![]() di Elisabetta Corrà, La Stampa - TuttoGreen All’inizio del mese scorso giornali e televisioni hanno - blandamente - parlato del TTIP, il trattato di libero commercio tra Stati Uniti ed Europa su cui la Commissione e il governo americano stanno negoziando dal 2013. Il Fatto Quotidiano, ad esempio, sta discutendo del TTIP attraverso una serie di post molto dettagliati del vicedirettore Stefano Feltri, chiaramente a favore della possibilità che il TTIP non sia un pericolo, ma una modalità da esplorare senza pregiudizi di nessun tipo. Una cosa sembra chiara: capire le caratteristiche e le implicazioni dell’accordo è impresa non solo difficile (nonostante la fuga di notizie denunciata da GreenPeace) ma decisamente fuori portata per i cittadini comuni. Le sfumature giuridiche della posta in gioco sono sottili, e richiedono tempo per essere comprese. Quante persone ne hanno a sufficienza da dedicarne un po’ allo studio di una materia del genere senza finire per votarsi allo slogan (pollo al cloro, ad esempio) che colpisce maggiormente la propria, personale emotività? Questo è un primo aspetto macroscopico del problema TTIP, che sta a monte della polarizzazione di posizioni politiche con cui è stata salutata la nuova imminente sessione di negoziati: da una parte i liberali favorevoli e dall’altra i nostalgici egualitari che si oppongono. La sensazione più generale è che il TTIP ci sia piombato addosso come un dato di fatto, un blocco compatto di decisioni prese altrove, da qualcuno che non vedremo mai in faccia e in nome di principi che ci sfuggono. Questo ci porta ad una seconda questione e cioè la compatibilità tra il particolare (le nazioni) e l’universale ( i poteri economici globali). Questa frattura, come osserva Alain Finkielkraut, ben lungi dall’essersi dissolta nei continui appelli all’unità europea, alla bontà dei sentimenti collettivi, alla casa comune, continua a venir fuori nei conflitti più scottanti - politici, militari, economici, culturali - attualmente in agenda. Il TTIP, infatti, mostra che qui non si tratta più solo del diritto di informazione ( propugnato ad esempio da GreenPeace) quanto piuttosto del diritto di comprensione: in reti di interconnessioni così sofisticate, abbiamo ancora il diritto di capire cosa succede? La eventuale risposta chiama in causa il modo in cui possiamo o non possiamo essere ancora cittadini in contesti giuridici che si insinuano nella qualità del nostro presente e del nostro futuro in un modo che non ha precedenti nella storia della civiltà. Perché queste decisioni coinvolgono tutte le matrici “biopolitiche” oggi rilevanti: l’uso e il prelievo delle risorse naturali, la demografia umana, la trasformazione di parte della biosfera in produzioni bio-tecnologiche (gli allevamenti intensivi di animali da carne), le scelte energetiche e quindi l’assetto dell’atmosfera, degli oceani, delle foreste, dei Poli, la proliferazione di connessioni informatiche. Facciamo un esempio. La Comunità Europea ( The Indipendent, 6 ottobre 2015) lista come proibite 1200 sostanze usate nell’industria dei cosmetici, gli USA soltanto 12. Ma che rilevanza ha questa informazione quanto la maggior parte di noi non sa neppure che sono legalmente venduti anche in Europa dentifrici, creme, esfolianti che contengono microplastica che finisce negli oceani e di lì, in modi non ancora chiari, entra nel metabolismo energetico degli organismi marini (PNAS, March 2016)?
