Conferenza tenuta a San Paolo il 16 ottobre 1981 Jacques-Alain Miller Riflettendo oggettivamente sul breve periodo che mi è possibile passare con voi – un fine settimana di stretta misura – mi sono convinto a desistere dal tenere le conferenze programmate, preferendo proporvi conversazioni più lunghe, più articolate e, allo stesso tempo, informali. Basta la scelta del termine “conversazione" per immaginare il tono e lo stile del nostro incontro. Questa è la mia prima visita in Brasile, paese di cui non conosco la lingua, così come ignoro la letteratura in lingua portoghese. Sono qui perché ho risposto a un invito del tutto speciale di Jorge Forbes. San Paolo Ritrovandomi in Brasile per la prima volta, mi è parso molto piacevole il fatto di iniziare dalla città di San Paolo, della quale conservo un ricordo davvero speciale, e dato che stiamo conversando non posso rinunciare a raccontare quel che il nome della città evoca in me. Sono rimasto con Lacan fino alla fine della sua vita. Mi sono tuttavia allontanato per tre anni dopo gli eventi del maggio ’68. In un seminario a cui non ero presente come ascoltatore Lacan, senza nominarmi, disse qualcosa che mi riguardava con particolari però sufficienti perché mi fosse riferita. Mi paragonò a San Paolo, dicendo che sarei caduto da cavallo a causa di una rivelazione politica. Una simile osservazione trasformò il corso della mia esistenza. Risalii, come San Paolo, sul cavallo lacaniano questa volta, spingendomi ancora più in là dell’apostolo. Come San Paolo mi presi l’incarico di organizzare e diffondere una verità. Nella storia del cristianesimo San Paolo è stato il portatore, l’organizzatore e il divulgatore della verità di Cristo. In questo viaggio in Argentina, e ora in Brasile, potrei anche immaginare di essere lui. Se lo dico è però per proteggermi da questa idea, e per evitare di far confusione. La verità della psicoanalisi non ha niente a che fare con la verità del Vangelo, e forse proprio per questo non è piacevole e non promette salvezza. La sala in cui ci troviamo, qui nella clinica di Jorge Forbes, è accogliente, favorisce la vicinanza e offre anche la parvenza di una certa intimità. Questo è molto utile per accorciare le distanze che ci separano, di cui non abbiamo mai avuto possibilità di parlare. Devo dire che non conosco la pratica brasiliana della psicoanalisi, mi mancano i riferimenti, e per stabilirli dovrei ascoltarvi a lungo, così da farmi un'idea coerente del vostro pensiero, e invece tocca a me parlare. Mi piacerebbe conoscere quel che vi inquieta della psicoanalisi. In cambio, parlerò di qualcosa che mi prende molto in questo momento, e che porta per me il segno della recente morte del dottor Lacan. Malinteso
Ho usato la parola "conversazione", tendenzialmente poco lacaniana, perché in fondo non si può nascondere che la conversazione, lungi dal consentire la comprensione reciproca, alimenta il malinteso. Un solo tipo di conversazione ha la possibilità di evitarlo: la conversazione analitica, che è ovviamente un dispositivo molto particolare. Il malinteso tra gli esseri parlanti e quelli parlati – tesi di Lacan – spiega l'ambiguità tra i due, per la quale Lacan ha creato il termine parlêtre, essere parlante, la cui traduzione in portoghese, fala-ser – mi hanno detto pochi istanti fa – evoca un senso che modula preziosamente l’espressione francese. Il malinteso non è né accidentale né contingente, ma è strutturale, è intrinseco alla comunicazione, implica indirettamente il senso. È utile saperlo quando si inizia una conversazione. L'insegnamento di Lacan – certamente alcuni di voi hanno già avuto modo di accorgersene e di verificarne la difficoltà d’approccio – tiene conto di questo malinteso di struttura, e ciò impedisce di credere che lo si possa comprendere immediatamente. I lettori, speculando su ciò che hanno letto, scoprono infatti