritti della diversità che non trattarla come un retaggio inerte, ed è in questa direzione che nel modo più pregnante la clinica psicoanalitica si rivela essere non fattore di patologizzazione ma leva di una politica di affermazione del desiderio.
2 Comments
8/3/2022 01:42:40 pm
Persiste l'idea discriminante di Scelta soggettiva
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Paola Della Porta
9/3/2022 10:11:40 am
C’è sempre un desiderio distruttivo espresso da una posizione autoritaria e colpevolizzante, in questo tipo di dichiarazioni.
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