Miquel Bassols, psicoanalista catalano, membro dell’Escuela Lacaniana de Psicoanalisis e dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi, autore di numerose pubblicazioni, mostra in questa intervista la condizione strutturale che lega la corruzione e il senso di colpa, e considera le diverse sfumature con cui questo si presenta nelle tradizioni cattolica, protestante e scintoista, in un mondo devastato dalla povertà con sette miliardi di abitanti, dove due miliardi e mezzo non hanno le minime condizioni sanitarie, lavorative, politiche. Intervista realizzata da Telam a Barcellona T : Perché i rapporti tra corruzione e senso di colpa sarebbero paradossali?
B : Il paradosso inizia con l'idea che i corrotti siano sempre gli altri e che non sia mai mia la responsabilità. Prosegue con l'idea che il corrotto è tale con l’unico scopo di un beneficio e un di un godimento proprio. E prosegue ancora di più con l'idea che il corrotto non si sente mai responsabile, che è qualcuno senza scrupoli, senza alcun senso di colpa, qualcuno che gode come nessun altro grazie alla sua segreta corruzione. Se questo fosse vero, la storia non sarebbe così disseminata di corruzione esplicita, la corruzione socialmente consentita, se non promossa dalla politica stessa. UN personaggio politicamente corretto, come Winston Churchill, ha potuto dire, non senza un certo cinismo, la frase che ho citato e che nessun politico oggi oserebbe difendere: un minimo di corruzione serve da lubrificante per l'operazione benefica della macchina della democrazia. Oppure: corruzione in patria e aggressione all’esterno per nasconderla. La corruzione in questo modo è giustificata? Il problema non è così semplice, tutti però abbiamo sentito di casi di corruzione realizzata con le migliori intenzioni. Chi ha studiato il fenomeno, come Carlo Brioschi nella sua Breve storia della corruzione, ha dovuto prendere distanza da alcuni pregiudizi. Non c'è stata, in effetti, nessuna epoca nella storia senza una certa dose di corruzione nei vari ambiti sociali e politici. E il diffondersi della corruzione è sempre accompagnato da un segreto senso di colpa. La corruzione e il senso di colpa sembrano una coppia inseparabile. Quando tuttavia questo legame diventa troppo evidente, il paradosso ci porta verso il polo opposto: tutti corrotti, tutti colpevoli! Guarda ogni giorno le prime pagine dei giornali. Il paradosso si mantiene nella misura in cui riteniamo che la corruzione non implichi mai il senso di colpa, sentimento che, secondo Freud, è sempre inconscio. L'ideale del corrotto, del corrotto perfetto, sarebbe qualcuno che non si sentisse mai in colpa, vale a dire un vero e proprio perverso. Ce ne sono così, certo, ma non così tanti come crediamo, tra quelli considerati socialmente o politicamente corrotti. Anche se quando qualcuno ne salta fuori, è vero che non c'è nessuno che lo fermi. D’altra parte il vero colpevole prova un forte senso di colpa, non sa mai di cosa è davvero colpevole, come vediamo nei migliori personaggi di Kafka. Tanto che c'è una specie, molto più diffusa di quanto pensiamo, diagnosticata dallo stesso Freud come criminali per senso di colpa. Sono quelli che diventano delinquenti, o corrotti, per soddisfare un senso di colpa inconscio. E ce ne sono, posso assicurarlo, noi psicoanalisti lo sentiamo a volte, sul divano, ma possono essere anche storie di criminali noti, o i recenti esempi di corruzione politica. T : Potresti approfondire l'idea che nei paesi di tradizione luterana il carattere devastante della corruzione è meno intenso che in quelli di tradizione cattolica? Questa idea condannerebbe i paesi del Sud? E cosa succede negli Stati Uniti? B : Sembra un fatto confermato dalle ricerche di questo tipo, per quanto non siano sempre estranee ai fenomeni che cercano di denunciare con le loro classifiche internazionali sulla corruzione. C'è comunque sicuramente una differenza importante tra la logica del discorso cattolico e la logica del discorso protestante. La tradizione cattolica della confessione dei peccati e la