il malinteso, e questo li coinvolge. Ciò ha portato molti lacaniani a rifugiarsi nell’oscurità, anche se vi sarete già resi conto che questo non è il mio metodo. Non mi identifico con il dottor Lacan. Ne è bastato uno, e non era uno qualsiasi! Non ricorro alla difficoltà di espressione. In fondo, al discorso che specula sulla propria difficoltà conviene farne corrispondere un altro che specula sulla propria chiarezza: spero di restare in questa dimensione e parlare in modo semplice. L'inconscio nel senso freudiano, come lo riprende Lacan dimostrandolo, è fatto, è intessuto di malintesi che si sono depositati, si sono inscritti nel soggetto e che in modo singolare ne hanno determinato ciò che può essere chiamato – a partire dalla psicoanalisi – “il destino”. A partire dalla psicoanalisi si potrà recuperare ciò che, in modo improvviso, si capisce indirettamente, consentendo di far rientrare il soggetto nel proprio cammino. Un caso clinico Porto come esempio un caso di cui sono venuto a conoscenza a Buenos Aires, durante un controllo, la scorsa settimana. Si tratta di una donna a cui il padre disse, in un contesto qualsiasi: "Non sarai mai niente”. Lei sentì la frase e capì che questa segnava per lei una posizione fondamentale nella sua esistenza. Senza saperlo, aderiva a questo detto paterno: tutto ciò che presentava come sintomo si ricollegava e si ordinava a partire da quel detto, di cui aveva fatto il proprio sintomo. Era già stata psicoanalizzata più volte e quella era la sua dipendenza fondamentale. Il grosso problema della sua vita erano le vertigini, una questione evanescente, poiché tutto ruotava intorno alla paura di avere le vertigini. Oggi ciò che la inquieta di più è l’assenza della paura di averle. La sua vita acquisiva consistenza a partire da questo sintomo, ne parlava al suo analista come se si trattasse di una persona – era il suo analista a riferirlo. E diceva: "Il mio sintomo, il mio sintomo è sparito, il mio sintomo sta per tornare, il mio sintomo è qui", come se fosse un partner. Possiamo scrivere alla maniera di Lacan questo soggetto che si afferma nella sua dipendenza, con la S maiuscola e prenderla come formula di partenza. La cosa interessante del caso è il modo radicale in cui assume la propria posizione soggettiva, portandola fino alle estreme conseguenze: quel niente pronunciato dalla bocca paterna, prendendolo alla lettera. Ecco il malinteso. In tal senso, il fatto supera notevolmente le intenzioni coscienti del padre. L’analista mi aveva esposto il caso in venti minuti, dopo di che abbiamo provato a fare una costruzione e a verificare se il materiale riferito la confermava. In quel momento l'analista mi dice: "Ah, sa, mi ricordo una frase del padre che la paziente ha menzionato”. La consistenza del sintomo indicava la negazione di quel punto decisivo. L’aspetto interessante del caso infatti è sapere come si è costituito questo sintomo. La vertigine non è davvero il sintomo, perché in effetti lei ha paura di avere le vertigini. Credo che qui si possa distinguere un sintomo 1, che sostiene il sintomo 2: la paura di avere le vertigini. Quando la paziente è infine arrivata all'ultimo analista, il sintomo era l'assenza della paura di avere le vertigini, e questo la terrorizzava, perché la sua paura di avere le vertigini era, se così posso dire, ciò che la sosteneva. È un caso sul quale ho riflettuto da quando mi è stato raccontato. Se si gira a vuoto nei propri pensieri, è perché il sintomo è costituito dal vuoto, dalla vacuità del soggetto, che non ha sostanza, che presenta qualcosa di evanescente e di vertiginoso. La vertigine sta nel retrocedere indefinitamente senza poter afferrare nessuna sostanza. Questo è lo stile di vita della paziente. Se lascerà quell'analista dopo averne già avuti altri tre, continuerà a passare da un analista all’altro, perché non appena in