Nella lezione del corso che ha aperto la Sezione Clinica di Bruxelles per il 2022-2023, Alexandre Stevens ha presentato una bussola per chiarire la clinica lacaniana delle psicosi. Ecco alcuni estratti della lezione scelti da Sophie Boucquey, partecipante alla Sezione Clinica di Bruxelles. Alexander Stevens La tesi di Lacan sul caso Aimée si basa essenzialmente sull’idea di una cattura immaginaria. Dopo questo primo momento il tema delle psicosi è sviluppato nel Seminario III e ne La questione preliminare. La successiva grande articolazione di Lacan sulle psicosi verte poi intorno a Joyce, nel Seminario XXIII Le sinthome. Muoverci alternando tra questi diversi momenti ci permetterà di misurare la tensione presente sulla clinica delle psicosi tra la posizione del Lacan classico e quella del Lacan nell’ultima fase del suo insegnamento. Il fatto che Lacan presenti diverse tesi sulle psicosi non invalida le tesi precedenti con le successive, ma permette di avere diverse a prospettive di lettura. Questo rende meno rigida e più aggiornata la lettura delle psicosi. La tesi di Lacan nel Seminario Le sinthome ha successivamente permesso a Jacques-Alain Miller di sviluppare la nozione di psicosi ordinaria, che sarebbe stato difficile formulare con il Seminario III. Nel Seminario III, Lacan ci presenta, fin dalle prime sedute, le caratteristiche peculiari del fenomeno psicotico. Sviluppa due tipi di fenomeni.
In primo luogo presenta quella che chiama “intuizione delirante” insieme a quel che definisce come un “significato personale”, ovvero un fenomeno un po' strano che si manifesta al soggetto dandogli la sensazione di essere rivolto a lui. “Uno dei nostri psicotici ci racconta in quale strano mondo da un po’ di tempo sia entrato. Tutto per lui è diventato segno. Non solo il soggetto viene spiato, osservato, sorvegliato, si parla di lui, lo si guarda, gli si strizza l'occhio, ecc... ma anche gli oggetti reali inanimati cominciano a parlargli. Quindi, ad esempio, se incontra per strada un'auto rossa, dirà che non è passata per caso in quel momento (Lacan - Le séminaire III p. 17). Ecco dunque un fenomeno psicotico: l’auto rossa diventa un segno particolare nel mondo che viene immediatamente interpretato, e si vede che l'interpretazione aderisce all'apparizione del segno. Si tratta di un segno colto nella sua dimensione interpretativa, e lo consideriamo per questo un fenomeno psicotico. Lacan parla anche di un’intuizione delirante. Nel caso di Aimée dice che il delirio è uno schermo, in quanto vela l'incidente iniziale, che diventa più difficile da cogliere. L'incidente iniziale è da concepire come un segno proveniente da una rottura, da un buco nel quadro simbolico. Sorge un segno che viene immediatamente interpretato e lo sviluppo di questa interpretazione è il delirio. È molto importante, di fronte a qualcuno che ha sviluppato una psicosi, cercare di cogliere il momento d’insorgenza, non solo per una precisione teorica, ma perché questo permette di cogliere quel che, nella trama simbolica del soggetto, è un affioramento di reale . In secondo luogo, Lacan sviluppa il tema del disturbo del linguaggio che chiama “neologismo”. Il neologismo dal punto di vista linguistico significa due cose. Una è l’emergere di un nuovo significante non lessicalizzato, che rimanda quindi a un nuovo significato, un’altra è relativa a un significante già in uso, lessicalizzato ma che viene impiegato intendendo un significato che non ha, a cui si dà quindi un nuovo significato. Un neologismo non è necessariamente un indice di psicosi. Più si è inventivi nella creazione significante, più si creano neologismi. Lo stesso Lacan da questo punto di vista era estremamente inventivo. I neologismi non psicotici hanno un rapporto particolare con il senso: rimandano sempre a un'opposizione con un altro senso. Prendiamo per esempio, il neologismo "hainamoration". Lacan gioca con il significante énamoration – innamoramento – per trasformarlo, con la sostituzione di alcune lettere, in “hainamoration”, cioè l'odio che rende pan per focaccia all'amore. Abbiamo qui un neologismo il cui senso è costituito dal rimando ad altre risonanze di senso. Il neologismo psicotico, invece, non rimanda a un altro senso. È un senso totalmente enigmatico che non rimanda a nessun altro senso e che in sé cerca di dare senso a un elemento ineffabile, che è impossibile dire. Abbiamo qui una parola che ha la funzione di riempire un buco nel senso. Si tratta di segni che appaiono e che sfuggono completamente al soggetto, il quale non sa perché gli si presentino, e il loro senso è il neologismo. Alexandre Stevens illustra quest’idea con un neologismo apparso durante la presentazione di un malato di Eric Laurent. Una donna si lamentava di essere vittima di un sortilegio da parte di uno sciamano che aveva una particolarità: era “bimane”, diceva. Prende così una parola lessicalizzata ma le dà un nuovo senso, coprendo l'ineffabile del senso. Ciò