successiva assoluzione – ovviamente, sempre nell’ambito del sacramento della confessione – favorisce senza dubbio l'impunità del godimento. Posso permettermi più agevolmente una colpa se, con la successiva confessione, mi aspetto e l'assoluzione, cosa assolutamente fuori luogo nella tradizione protestante, che aborrisce la confessione, in particolare la confessione privata. Ma oggi ci siamo abituati a vedere spesso questo fenomeno nel l’ambito pubblico dei mezzi di comunicazione. Ogni volta è meglio, diciamo, confessare pubblicamente i reati o i peccati, o gli errori. E quando non lo si fa o si tenta di negare la colpa, si paga un prezzo. Il caso recente di re Juan Carlos, apparso alla televisione spagnola per chiedere scusa, dicendo: mi sono sbagliato e non succederà più, dopo che è stata resa pubblica la sua passione per la caccia agli elefanti, ne è un esempio. In realtà era un modo di distogliere l’attenzione dai casi di corruzione emersi all'interno della famiglia reale stessa. Tutto questo è andato insieme a una caduta di una delle parvenze – come diciamo noi lacaniani – uno dei simboli maggiori che hanno sostenuto la cosiddetta transizione democratica spagnola. Le scuse pubbliche, impensabili nella monarchia di vecchio stampo, hanno avuto qualche effetto, tra il patetico e il pacificatore. L’altro caso recente di François Hollande in Francia, che ha cercato di separare il pubblico dal privato quando è stata scoperta la sua infedeltà, è un esempio inverso. In Francia, di fatto, prima queste questioni non erano prese tanto sul serio. Le infedeltà di Mitterrand non hanno fatto tanto scandalo, e anche sua moglie ha potuto un po’ elogiarle: François era così, era un seduttore. Sulle questioni relative alla corruzione sta accadendo qualcosa di simile. Si passa anche, a volte, dal più grande scandalo alla compiacenza segreta. C’è su questo una certa ipocrisia sociale. In ogni caso, e per aggiungere ulteriori differenze tra le diverse tradizioni che articolano la colpa, la corruzione e il peccato, non dobbiamo trascurare il Giappone, dove la tradizione scintoista implica un rapporto con l'onore che può rendere imperdonabile il fatto di continuare a vivere dopo essere stati colti in fallo di corruzione. L'onore giapponese sembra preferire il suicidio alla confessione o al godimento dell'impunità. E va notato che il fenomeno chiamato globalizzazione sta rendendo sempre più sfocati i confini tra paesi e tradizioni, tra costumi del nord e costumi del sud, tra orientali e occidentali. Ora siamo nell'era del post-umanità, come ha detto Jacques- Alain Miller in qualche occasione, dove la prima corruzione, la più generalizzata, è forse la corruzione del linguaggio stesso su scala globale. Le parole perdono il loro potere evocativo, anche quelle dell’interpretazione. T : Hai detto che lo scambio di influenze o di vantaggi è socialmente sanzionato – nelle formazioni luterane – ma poi aggiungi che una volta comprata l'assoluzione, questa può assumere un’aspetto mimetico, senza rispettare le tradizioni. B : Lo scambio d'influenze è socialmente sanzionato, anche nel senso di proibito, ma in molti casi è regolamentato in forma più o meno istituzionalizzata. Talvolta fa esplicitamente parte di ciò che è si è soliti chiamare il sistema, e da qui viene l'idea molto diffusa che non vi sia corruzione nel sistema, ma che il sistema stesso sia corruzione. Non si diffonde però per mimesi o per imitazione. Quel che gli studiosi del fenomeno chiamano legge di reciprocità, riflette il fatto che – soprattutto nella politica economica, ma non solo in essa – non ci sia nessun favore disinteressato, non si fa niente per niente. Godere di un una prebenda sarà quindi sempre giustificato e la presunta reciprocità diventa poi contagiosa come un ideale molto singolare, secondo il quale ognuno pensa che dovrebbero godere della stessa cosa di cui sta godendo l'altro. Se l'altro può goderne, allora anch’io posso! Questo è d’altra parte il principio della pubblicità, e anche il principio della corruzione. Ma in realtà non c'è nulla di