Intervento in chiusura dei lavori alla terza giornata dell’Istituto del bambino tenutasi a Parigi il 21 marzo 2015 di Jacques-Alain Miller Come ogni due anni, vengo a proporre un orientamento di lavoro per la prossima Giornata dell'Istituto psicoanalitico del bambino. Propongo che l'Istituto e quanti partecipano alle sue ricerche s’interessino all’adolescenza. Non è un titolo, darlo sarà compito di chi dirige l'Istituto, ma è una direzione. Propongo di pensare in direzione dell’adolescenza. L’adolescenza, una costruzione
La definizione di adolescenza è controversa. Su questo si possono prendere molte prospettive, che non si sovrappongono. C’è l’adolescenza cronologica, c'è l’adolescenza biologica, c'è l’adolescenza psicologica – nella quale si possono distinguere l’adolescenza comportamentale e l’adolescenza cognitiva – c'è l’adolescenza sociologica, c’è anche un’adolescenza estetica o artistica. I nostri colleghi di Rennes hanno appena pubblicato un libro sulla non rapporto sessuale nell’adolescenza a partire dal teatro e dal cinema (1). Tutte queste definizioni non si sovrappongano esattamente. Quel che si può dire in generale è che l'adolescenza è una costruzione. E dire oggi di un concetto che è una costruzione risulta sempre convincente, poiché lo spirito del tempo è che tutto è costruzione, che tutto è artificio significante. Questa epoca, la nostra, è molto incerta per quanto riguarda il reale. Mi è capitato di dire che è un'epoca che nega volentieri il reale e ammette solo i segni, che sono quindi altrettante parvenze. L'originalità di Lacan è stata di articolare la coppia "parvenza" e "reale". E oggi, quando si parla di reale, c'è spesso una filiazione con il discorso di Lacan, con l’accento che lui ha messo sul reale. Una volta che l'adolescenza è una costruzione, non c’è niente di più facile che decostruirla. È quel che ha fatto, con una certa forza comunicativa, uno psicologo americano di nome Robert Epstein, che è al tempo stesso giornalista – è stato redattore di Psychology Today. Senza avere una conoscenza diretta del suo lavoro, pubblicato nel 2007, i testi che si leggono su di lui su internet indicano che si tratta chiaramente di una persona a cui piace prendere le cose controcorrente. La sua tesi, niente affatto sciocca, è che creiamo l'esperienza adolescente di oggi impedendo agli adolescenti – più precisamente, in inglese, ai teenagers, da thirteen a nineteen, da tredici a diciannove anni – di essere o di comportarsi da adulti. Osserva che nella storia del genere umano, gli adolescenti erano molto più considerati adulti. Vivevano con gli adulti e potevano prenderli come "modello" – poiché questo termine è una categoria della psicologia. Mentre ora noi facciamo vivere gli adolescenti tra loro, isolati dagli adulti e in una cultura propria a loro, dove si prendono l'un l'altro come modello. Sono culture soggette alle mode, a lasciarsi trasportare dagli entusiasmi, ecc. Di fatto, non è certo che l’adolescenza sia esistita prima del XX secolo. Il suo libro s’intitola The case against adolescence. Rediscovering adult in every teen. – Contro l'adolescenza. Riscoprire l'adulto in ogni ragazzo. È uno slogan sintomatico. In psicoanalisi, cos’è l’adolescenza? A dire il vero, mi sembra che in psicoanalisi ci si occupi essenzialmente di tre cose. L'uscita dell’infanzia Ci si occupa, in primo luogo, dell’uscita dall'infanzia, cioè del momento della pubertà, momento biologicamente e psicologicamente attestato. Freud affronta questo aspetto nell'ultimo dei “Tre saggi sulla teoria sessuale”, saggio intitolato "Le trasformazioni della pubertà." Ecco un testo che sarà un riferimento per orientare la quarta Giornata dell'Istituto del bambino, utilizzabile in tutto il campo che concerne l’infanzia. La pubertà è anche il momento in cui entra in gioco, tra gli oggetti di desiderio, quel che Lacan ha isolato come il corpo dell’Altro. La differenza dei sessi In secondo luogo, ci si interessa alla differenziazione sessuale come inizia nel periodo puberale e post-puberale. La differenza dei sessi, come si configura dopo la pubertà, per Freud è soppressa per tutta la durata dell’infanzia. È un modo curioso di