![]() Come è cambiato il concetto di normalità di Julie Beck Possiamo mandare un uomo sulla Luna, un veicolo spaziale su Marte, ma stiamo ancora cercando di capire come funziona il nostro cervello. La malattia mentale è stigmatizzata, potenzialmente sovradiagnosticata, spesso fraintesa. Gli scienziati sono ancora alla ricerca di qualcosa di nuovo sulle condizioni che la determinano, mentre chi soffre cerca di capire come affrontarla. William V. Harris, professore di storia e direttore del Centro per il Mediterraneo antico presso la Columbia University, studia la malattia mentale nel mondo classico, nella Roma e nella Grecia antiche. Anche se il corpo di conoscenze a nostra disposizione non è ancora sufficiente per capire la malattia mentale oggi, un ulteriore livello di difficoltà si aggiunge quando cerchiamo di applicare le conoscenze odierne alle civiltà precedenti. O quando cerchiamo di comprendere i concetti di malattia mentale delle civiltà antiche, in un’epoca in cui si pensava che gli dei partecipassero della vita quotidiana, e che le allucinazioni non fossero qualcosa di cui preoccuparsi.
Harris è autore di diversi libri, e recentemente, la scorsa estate, ha curato il libro Mental disorders in the classical world. Ho parlato con lui via e-mail di come gli antichi greci e romani consideravano la malattia mentale e che cosa possiamo oggi imparare da loro. Potrebbe iniziare spiegando in che modo l'atteggiamento verso la malattia mentale fosse diverso nel mondo classico rispetto a oggi? Nell'antichità si pensava che i disturbi mentali provenissero dagli dei. Gli dei greci sono molto permalosi, si offendono facilmente. Per esempio, sono stati severi con Oreste dopo il matricidio. [Nota dell’editore: dopo il matricidio Oreste era tormentato dalle Erinni] E in un mondo dove molti importanti fenomeni, come la malattia mentale, non erano facilmente spiegabili, i capricci degli dei erano la spiegazione che veniva al posto di quella mancante. Sia medici sia altre figure hanno cominciato presto, già dal V° secolo aC, a contrastare questa idea, dando piuttosto spiegazioni naturali. Molti cercavano rimedi magici o religiosi – come passare la notte in un tempio del dio guaritore Asclepio, nella speranza che avrebbe trovato una cura o che avrebbe detto come guarire, mentre i medici cercavano rimedi per lo più naturali. Nessuno pensava fosse dovere dello Stato prendersi cura dei malati di mente. O se ne occupavano le famiglie, o finivano in strada, una situazione da incubo. Nella sua introduzione a Mental disorders in the classical world parla di “medicalizzazione della malattia mentale." Quando e perché si è cominciato a vedere le persone come malate anziché come pazze? A un certo punto, verso la fine del V° secolo aC, qualcuno appartenente alla scuola di Ippocrate scrisse un trattato “Sul morbo sacro", dove sosteneva che il "morbo sacro", cioè l'epilessia, era una sindrome fisica, e ben presto tutti i medici e gli scienziati (per quanto questa categoria potesse esistere) hanno cominciato a pensare che i pazzi erano malati (ma non che non fossero pazzi). I medici greci non facevano una distinzione netta tra disturbi fisici e disturbi mentali, e non avevano concetti che corrispondessero a quel che chiamiamo oggi "depressione" o "schizofrenia". Roberto Lo Presti, uno degli autori del libro di cui stiamo parlando, esamina a lungo lo sviluppo del pensiero greco sull'epilessia. I medici greci tendono sempre a pensare che ciò che chiamiamo oggi psicosi fosse un problema di natura fisica. Come diagnosticavano i malati di mente i medici allora? Quali criteri usavano? E come si regolavano per il trattamento? Avevano per lo più a che fare, anche se non solo, con delle psicosi (disturbi di esteriorizzazione, come il disturbo antisociale di personalità, e disturbi dovuti all’abuso di droga e alcol) piuttosto che con delle nevrosi (disturbi