Richard Smith Peter Gøtzsche, medico e ricercatore danese, ha scritto un libro sostenendo che il 97% degli psicofarmaci causano più danni che benefici. Allen Frances, professore emerito di psichiatria alla Duke University e presidente del comitato che ha curato il DSM IV, afferma che del libro di Gøtzsche ha ragione al 70%, ma che il grosso problema è che i pazienti con gravi malattie psichiatriche vengono abbandonati, mentre molte persone con problemi minori vengono trattati in modo eccessivo. Entrambi hanno parlato settimana scorsa in un Convegno a Leida, per celebrare i cinquant’anni del Geneesmiddelenbulletin, una rivista che fornisce informazioni indipendenti sulle prescrizioni mediche. L'organizzazione nazionale olandese degli psichiatri ha boicottato il Convegno e ha contattato via email i partecipanti dicendo che non avrebbero dovuto presenziare perché il Convegno era contro la psichiatria, contro la scienza, e deleterio per i pazienti. C'erano tuttavia circa quaranta psichiatri olandesi in un pubblico di quattrocento persone, e due dei relatori erano psichiatri olandesi.
Gli psichiatri olandesi, mi è stato spiegato, si sentono vulnerabili perché sono troppi. Possono offrire due tipi di trattamento: psicofarmaci e psicoterapia. Nei Paesi Bassi ci sono però molti psicologi clinici, e si sono appropriati della psicoterapia. Gli psichiatri sono rimasti con i loro psicofarmaci e con l’ansia per il loro futuro. L'attacco di Gøtzsche si spinge molto a fondo. La ricerca su cui si basa la psichiatria è inaffidabile e corrotta dall'industria farmaceutica. Vi sono scarse prove che gli psicofarmaci, in particolare gli antidepressivi, funzionino davvero, inoltre questi farmaci uccidono aumentando le probabilità di suicidio. Le perizie cliniche degli psichiatri sono inattendibili, gli psichiatri stessi non concordano sulle diagnosi; i pazienti non vengono ascoltati, peggio, possono essere rinchiusi contro la loro volontà. La psichiatria è colpevole inoltre di creare "malattie fittizie" come il DDAI (disturbo da deficit di attenzione e iperattività). Jim van Os, un professore olandese di epidemiologia psichiatrica, ha riassunto in venticinque minuti le prove su cui si fonda la psichiatria, iniziando dal sottolineare l’assenza di qualsiasi legame tra un'anomalia cerebrale e una diagnosi psichiatrica. Frances poi ha affermato che le neuroscienze e la neurogenetica sono aree della scienza interessanti, ma non hanno avuto lavorato su nessun paziente psichiatrico. Quel che sappiamo – dice van Os – è che molte persone sono mentalmente vulnerabili, e che c’è un bisogno reale. (Trudy Dehue, storico, sociologo e filosofo della scienza che è stato fischiato dagli psichiatri, ha sottolineato che coloro che criticano le diagnosi e i trattamenti psichiatrici non respingono con questo la sofferenza dei pazienti.) Diversi problemi sorgono – continua van Os – quando tentiamo di classificare la vulnerabilità. Frances ha spiegato come, durante la realizzazione del DSM IV, la commissione di lavoro abbia posto livelli di prova molto alti per definire una nuova diagnosi. Avevano novantaquattro proposte, ma ne hanno accettate soltanto due, entrambe le quali – ha aggiunto – si sono rivelate un disastro. La commissione del DSM 5 è iniziata con carta bianca, e questo avrebbe potuto essere utile se si fosse concordato un alto livello di prova per una diagnosi. Ha invece creato molte nuove diagnosi non sotto la spinta dell'industria farmaceutica – ha affermato Frances – ma dei “conflitti d’interesse intellettuali" dei membri della commissione. Con conflitti d’interesse intellettuali Frances intende l’impegno nelle propria ricerche, teorie, idee, ed esperienze. Una volta però stabilite le diagnosi, l'industria si muove rapidamente. Sappiamo – ha proseguito Van Os – che “una misura unica non va bene per tutti”, che c’è una grande eterogeneità tra i pazienti all'interno di una stessa diagnosi e nel modo in cui questi rispondono al trattamento. A livello di gruppo quasi tutti i trattamenti psichiatrici