analisi il suo sintomo prende consistenza, lei scappa, rifugge gli analisti, che vede in modo seriale, senza soffermarsi su nessuno, perché non vuole sapere cosa c'è al fondo del problema. Uno di questi psicoanalisti lo ha frequentato per cinque anni, sempre con lo stesso problema, scomparso con la sparizione, con la fuga della paziente stessa. La cosa interessante del caso, ripeto, è lo svanire, non c'è nient’ altro. Porto questo caso clinico come esempio dell'efficacia del malinteso. Alla fin fine è possibile isolare la parola determinante dell'essenza della sua vita e il significante che la guida. L'esperienza analitica consiste in questo. Il padre aveva una tale importanza per lei che avrebbe potuto spianare la strada all'isteria e questo, con la cura, l'avrebbe liberata dal sintomo. C’è un altro ostacolo: il rapporto del padre con il sapere. Ogni volta che la figlia gli faceva una domanda, il padre le dava un libro. La formula del discorso dell’isterica di Lacan indicherebbe che proprio quello era l’ostacolo, senza il quale avrebbe potuto – come l’isterica – riferirsi a un significante padrone per fargli produrre quel sapere in cui era già immersa fino al collo. Sapere troppo Non si devono saturare gli altri di sapere, bisogna usare moderazione, evitare di star troppo addosso impedendo loro di svuotarsi. Questa è la mia preoccupazione: soffocarvi con cinque conferenze nell’arco di due giorni, costringendovi a una indigestione di sapere. Devo fare attenzione per mantenere lo stile colloquiale. Quest'ultima settimana ho avuto il privilegio di incontrare Borges per due ore a casa sua. Non posso dire che mi abbia ascoltato, ma sono stato attento a non fargli domande che riguardassero la psicoanalisi, perché non la tiene particolarmente in considerazione. In ogni caso, la sua conoscenza della materia è precedente alla sua cecità e non mostra di avere alcun riferimento al lavoro del dottor Lacan, che di certo non conosce. Gli ho chiesto del suo rapporto con la letteratura francese e su questo mi ha risposto volentieri. Devo ammettere che c'era un nesso tra le mie domande e le sue opinioni, anche se lui, visibilmente, non conosceva la posizione dell'altro e non poteva rendersene conto. È difficile per un cieco! Ma questo a lui non importa: se il dialogo si sviluppa ragionevolmente bene, a lui piace proseguirlo indefinitamente. Ha cantato un tango, recitato qualche verso di Mallarmé, che per il resto trova di cattivo gusto. Ha avuto qualche parola malevola per Joyce, e ha parlato della sua famiglia. È quel che Lacan chiama il discorso corrente. Gli interlocutori si alternano, dandosi la possibilità di ribadire quel che si presenta come una sorta di discorso interiore, in cui l’ascoltatore è sempre lo stesso. È quindi difficile individualizzare la presenza che lo porta, non essendoci altra possibilità che riprendere sempre lo stesso discorso. Lacan diceva: “Tutti monologano”. È questo a implicare il malinteso: che in definitiva tutti monologano. Solo in psicoanalisi, per il modo in cui si presenta l’altro, abbiamo una piccola chance di monologare in un altro modo. Per essere prudenti e non lodarci, diciamo che si tratta di un evento eccezionale. Di solito si capisce la persona prima che inizi a parlare, e qui sta il malinteso: nella pre-comprensione. Porto su di me un certo numero di significanti grazie ai quali la mia persona può essere individuata; ci si aspetta quindi che io corrisponda alla mia reputazione, non importa se lusinghiera – tipo quel che avete sentito nell'introduzione del mio amico Forbes – o se spaventosa. Aspettarsi che mi comporti in modo conforme a ciò che si presuppone di me dimostra già l'esistenza del malinteso. Devo anche dire che il luogo è decisivo; ecco perché apprezzo questo luogo appartato, dove possiamo respirare liberamente. Lacan non è arrivato in Brasile come parte integrante