E qui arriviamo ad una altra questione di tipo ambientale. In che modo il TTIP si inserisce in quel ragionamento più complessivo sull’economia mondiale che esce dalla carta di Parigi sul clima ? Nick Dearden ha scritto su The Guardian che il CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement) è un trattato ancora più pericoloso del TTIP, solo che è già stato firmato da Europa e Canada e dovrà essere ratificato entro i prossimi 12 mesi. Il posto che il clima occupa nell’impostazione del CETA è già apprezzabile: “Le sue 1500 pagine ci mostrano che il CETA è una minaccia non solo ai nostri standard sul fronte alimentare, ma anche alla battaglia contro il cambiamento climatico (...) Le sabbie bituminose sono la tipologia di carburante fossile ecologicamente più distruttivo del mondo, e i maggiori giacimenti si trovano nell’Alberta. Le sabbie bituminose vengono usate relativamente poco in Europa, ma le cose stanno cambiando. Quando la EU propose nuove regole per proibire che il carburante da sabbie bituminose arrivasse in Europa, il Canada usò il CETA come merce di scambio per bloccare la proposta. Se il CETA passa, quella decisione sarà congelata - un disastro per il cambiamento climatico”. Di sicuro il futuro del clima all’interno del TTIP è una domanda seria. Già, ma che tipo di accordo è il TTIP? Ne ha parlato in maniera dettagliata Francesca Spinelli in un articolo apparso su Internazionale (internazionale.it) del luglio 2014. La Spinelli cita Denise Gagnon, del gruppo canadese anti TTIP Trade Justice Network: “Da anni mettiamo in guardia i colleghi europei contro questa nuova generazione di accordi commerciali, che si spingono molto più lontano del Nafta ( North American Free Trade Agreement) aprendo alle grandi aziende i mercati pubblici, anche quelli provinciali e municipali”. Il TTIP cambia faccia al sistema dei commerci globali che è nato nel Novecento. Spinelli riporta un commento di Gus Van Harten che è docente di diritto alla York University: “I trattati che creano i diritti degli investitori stranieri risalgono agli anni Sessanta del ‘900, all’epoca della decolonizzazione. I loro effetti si sono concretizzati negli anni ’90 con l’esplosione delle vertenze. Potrò sembrare allarmista, ma la rapida espansione del sistema, in larga misura a discrezione degli arbitri, ha alterato la sovranità per come l’abbiamo conosciuta per secoli nel mondo sviluppato e com’è conosciuta in gran parte del mondo in via di sviluppo dall’epoca coloniale”. E allora - forse - è la cornice più generale in cui questo dato di fatto chiamato TTIP ci è piombato addosso che fa capire che la posta in gioco non è solo cosa potremmo trovare sugli scaffali del supermercato, ma che tipo di Pianeta e di società sta prendendo forma davanti ai nostri occhi. La questione, allora, può forse essere riletta come una urgenza di prendersi la responsabilità di questo “diritto alla comprensione” che sembra scomparso dalla frenesia della vita quotidiana. Da dove partire per capirci qualcosa? Dallo stile apodittico, sicuro di sé, compiaciuto e definitivo con cui il TTIP e il commercio globale vengono presentati su qualunque mezzo di informazione. Il diritto al futuro - mangiare cibi sani non contaminati, usare energie rinnovabili, sapere nei boschi europei orsi, linci e lupi - comincia dal diritto ad un racconto non standard della realtà. In un pezzo sul radicalismo islamico operante in Medioriente, The Atlantic (theantlantic.com, Does it really matter what people call the so-called Islamic State? June 1, 2016) ha riportato le osservazioni di Wole Soyinka, lo scrittore nigeriano Premio Nobel per la Letteratura purtroppo pochissimo letto in Italia : “In una lecture alla BBC del 2004 su come sta cambiando la natura delle paure collettive, Soyinka notò che durante la Guerra Fredda la gente tendeva a temere la guerra nucleare tra superpotenze. Ma oggi giorno, ‘si ha paura di un potere furtivo e invisibile, la paura del quasi-Stato, quell’entità che non pretende di avere nessun confine fisico, non sventola una bandiera nazionale, non ha un seggio in consessi internazionali di Paesi, ed agisce con la stessa follia intrinseca al principio di deterrenza dell’era atomica annunciato allora con tanta calma dalle superpotenze durante la Guerra Fredda’. (....) Soyinka auspica essenzialmente un linguaggio nuovo e più aggressivo per la nuova era della paura: ‘Arriva il momento in cui bisogna accettare di porre fine ad un atteggiamento che è reso al meglio in una espressione Yoruba: prendersi una malattia a forza di dire e agire con garbo (...) Soyinka sta rimarcando il primato delle parole, l’unica arma che la maggior parte delle persone ha contro il gruppo. Lavorare con il linguaggio, insiste, significa operare delle scelte (....) ‘Il linguaggio fa parte dell’armatura della capacità dell’uomo di opporsi’”. Converrebbe allora forse riavvolgere il nastro e chiedersi: ma che cosa è diventato oggi il commercio globale? E quali sono le sue conseguenze sul mio diritto al futuro?
1 Comment
anonimo
5/6/2016 11:52:03 am
Correggete il nome: Stefano Feltri, non Mattia Feltri
Reply
Leave a Reply. |
Marco Focchi riceve in
viale Gran Sasso 28, 20131 Milano tel. 022665651. Possibilità di colloqui in inglese, francese, spagnolo. Archivi
Dicembre 2024
Categorie
|