esprimersi. E scrive questa frase, che gli è valsa una certa vendetta da parte dei movimenti femministi: "La sessualità delle bambine ha un carattere assolutamente maschile” (2) Freud nota tuttavia, tra l'altro – per lui è una nota preliminare, poi va all’essenziale – nota comunque che: “Fin dall’età infantile sono ben riconoscibili sia la disposizione maschile disposizioni che quella femminile" (3). Osserva a questo proposito che le inibizioni della sessualità e l’inclinazione alla rimozione sono più accentuate nelle bambine. La femminuccia si mostra più pudica rispetto al maschietto. Fa notare – è la via che Lacan farà sua – la precocità della differenziazione sessuale. La femminuccia comincia già molto presto a fare la donna. È piuttosto in questo senso che ci indirizza. La pubertà comunque, per Freud come per Lacan, rappresenta una scansione sessuale, una scansione nello sviluppo nella storia della sessualità. Potremmo, per la prossima Giornata, studiare la differenziazione sessuale pre e post-puberale. È un tema che, finora in effetti, non è davvero stato toccato nelle nostre Giornate. Come possiamo avanzare su questa disposizione e su questa differenziazione precoce – la femminuccia come femminuccia, il maschietto come maschietto? L'immistione dell'adulto nel bambino In terzo luogo, ci s’interessa a quel che chiamerei, senza che l’espressione mi piaccia, "lo sviluppo della personalità", i modi in cui si articolano l'Io ideale e l’ideale dell’Io, vale a dire tutto ciò che si trova nell’“Introduzione al narcisismo" (4) di Freud. Nel momento della pubertà, in effetti, il narcisismo si riconfigura. Darei come riferimento, anche questo da studiare a questo proposito, lo schema R di Lacan come appare nel testo degli “Scritti” sulle psicosi e come è ampiamente commentato da Lacan nel Seminario sulle psicosi. Nello scritto è davvero molto stringato, e al tempo stesso esatto, molto preciso, e per capirlo bene bisogna leggere il Seminario. In questo capitolo abbiamo anche l’adolescente André Gide. Nel testo di Lacan su Gide, sul quale ho fatto un corso che è stato pubblicato, sul quale Philippe Hellebois scritto un libro, Gide viene descritto nel momento dell'adolescenza, e forse anche di un’adolescenza prolungata, perché la sua personalità è considerata completa solo a circa venticinque anni, che è piuttosto tardi. Per esempio Lacan descrive André Gide teenager, che si ripromette di proteggere sua cugina Madeleine di quindici anni, due anni più di lui. Scrive: "Nella sua posizione di ragazzo di tredici anni in preda ai più "infuocati tormenti” dell'infanzia, [...] questa vocazione a proteggerla segna l'immistione dell’adulto." (5). Questo realizza il programma di Epstein, per così dire. Si coglie qui, e mi piace questa espressione, "l'immistione dell’adulto" nel bambino. Potremmo cercare di definire con precisione i momenti di tale immistione. Vi è come un’anticipazione della posizione adulta nel bambino. D’altra parte è con una questione d’immistione che si suppone la personalità si compia. Per Lacan, la personalità di Gide si completa quando si aggrappa al messaggio di Goethe. Parla allora "dell'immistione del messaggio di Goethe”. Vi è quindi una forma logica che può essere studiata di per sé: la forma dell’immistione. Di nuovo sull’adolescenza Ecco le nostre basi. Ciò non toglie che ci sia qualcosa di nuovo, e un certo numero di nostri colleghi ha preso in considerazione questo nuovo. L'identificazione dei loro contributi mi è stato facilitata dalla tesi di una collega del Campo freudiano in Argentina, Damasia Amadeo, riguardante l'adolescente attuale in psicoanalisi. Una procrastinazione Il prolungamento dell'adolescenza, evocato da Epstein, è già stato notato da Siegfried Bernfeld nel 1923, un secolo fa, ed è stato ripreso da Philippe La Sagna, che ritiene che l’adolescente di oggi rimanga "sospeso a un futuro liquido nel senso di Zygmunt Bauman”, è un’espressione carina. "Abbiamo un soggetto – dice – che si trova di fronte a diverse opzioni possibili, e che le mette un po’ alla prova” (6). È vero che un simile comportamento si osserva con frequenza. Tenderei a metterlo in rapporto, insieme ad altri