che struttura i fenomeni psicotici è che il soggetto psicotico, a differenza di quello nevrotico, resta fuori-dialettica. La dialettica consiste nel fatto che la nostra posizione cambia secondo le svolte prese da un dialogo, o secondo gli eventi che incontriamo nell'esistenza. Questa possibilità di rimettere in discussione in ogni momento il desiderio, l'attaccamento, o anche il senso, è proprio ciò che – secondo Lacan – crea una difficoltà per lo psicotico. Il soggetto psicotico è del tutto inaccessibile, è stagnante rispetto a qualsiasi dialettica. L'inerzia dialettica è una delle caratteristiche maggiori del fenomeno psicotico, e questa si costituisce in una certezza che è estremamente difficile da sciogliere. L'inconscio dello psicotico è qui, a cielo aperto, in superficie. Questo significa che “il fenomeno psicotico è il ritorno dell'inconscio nel reale”, come Lacan dice sin dalla prima lezione del Seminario III. Nella nevrosi c'è il ritorno del rimosso. Questo ritorno avviene nel significante, nel simbolico. Nel caso dell'Uomo dei Lupi si tratta, nell'allucinazione del dito tagliato, di un ritorno della rimosso che sorge nella realtà, nell'allucinazione. Abbiamo qui una Verwerfung, una preclusione. Qualcosa scompare dal significante per apparire nel reale, proprio a lato. Tutto ciò che viene rifiutato nell'ordine simbolico nel senso della Verwerfung, dice Lacan, riappare nel reale. Possiamo mettere in tensione queste prime lezioni del Seminario III, con il Lacan dell’epoca del Seminario Le sinthome, per cogliere il punto di oscillazione tra i due momenti. Jacques-Alain Miller riferisce di una presentazione dei malati di Lacan avvenuta nello stesso anno del Seminario XXIII. “Questa donna è da considerare uno di quei folli normali che fanno parte del nostro ambiente", dice Lacan. Qual è la follia normale di questa donna? Lei stessa si definisce come disancorata: “Non accetto ordini quando c'è un lavoro da fare, non ho riferimenti, cerco un posto in società, non ho più posto”. È un discorso banale, osserva Alexandre Stevens. “Lei fluttua tra i suoi punti di riferimento immaginari e ci sono fenomeni che, rimanendo in questo fluttuare, diventano più precisi: “Non sono né una vera né una falsa malata”. Con questa affermazione siamo già in qualcosa di più strano. “Mi ero identificata con diverse persone che non mi somigliano”. Ecco, questo enunciato implica immediatamente la somiglianza, e c’è qualcosa come una negazione interna della questione che fa capire come il soggetto sia completamente smarrito. Aggiunge: «Vorrei vivere come un vestito, un abito». Qui si vede, chiaramente, la mancanza di un'immagine costituita del corpo. “Questa persona – dice Lacan – non ha la minima idea del corpo che deve mettere sotto questo vestito”. Vorrebbe vivere come un vestito ma non ha corpo. Non c'è nessuno per abitare l'indumento. È ciò che Lacan chiamerà “malattia della mentalità”. “La nostra clinica – aggiunge Lacan – ci impone di distinguere tra malattia della mentalità e malattia dell'Altro. La prima riguarda l'emancipazione dalla relazione immaginario, la reversibilità a-a', smarrita per il fatto di non essere più sottoposta alla scansione simbolica. Lacan descrive con questo una forma di psicosi in cui ciò che manca è l'ancoraggio simbolico: non c'è parola che ancori il soggetto, che quindi si smarrisce, e questo si nota nel riferimento al suo corpo. Nella malattia della mentalità il corpo immaginario svanisce perché non è sostenuto dalla dimensione della parola. Abbiamo con questo una concezione della psicosi diversa da quella presentata nel Seminario III. Quella che Lacan descrive il Seminario III è la malattia dell'Altro: nell'Altro del significante ci sono effetti che l'Atro del significante produce su di me. Possiamo contrapporre come esempio di questi due due modelli due figure cliniche eminenti: da un lato l’esempio di Schreber e dall’altro quello di Joyce. Questi costituiscono i due modelli della clinica lacaniana delle psicosi. Nella tesi di Lacan sul caso Aimée, abbiamo fondamentalmente una teoria della psicosi basata su una strutturazione dell’immagine: il soggetto colpisce se stesso attraverso l’altro, cerca cioè di uccidere qualcun altro ma perché alla fin fine attraverso questo cerca una punizione. C’è qui un riferimento al corpo come immagine catturata nell'altro. In epoca classica, quella del Seminario III, abbiamo invece il simbolico che struttura tutto ciò che regola il soggetto attraverso la funzione paterna e quindi vediamo anche l’andamento sregolato della psicosi. Nell'ultima fase di Lacan, nel Seminario XXIII Le sinthome, viene di nuovo viene portato in primo piano il rapporto con il corpo, rapporto attraverso il quale si struttura l'essere parlante. Ma non è più il corpo dell'immagine, come nell'immagine ideale con cui si trova ad aver a che fare Aimée, ma è piuttosto il corpo sentito del godimento.
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