della cultura francese degli anni Sessanta? A livello internazionale è diventato noto nel momento in cui l'influenza del sartrismo in Francia si stava indebolendo e gli strutturalisti passavano in prima fila. Così hanno creato come un treno, ci hanno messo Lacan dentro e lo hanno mandato in giro, diffondendone il pensiero in gran parte del pianeta, nelle regioni in cui certe cose possono diffondersi. Tutto era immediatamente pre-compreso, come anche Lacan. Si comincia comunque a percepire che il suo caso è diverso dagli altri, perché l’interesse nei suoi confronti dura da molto tempo e, giustamente, in relazione al malinteso. Non fu tuttavia ben visto in tutti i suoi aspetti, non sono riusciti a inquadrarlo né a classificarlo. Ed è molto probabile che il suo discorso in Brasile abbia trovato un punto di applicazione, anche se non so esattamente quale. A volte per collocare Lacan dobbiamo porlo in una rete di opposizioni, quella che riguarda il significante e il cui valore sta nella differenza. Il significante Lacan vale in opposizione al significante Melanie Klein, alla psicoanalisi di gruppo, alla terapia familiare, ai terapeuti che praticano l'azione diretta sul corpo, a tutte le pratiche che coinvolgono lo stato di coscienza, come le droghe, per esempio. È necessaria questa rete di opposizioni per collocare Lacan esattamente come Lacan si colloca in Brasile? La rete di opposizioni verrà costruita o disfatta? Questo è il tipo di domande che intendo farvi, e alle cui risposte sono interessato. È più di un anno che mi occupo del malinteso su Lacan. Ancora Lacan Questo tipo di malinteso non ha nessuna importanza: Lacan era un clinico eccezionale. In occasione della sua morte uno psichiatra, non uno psicoanalista, che aveva conosciuto Lacan quando era un giovane tirocinante, mi raccontava del modo in cui rimase impressionato – e ancora lo era dopo così tanti anni – per la sollecitudine, la precisione, il livello di attenzione con cui Lacan seguiva i suoi insegnanti in ospedale. Non è possibile immaginare che un ciarlatano, come a volte lo si chiama, possa avere praticato la psicoanalisi a Parigi per cinquant’anni, seguendo il maggior numero di pazienti mai affidato a un analista sin dalla nascita della psicoanalisi. Era criticato per le sue sedute brevi, ma è necessario vedere il lato positivo delle cose. Al culmine della sua carriera, lavorava dalle sei e trenta del mattino alle otto e trenta di sera, e non sto esagerando. Con solo una piccola pausa per pranzare e facendo sedute brevi. È possibile quindi avere un'idea di quale poteva essere la sua esperienza. Ce lo immaginiamo un ciarlatano che pratica la psicanalisi per cinquant’anni, che cura tantissimi pazienti, essendo stato inoltre titolare di tutte le società psicoanalitiche di Francia, legate o no all’Internazionale? Non sarebbe più ragionevole attenersi a un’idea di rettitudine e di costanza uniche nel suo genere? Tutto questo mi sembra evidente. Sono preoccupanti i malintesi sul suo insegnamento. Mi interessa quindi rettificare la valutazione che viene fatta di Lacan, perché questo interessa tutti. È stato riassunto, semplificato, come se fosse solo un teorico del significante. Si data l'inizio del tuo insegnamento con la relazione presentata a Roma in un congresso nel settembre 1953 dal titolo Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi. Questo non significa che prima di allora non abbia lavorato, ma quella data segna un taglio, il momento in cui, infatti, inizia a parlare a suo nome, smettendo di essere un post-freudiano e aprendosi a una nuova dimensione. Questa scansione iniziale è servita da guida per tutti i tentativi di comprendere il suo insegnamento. In Lacan c’è molto più di questo. E non è una critica, ma al contrario, egli stesso rettificò e sviluppò la sua organizzazione iniziale. Continuò il suo insegnamento per