fattori, con l'impatto della tecnologia digitale, con l'impatto del mondo virtuale, che si traduce in una particolare estensione dell’universo dei possibili, dei mondi possibili. L'oggetto attuale inoltre, è un oggetto personalizzato, un oggetto con opzioni molteplici, che richiede quindi sempre un benchmarking, vale a dire, una definizione dei valori di riferimento, per sapere cosa è meglio. Se oggi volete acquistare un nuovo smartphone, vi mostrano un numero incredibile di prodotti, vi propongono di selezionarne alcuni, e di confrontarli. Questa moltiplicazione dell'elemento del possibile può tradursi in una procrastinazione infinita – è d’altra parte il motivo per cui tengo lo stesso per anni, fino a quando va a pezzi, e poi affido a qualcun altro il compito di scegliere il modello successivo. Vi è, in effetti, un rinvio al più tardi possibile e, in un certo senso, quel che tutti constatano, dopo Bernfeld, La Sagna, Epstein, è che l'adolescenza stessa è una procrastinazione, se così posso dire. Un’autoerotica del sapere L'impatto del mondo virtuale, nel quale gli adolescenti vivono più di quelli che, come me, già appartengono a un'altra generazione, è che il sapere – una volta depositato negli adulti, in questi esseri parlanti che erano gli educatori, includendo i genitori tra gli educatori, e occorreva la loro mediazione per accedere al sapere – è ora disponibile automaticamente a partire semplicemente da una domanda rivolta alla macchina. Il sapere lo si ha in tasca, non è più l'oggetto dell'Altro. Prima il sapere era un oggetto che bisognava andare a cercare nel campo dell'Altro, bisognava estrarlo dall’Altro attraverso la seduzione, l’obbedienza o esigendolo, e questo rendeva necessario l’impiego di una strategia con il desiderio dell'Altro. La formula che ho usato, “il sapere lo si ha in tasca”, evoca ciò che Lacan dice dello psicotico che il proprio oggetto a "in tasca" e, per l’appunto, non ha bisogno d’impiegare una strategia con il desiderio dell'Altro. Oggi c’è un’autoerotica del sapere, diversa dall’erotica del sapere che prevaleva una volta perché passava attraverso il rapporto con l’Altro. Una realtà immorale Molti colleghi hanno detto alcune cose interessanti, ne cito solo alcune. Marco Focchi, di Milano, si riferisce a quelli che, nelle società tradizionali, erano i riti della pubertà, d’iniziazione (7). L’accesso alla pubertà, il momento della pubertà, veniva inquadrato attraverso i riti di iniziazione che aprono su un registro sacro o mistico. Oggi, per dirla in questi termini, il progresso della cognizione pubertaria – gli psicologi l’hanno studiata: prima i pensieri astratti, ecc. – conducono secondo Focchi a una disidealizzazione. C’è qui una caduta dell’Altro maiuscolo del sapere, non una sublimazione. La pubertà apre per lui ormai su una "realtà degradata e immorale." Ho trovato carino questo aggettivo “immorale”, e mi sono chiesto a cosa potesse riferirsi. Si è notato come si diffondano oggi le teorie del complotto, al punto che ci si spaventa di quanti studenti, universitari, liceali, vi aderiscano. Sarebbe il loro modo di evocare l’Altro maiuscolo, ma in una forma degradata, come malvagio. Questo aderisce abbastanza a ciò che è detto: la realtà immorale dell'Altro del complotto. Socializzazione sintomatica La nostra collega Hélène Deltombe (8) ha studiato i nuovi sintomi articolati con il legame sociale e ha notato che possono convertirsi in fenomeni di massa o anche in epidemie: alcolismo – conosciamo l’alcolismo di gruppo – tossicomania, nella stessa serie aggiunge poi anoressia-bulimia, delinquenza, suicidi in serie di adolescenti, ecc. Questa socializzazione dei sintomi degli adolescenti mi sembra da considerare: l’adolescenza come momento in cui la socializzazione del soggetto può avvenire in modo sintomatico. Un Altro tirannico Un altro riferimento è quello di Daniel Roy (9), che ha ricevuto adolescenti che si lamentavano, per esempio si lamentavano dell’ingiustizia. Da una parte, osserva che la domanda proveniente dall’Altro famigliare o scolastico è sentita come un imperativo tirannico. D'altra parte, durante i momenti di crisi prodotti dalle dipendenze, cerchiamo di proteggere