di interiorizzazione, come la depressione e l'ansia), e hanno preso in considerazione una gamma completa di sintomi difficili da definire, come comportamenti stravaganti in pubblico, fissazioni, deliri e allucinazioni. I trattamenti andavano dalla contenzione fisica alla consulenza. Non facevano molto uso di farmaci. Nella raccolta lei ha dato un contribuito sulle allucinazioni, ha citato il fatto che nel mondo classico le persone spesso vedevano dei e cose soprannaturali. C'è stata una evoluzione nelle allucinazioni a partire dal momento in cui, invece di essere viste come un'esperienza soprannaturale, sono state considerate come sintomo di qualcosa che non va dal punto di vista medico? Non c’è stata una semplice evoluzione: i medici ippocratici riconoscevano già le allucinazioni come fenomeno puramente umano, ma molte persone comuni hanno continuato a pensare che fossero coinvolti gli dei. L' idea morale che la rabbia fosse pericolosa fa parte dell'antica e diffusa idea che l'essenza della buona condotta sia l’autocontrollo. Questo significa che le allucinazioni erano più comuni e meno stigmatizzate rispetto ad oggi ? Non credo fossero tanto più comuni. Meno stigmatizzate, sì, un po’. Uno non avrebbe cercato di trattamento per un problema così. Socrate aveva allucinazioni, vero? Questo influenzava il modo in cui veniva percepito ? Socrate sembra aver avuto allucinazioni ricorrenti di un tipo particolare: una voce gli parlava, di solito trattenendolo dal fare alcune cose. Questo fenomeno metteva in soggezione i suoi discepoli, ma alcuni suoi ammiratori più tardi hanno avuto bisogno di dargli una spiegazione, hanno pensato indicasse che era un po’ toccato. Uno dei suoi libri precedenti riguarda la rabbia. Perché la collera è stata vista come una malattia, o come qualcosa da tenere sotto controllo? Mi ci sono volute circa quattrocento pagine per rispondere a questa domanda! In parte perché veniva vista come uno stato d’animo pericoloso, in parte perché veniva vista come un pericolo in famiglia (soprattutto per via della schiavitù), in parte poi, perché un eccesso di collera veniva visto come segno di un fallimento morale personale. La collera era pericolosa per lo Stato, soprattutto perché portava alla violenza politica, e al comportamento tirannico dei sovrani assoluti, ed era pericolosa per la famiglia come potenziale causa di faide e di violenza. Era pericoloso anche per via della schiavitù, giacché il proprietario di schiavi collerico poteva in genere trattare gli schiavi come voleva, ma questi potevano reagire e di fatto reagivano). L' idea morale nasce da questi imperativi politici e sociali concreti credo, ma fa anche parte dell'antica e diffusa idea che l'essenza della buona condotta è l’autocontrollo. È difficile applicare concezioni attuali di "anormalità" a personaggi storici? O viceversa? Certo, è difficile in entrambi i casi. Le differenze concettuali e morali sono enormi. Alcuni hanno sostenuto che, per esempio, Erode il Grande e Caligola fossero schizofrenici, ma capire il modo in cui si comportavano effettivamente è difficile per l’inadeguatezza dalle fonti disponibili. Nel mondo romano inoltre, era normale trovare una violenza molto maggiore che oggi, come erano normali molti comportamenti che oggi considereremmo pedofili. Questo rende il lavoro di studiosi come me più interessante e più difficile. Ci sono idee degli antichi Greci o Romani che ci sarebbero utili per considerare la malattia mentale oggi? Sì, per quanto concerne le nevrosi. Si consideri in particolare il contributo di Chris Gill nel libro che ho curato, con l’accento che mette sugli aspetti del carattere. Gill considera l' idea che dovremmo rafforzare il nostro carattere in modo da essere pronti ad affrontare con fermezza i disastri della vita. Fonte: The Atlantic, 23 gennaio 2014
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