hanno qualche piccolo effetto positivo, ma la risposta del gruppo nasconde l’eterogeneità. Coerentemente con le prove raccolte si è potuto constatare che nel corso di circa quarant’anni la risposta all’effetto placebo è diventata più forte mentre l'effetto del farmaco psicoattivo si è fatto più debole, la differenza è cioè diminuita. Questo può derivare dal fatto che viene trattata e inclusa nelle sperimentazioni una percentuale minore di malati. Un'altra cosa che si può coerentemente notare è che i farmaci e la psicoterapia funzionano meglio congiunti che non applicati da soli. Anche la frequenza del trattamento è importante: per esempio dodici sedute di psicoterapia sono più efficaci concentrate in due volte a settimana anziché una volta a settimana. La qualità della relazione tra medico e paziente è a sua volta cruciale: questo riguarda non solo la psicoterapia, anche i trattamenti farmacologici risultano più efficaci se c’è una buona relazione. Un placebo nell’ambito di una buona relazione può essere altrettanto efficace di un farmaco attivo somministrato in una relazione scadente. Gøtzsche ritiene che la psicoterapia possa essere efficace anche con pazienti gravemente psicotici. Forse la psichiatria ha smarrito la strada perché troppo concentrata sui trattamenti farmacologici, in particolare quando – come abbiamo sentito nella sessione mattutina del Convegno – le compagnie farmaceutiche perseguono l’obiettivo di aumentare il numero di persone che consumano farmaci anziché quello di produrre farmaci più efficaci. Ora – ha detto Frances – i casi di persone che stanno bene e che presentano leggere preoccupazioni vengono trattati su scala industriale, mentre è il periodo peggiore per chi, negli Stati Uniti, si trova con gravi problemi mentali. Circa un quinto della popolazione negli Stati Uniti assume psicofarmaci, ma forse solo il 4 o il 5% ne ha davvero bisogno. La privatizzazione dei servizi per i malati gravi ha avuto la conseguenza che molti, circa 300.000 pazienti, sono finiti in prigione o per strada; e in prigione è lo psicotico che finisce in isolamento (la cosa peggiore possibile per un paziente gravemente malato) o che viene violentato. Nel Regno Unito – ha sostenuto Frances – le cose vanno allo stesso modo. Gli psichiatri potrebbero aver dimenticato – ha suggerito ancora – che il cervello è la cosa più complicata dell'universo. La schizofrenia può presentare mille differenti condizioni, come la malattia di Alzheimer e altre situazioni psichiatriche. Cambiare i criteri diagnostici significa – ha detto Frances – avvicinarli sempre più alla normalità. Qualcosa come 105 geni sono stati associati con la schizofrenia, ma è improbabile che questi risultati portino a trattamenti migliori. La medicina personalizzata – ha ribadito – è un termine di marketing. Ippocrate – ha detto Frances – ha introdotto il concetto primum non nocere per contrastare i trattamenti eccessivi o crudeli effettuati occasionalmente ai suoi tempi in Grecia. La storia della medicina e della psichiatria è piena di trattamenti inefficaci e spesso crudeli. Un terzo dei pazienti – ha affermato – guarirà senza trattamento e un altro terzo non risponderà al trattamento. I medici devono essere in grado di fare prognosi e di curare il terzo centrale, evitando di curare quanti guariscono senza bisogno di trattamento e aiutando, nella misura del possibile, forse attraverso il sostegno sociale, quanti non rispondono. Il pubblico ha avuto l'impressione che Gøtzsche possa aver esagerato con la sua condanna della psichiatria, ma anche sentendo che il suo attacco doveva essere preso sul serio. La psichiatria sembra essersi smarrita come, credo, anche tutta la medicina. La risposta non dovrebbe essere di rifiutare le critiche, come l'organizzazione psichiatrica olandese ha consigliato di fare, ma di ascoltarle e prenderle come stimolo per un profondo riesame della pratica attuale. Fonte: British Medical Journal, 4 luglio 2016 Traduzione di Micol Martinez
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