così singolare, di così irripetibile e inimitabile come il godimento di ciascuno, a cominciare dal godimento sessuale. È quel che Jacques Lacan chiamava il godimento dell’Uno, ed è qualcosa che attraversa secoli e tradizioni, lingue e frontiere, e sempre più velocemente nel nostro mondo di realtà virtuali. Quando uno vede che cosa sono sperperati, a volte, i vantaggi della corruzione, la questione presenta un lato tragicomico. È l'inutilità di godimento. T : Se lo chiese anche René Girard, alla luce della teoria del capro espiatorio che aveva sviluppato. B : Il desiderio che sta come principio dei legami e dei conflitti umani, non può essere ridotto a mera imitazione di un modello, nel senso della mimesis alla quale si riferisce Girard, fenomeno immaginario che può verificarsi anche negli animali. Un animale può imitare un comportamento, impararlo seguendo un modello, ma questo non significa che sia abitato da un desiderio, che possa giungere a soggettivarlo, che possa dividersi davanti a esso o respingerlo come una parte di sé. A questo punto, la formula di Jacques Lacan, il desiderio è il desiderio dell'Altro, va ben oltre l'idea di un desiderio mimetico – anche se lo si pensi ispirato ad esso – e introduce una logica più complessa, senza la quale non possiamo comprendere i paradossi delle relazioni tra gli esseri umani, né l’amore, né l’odio, né la segregazione. Per cominciare, questo desiderio dell’essere parlante è dall’inizio un equivoco, non ha né un modello né una norma, ed è a tal pinto singolare che è impossibile imitarlo. Il soggetto isterico è quello che più tenta di identificarsi con questo desiderio dell'Altro, ma si scopre che questo è al tempo stesso la sua più grande fonte di insoddisfazione. Il desiderio dell'Altro è sia il desiderio del soggetto per l’Altro, sia l'enigma del desiderio di questo Altro per il soggetto. No, non è per imitazione che funziona il desiderio, e nemmeno il fenomeno della corruzione. Funziona piuttosto attraverso il contagio di una forma di godimento, cosa molto diversa. L'idea di Girard del capro espiatorio è un modo di intendere la segregazione del godimento dell'Altro, quel godimento che ci sembra sempre barbaro, diverso, eterogeneo, fino ad arrivare al razzismo. Oggi il capro espiatorio potrebbero essere gli immigrati, ma anche le donne maltrattate. T : Se la corruzione è un fatto di struttura, è forse perché il sistema gerarchico che ordina una società non è mai egualitario? B : Naturalmente, la gerarchia non sarà mai ugualitaria. La corruzione può essere compresa da questa angolatura, seguendo un asse verticale nelle relazioni sociali di potere. La corruzione è però soprattutto un fenomeno legato al riconoscimento tra pari, tra soggetti della stessa classe, qualunque sia questa classe, seguendo la sua orizzontalità e secondo la legge della reciprocità accennata prima. Molte volte, la proposta di corruzione è più una affermazione di uguaglianza e di riconoscimento tra pari che non l’affermazione di una differenza nella struttura gerarchica di potere. C'è qui un paradosso difficile da trattare: quanto più omogeneo ed egualitario il gruppo pretende di essere, tanto più si produce segregazione interna, e più si incontrerà una tendenza alla corruzione. È qualcosa che Lacan ha sorprendentemente anticipato negli anni Sessanta, quando l'ideale comunitario, in particolare quello della Comunità europea, sembrava la promessa di un’integrazione in condizioni ideali di uguaglianza, e includeva anche l'Europa orientale. Il risultato, nella maggior parte dei casi, sono una feroce separazione interna e un notevole aumento delle critiche per la corruzione diffusa. Ma lo stesso Claude Lévi-Strauss è stato un po’ fischiato quando ha difeso la necessaria differenza e separazione delle popolazioni per mantenere una coesistenza sopportabile tra le diverse forme di godimento. L’uguaglianza forzata da un lato ritorna come differenza segregata dall’altro. Sembra un virus per il quale non troviamo un antidoto. La psicoanalisi propone un'etica del desiderio, che presuppone