gli adolescenti stabilendo regole tiranniche, in nome della protezione dell'adolescenza. Vediamo questo duplice appello all’Altro tirannico e la presenza dei suoi due versanti: per il soggetto che interpreta come tali le esigenze della sua famiglia; e, da parte della società, il desiderio di tiranneggiare l’adolescente in crisi e di stabilire un'autorità brutale su di lui. Mutazioni dell'ordine simbolico Decadenza del patriarcato È sugli adolescenti che si fanno sentire con maggiore intensità gli effetti del cambiamento dell’ordine simbolico – che abbiamo studiato negli anni precedenti nel Campo freudiano, dedicandovi anche un Congresso dell'Associazione Mondiale di Psicanalisi (AMP) – e tra queste mutazioni dell'ordine simbolico, innanzi tutto la principale, cioè la decadenza del patriarcato. Il padre, nell'ultimo insegnamento di Lacan, non è più quello che era nel suo primo insegnamento. Il padre è diventato una delle forme del sintomo, uno degli operatori che possono operare un annodamento dei tre registri. In altre parole, la sua funzione, che era eminente, si è degradata nella misura in cui le costrizioni naturali sono state spezzate dal discorso della scienza. Questo discorso, che ci ha portato le manipolazioni della procreazione, ha fatto in modo che, tramite i gadget della comunicazione, la trasmissione del sapere e i modi di fare, in generale, sfuggano alla presa del padre. Destituzione della tradizione I registri tradizionali, che insegnavano cosa bisogna essere e fare per essere un uomo, o per essere una donna, recedono; intimiditi di fronte al dispositivo sociale della comunicazione, vengono destituiti. Questi registri tradizionali, sono sia le religioni sia tutto ciò che – userò ancora un’espressione che adoro – la common decency, le norme del vivere civile delle classi sociali. Prima, un discorso delle classi popolari diceva quel che si doveva fare per essere un "bravo ragazzo" e "una brava ragazza". Tutto questo è stato eroso, svanisce gradualmente. C'era un discorso del genere anche nelle classi medie, ce n'era uno nella borghesia, evidentemente non era esattamente lo stesso che nell'aristocrazia. Tutti sono stati abrasi. Vilma Coccoz (10), la nostra collega di Madrid, ha studiato i casi in cui i padri diventano amici dei figli, perché non sanno come essere padri; e passano dal permissivismo più completo a una rigidità inesorabile. Mancanza di rispetto Ho anche trovato molto significativa un’osservazione di Philippe Lacadée (11), che analizza per i soggetti adolescenti la domanda di rispetto, una domanda incondizionata di rispetto: "Voglio essere rispettato”. Ma allo stesso tempo, come osserva, questa domanda è disarticolata dall’Altro: nessuno sa “chi potrebbe soddisfare [questa domanda] tanto rimane oscura la questione dell'Altro a cui è rivolta”. Direi addirittura che è una domanda vuota, è davvero l'espressione di un fantasma: “Come sarebbe bello essere rispettato da qualcuno di rispettabile!” Ma poiché non si rispetta niente e nessuno, si è in carenza di rispetto di sé. Sono dunque questi i vicoli ciechi. Gli adolescenti, mi sembra, soffrono in particolare delle impasse dell'individualismo democratico, che è esso stesso il prodotto del crollo delle ideologie, dei grandi racconti, come diceva Jean-François Lyotard, e del cedimento del Nome del Padre – non la sua sparizione, ma il suo cedimento. Questo ha profondi effetti di disorientamento che si fanno sentire tra gli adolescenti di oggi, e meno tra quelli di una volta, che ancora beneficiavano di un ordine simbolico funzionante. È anche ciò che ispira le considerazioni di Eric Zemmour, il quale propone che tutta la società torni indietro, in un colpo solo, per rimettere tutto in ordine, cosa che presenterebbe altre difficoltà … Di fronte alla scienza, un'altra tradizione: l’Islam Quando Lacan ha parlato del Nome del Padre, ha precisato che lo faceva secondo la tradizione, che è stato chiamato così "secondo la tradizione". Ma quale tradizione? Quella cristiana, dunque quella ebraico-cristiana, in quanto il cristianesimo ha poggiato sull’ebraismo. Ma il mutamento dell'ordine simbolico, questo mutamento che vede il Nome del Padre lasciare un posto vuoto, disegna in negativo il posto in cui è venuta bruscamente a inscriversi un'altra tradizione, che non era stata invitata, ma che era sul mercato, e che si chiama Islam. È un problema che non si sarebbe posto prima di quest'anno. È stata davvero necessaria una scossa perché ce ne accorgessimo. L’Islam non è stato toccato dai cambiamenti dell'ordine simbolico in Occidente, ed è arrivato sul mercato occidentale, disponibile, accessibile a tutti attraverso tutti i canali di comunicazione. Era presente già da un bel po’, gli mancava la pubblicità che gli hanno portato una serie di recenti "azioni di marketing". L’Islam, diversamente dall'ebraismo e dal cristianesimo, non è stato intimidito dal discorso della scienza. E l'Islam dice quel che occorre fare per essere una donna, per essere un uomo, per essere un padre, per essere una madre degna di questo nome, mentre i sacerdoti, i rabbini, per non parlare degli insegnanti laici, vacillano – ora ci è stata promessa “l'educazione civica". L'Islam è particolarmente adeguato per dare una forma sociale al non-rapporto sessuale. Prescrive una rigorosa separazione dei sessi, ciascuno è destinato a essere cresciuto, educato separatamente e in modo altamente differenziato. In altre parole, l'Islam è particolarmente conforme alla struttura. Del non-rapporto fa un imperativo che vieta le relazioni sessuali fuori dal matrimonio, e in una maniera molto più categorica che non nelle famiglie cresciute in riferimento ad altri discorsi, dove tutto oggi è lassista. Allah – se posso pronunciare questo nome senza mettere in pericolo questa riunione – è un dio che non è un padre. Non sono addentro in tutte le Scritture islamiche, ma mi è stato assicurato che il qualificativo di padre è assolutamente assente dai testi che si riferiscono ad Allah. Allah non è un padre. Allah è l'Uno. È l’Uno sul quale ho fatto un corso un po’ di tempo fa. È il Dio Uno e unico. Ed è un Uno assoluto, senza dialettica e senza compromessi. Non è il Dio che delega al figlio per questo e per quest’altro, e poi il figlio va a lamentarsi con il padre: “Mi hai abbandonato!” ... e mamma, ecc. – tutto una storia di famiglia. Non ci sono storie di famiglia con Allah. È senza dialettica e senza compromessi. Non vi raccontano le collere di Allah, come quelli di Geova, che si abbattono a una certo momento contro gli ebrei, non può più vederli neanche dipinti, li punisce, poi li nutre, ecc. Cosa ci potrebbe essere di più logico, per degli adolescenti disorientati, che rivolgersi all'Islam? L'Islam è un vero e proprio salvagente per gli adolescenti. È anche un salvagente che si potrebbe consigliare, se… alla fin fine anche l'Islam non conoscesse alcune derive. L'Islam in quanto tale è forse il discorso che tiene conto nel modo migliore di come la sessualità faccia buco nel reale, che congela la non-relazione e che organizza il legame sociale sul non-rapporto. Lo Stato Islamico, che è una deriva, evidentemente, dell’Islam, fornisce forse una soluzione originale al problema del corpo dell'Altro. Ma per questo, bisogna forse passare di nuovo per Freud. Il problema del corpo dell’Altro Per non dilungarmi troppo, vorrei solo dire che Freud ha pensato che, a parte il caso del godimento orale nel grembo della madre, godimento collegato secondo lui a un oggetto esterno – Lacan riteneva invece che il seno facesse parte del corpo del bambino – a parte il caso del bambino al seno, il godimento pulsionale è fondamentalmente autoerotico. Nella pubertà, aggiungeva, il godimento cambia statuto e diventa godimento dell'atto sessuale, godimento di un oggetto esterno. Ne "Le trasformazioni della pubertà," Freud studia il problema della transizione dal godimento autoerotico al soddisfacimento copulatorio. Lacan afferma che questo non accade, che è un illusione freudiana – in fondo, io non godo del corpo dell'Altro, vi è godimento solo del corpo proprio o godimento del proprio fantasma, dei fantasmi. Non si gode del corpo dell'Altro. Si gode sempre solo del proprio corpo. Sappiamo bene come a questa idea, “godo del corpo dell’Altro", si sia collegata tutta una mitologia della coppia perfetta, dove si corrispondono i