sempre una perdita di godimento, e questo è sempre un buon vaccino contro la corruzione. T : È possibile che anche i cinesi siano stati contagiati? Come pensare un’assoluzione – un godimento – comprato, nella tradizione confuciana? B : Sì, la Cina è già entrata in pieno nel contagio, senza dubbio. E inoltre in un modo che sembra molto più efficace e cioè, se è possibile, in modo molto più devastante per la soggettività del nostro tempo, perché lo scambio delle merci, per esempio, non è inteso allo stesso modo. Provate a trattare con un commerciante o con un uomo d'affari cinese, non saprete mai se avete concluso o no l'accordo. È almeno quel che mi dicono gli imprenditori catalani per i quali le cose devono essere sempre molto chiare: pane al pane ... Forse la tradizione del confucianesimo che, secondo Max Weber, tollerava più di altre tradizioni molti culti popolari senza proporre un sistema chiuso, è all'origine di questa facilità di contagio che è al tempo stesso un segno di grande flessibilità. Ma anche qui, bisogna aggiungere molti altri fattori, come l'inasprimento della censura di Internet da parte del governo cinese, e il contagio del linguaggio e delle forme di godimento sono assicurati. E vedremo dove ci porteranno. T : Sicuramente hai letto la notizia sulle fortune che alcuni leader cinesi hanno occultato nei paradisi fiscali. Che relazione ha questa cultura con il senso di colpa e il godimento, che è ciò che rimane senza risposta Maonomics, nel libro di Loretta Napoleoni? B : Non ho ancora letto il libro Loretta Napoleoni. L'idea che il nuovo comunismo cinese possa essere molto più efficace – efficace anche nel senso peggiore – del vecchio capitalismo occidentale può sembrare sorprendente. Un neocapitalismo di lavoratori ideali, disposti a lavorare in modo intensivo e solidale, senza sentirsi sfruttati perché trovano che le promesse del loro Stato vengono realizzate rapidamente, può essere un meccanismo tanto efficace quanto infernale. L’aspetto interessante è che tutto sembrerebbe fondato sull'efficacia di uno Stato-Padre che interviene senza contemplare i mercati, senza permettere che seguano la china del loro presunto principio di autoregolamentazione, quel principio di piacere che in Occidente ci è stato venduto come il migliore delle leggi dell’apparato psichico-finanziario. E sicuramente il principio di piacere, il presunto principio omeostatico dei mercati, fallisce per definizione, come abbiamo visto tragicamente negli ultimi decenni. È il fallimento del principio di piacere scoperto da Freud e dal quale Lacan ha estratto la nuova economia del godimento, l'economia dell’inutile. Il fallimento del principio di piacere sembra essere collegato con la crisi dello Stato-Padre. Come non ricordare qui il declino dell’imago paterna diagnosticata da Lacan a pochi decenni fa in Occidente come uno dei fattori sintomatici del suo disagio ? Ma non c'è niente di buono da aspettarsi nemmeno da qualsiasi tentativo di ripristinare la figura di un Padre, in qualunque condizione la si ripensi. Neppure in Cina. C'è comunque qualcosa da imparare, soprattutto nella nuova e vecchia Europa: sarebbe stato più logico partire da un’unità politica che non da una comunità economica e monetaria, come è accaduto con l'euro e con trattati di Maastricht. Ma è anche più prudente partire dalla diversità delle identità in gioco che non da un’omogeneizzazione imposta dall’identificazione con un Padre. La pluralizzazione dei Nomi del Padre indicata da Lacan come un dato della clinica psicoanalitica è un segno della nostra epoca. Ma questo sarebbe argomento di un’altra intervista.
2 Comments
Erika
10/3/2014 02:44:34 pm
La psicoanalisi propone un'etica del desiderio, che presuppone sempre una perdita di godimento, e questo è sempre un buon vaccino contro la corruzione.
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Marco Focchi
10/3/2014 03:00:52 pm
È un buon motivo per fare della psicoanalisi un punto di resistenza contro le burocrazie tecno-scientiste.
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