godimenti, l'amore, ecc. Mi chiedevo se, in fondo, il corpo dell'Altro non si incarni nel gruppo. La cricca, la setta, il gruppo non danno forse un qualche accesso al “godo il corpo dell’Altro di cui faccio parte”? Questo può avvenire in forma di sublimazione: si canta in gruppo, si gode dell’accordo con esso, si fa musica insieme, tutto questo ci eleva, ecc. Ma naturalmente, andare verso la sublimazione non soddisfa direttamente la pulsione. Non sarebbe possibile una nuova alleanza tra l'identificazione e la pulsione? Sapete che Lacan negli Scritti dice proprio che il desiderio dell’Altro determina le identificazioni, ma che queste non soddisfano la pulsione. Le scene di decapitazione, diffuse dallo Stato islamico in tutto il mondo e che gli sono valse migliaia di reclute, e l'entusiasmo di queste scene non realizzano una nuova alleanza tra l'identificazione e la pulsione, e in particolare – qui non è sublimazione – la pulsione aggressiva? Evidentemente questo s’inscrive nel quadro del discorso del padrone. In S1, il soggetto identificato come servo del desiderio di Allah, che si fa agente della sua volontà. Quando si è cristiani si dice "volontà di castrazione inscritta nell’Altro", perché si tratta di un rapporto di padre e figlio. Qui è la volontà di morte inscritta nell'Altro. È al servizio della pulsione di morte, dall'Altro. S1 è il carnefice; S2, la vittima in ginocchio; la freccia da S1 a S2 è la decapitazione. “Soddisfo questa volontà di morte”. Nel cristianesimo si suppone che il processo sfoci nella castrazione del soggetto stesso. Finisce, come dice Lacan, "nel narcisismo supremo della causa perduta". Mi macero, mi privo, mi castro e sono grande perché sono devoto alla causa perduta. Ma nell'Islam, non vi è alcun fascino per la causa perduta, né storia di castrazione. Nella deriva che è lo Stato islamico, c'è: “Taglio la testa dell’altro, e sono nel narcisismo della causa trionfante”, non della causa perduta. Qui non siamo nella tragedia greca, siamo nel trionfo islamico. Non conosco abbastanza per il momento la letteratura islamica per sapere cosa farebbe l'esatta controparte del tragico greco. Dico: trionfo islamico. Questo ha una conseguenza molto semplice. Sentiamo parlare oggi di sradicalizzazione dei soggetti che sono stati presi da questo discorso, perché ci s’immagina che saremo in grado di decostruire questa costruzione, mentre a mio parere non è parvenza, è collegata a un reale del godimento che non possiamo disfare così, come fossero bulloncini, a meno di non prenderlo dall’inizio. Poiché credo che abbiamo a che fare con un reale, la conclusione politica che traggo da questa considerazione psicoanalitica è che con questo discorso dello Stato islamico, ebbene, l’unico modo di venirne a capo è sconfiggerlo. 1 – Page Ch. & Jodeau-Belle L., Le non-rapport sexuel à l’adolescence. Théâtre et cinéma, Presses universitaires de Rennes, 2015. 2 – Freud S., Tre saggi sulla teoria sessuale, in Opere, vol IV, Bollati Boringhieri, Torino 1984, p. 525. 3 – ibid. 4 – Freud S., Introduzione al narcisismo, in Opere, cit. vol VII. 5 – Lacan J., Scritti, vol II, Einaudi, Torino 1974,, p. 752, (per gli “infuocati tormenti” il riferimento è a “Le cercatrici di pidocchi”, di Arthur Rimbaud) 6 – La Sagna Ph., « L’adolescence prolongée, hier, aujourd’hui et demain », Mental, no 23, p. 18. 7 – Focchi M. L’adolescenza come apertura del possibile, in Il glamour della psicoanalisi, Antigone, Torino 2012. 8 – Deltombe H., Les enjeux de l’adolescence, Paris, éditions Michèle, 2010. 9 – Roy D., « Protection de l’adolescence », Mental, no 23, op. cit., p. 51-54. 10 – Coccoz V., « La clinique de l’adolescent : entrées et sorties du tunnel », Mental, no 23, op. cit., p. 87-98. 11 – Lacadée Ph., Le malentendu de l’enfant, nouvelle édition revue et augmentée, Paris, éditions Michèle, 2010, p. 346 Trascrizione e redazione: Marie Bremond, Hervé Damase, Pascale Fari, Eve Miller-Rose e Daniel Roy. Traduzione di Marco Focchi Testo non rivisto dall'autore.
1 Comment
giuseppe
29/4/2015 03:05:59 am
Interessante, intrigante e illuminante in particolare sulla visione dell'Islam.
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