quasi trent’anni anni, proseguì a lungo con un seminario settimanale, e poi ogni quindici giorni. È necessario trovare la molla propulsiva di quell’insegnamento che lo ha sempre fatto andare avanti. In nessun momento Lacan si è fermato come se avesse detto tutto. Si percepisce chiaramente che deve esserci stata una sorta di sintesi verso cui si è indefinitamente spinto. Questo deve interessarci. Si tratta dare sviluppo alle conseguenze della sua ipotesi di partenza: l'inconscio strutturato come linguaggio, dalla quale proviene tutto. Questa formula l’ho scritta io stesso: tutto l'insegnamento di Lacan è lo sviluppo di questa prima ipotesi. Dopo averla scritta però, ho già voglia di correggerla, perché porterebbe a pensare ad uno sviluppo omogeneo e univoco, mentre in verità il suo insegnamento era fatto di rettifiche costanti, di confronto tra le conseguenze. Ecco il Lacan da affrontare: non il Lacan eterno, non il Lacan teorico che dava risposte in termini che nessuno capiva, ma il Lacan che affrontava i suoi problemi senza nasconderli, che mostrava la sua rabbia e le sue preoccupazioni, per quanto non in modo evidente. Riuscì anche a rendere popolari alcune delle sue espressioni e dei suoi schemi. Per esempio la metafora paterna, essenziale per costituire un mondo normale per il bambino: la metaforizzazione del desiderio della madre attraverso il significante del Nome del Padre. Una costruzione forte e robusta, ma in fondo abbastanza semplice. È essenziale che il padre sia un vero padre, un legislatore. Il fatto che un padre sia identificato con un legislatore, con il Nome del Padre, porta tuttavia tuttavia qualche complicazione. È qualcosa che, in generale, produce un caso di psicosi in famiglia. È la lezione che si può trarre dal caso Schreber, dove un padre educatore della società ha assunto la posizione del Nome del Padre incarnandola con risultati disastrosi. La metafora paterna mostra che è meglio che il padre non si consideri un Padre Eterno, che si allontani da quel significante, e che sappia che non c'è incompatibilità tra matriarcato e Nome del Padre, struttura segreta che ogni famiglia conosce. Anche qui sorgono seri malintesi. I consigli su questo sono diventati una specialità internazionale e un business: "Come educare il proprio figlio”. Ed è straordinario vedere come, man mano che il discorso della scienza si diffonde sul pianeta, i cosiddetti umani siano presi come ignoranti, perché tutto deve essere oggetto di educazione, ed è necessario insegnare tutto. I consigli vengono dati solo alle madri, i padri vengono consigliati molto meno. Meglio, perché così il malinteso non produce tante devastazioni. C'è un tipico esempio di malinteso a proposito dell’opera di Lacan, un bellissimo caso di psicosi presentato nell’Ospedale italiano di Buenos Aires. Si tratta del caso di un padre che aveva preso molto sul serio il Nome del Padre, anche questo è un malinteso. È drammatico il caso di quest’uomo di sessantasei anni che aveva avuto un crollo. Il suo nome di battesimo era pieno di senso, come quello di due dei suoi fratelli: avevano tutti nomi di grandi inventori dell'umanità. Basta questo per dare un'idea di che tipo fosse loro padre. Come Schreber, quest’uomo ha scritto le sue memorie e le ha pubblicate. Se vi interessa cercherò di tornare su questo caso, ma per il momento rimango su ciò che mi sembra essenziale. Lacan non si è fissato sulla posizione dichiarata nel Discorso di Roma. Questa posizione emerge nel suo testo principale, il più diffuso, proprio perché interessava anche molte persone che erano al di fuori della psicoanalisi. Il testo, nato sotto l’influenza del Discorso di Roma, s’intitola L’istanza della lettera, tra l'altro ben noto qui, dove sviluppa la metafora e la metonimia a partire dall'opposizione proposta da Roman Jakobson. Si tratta di figure retoriche conosciute da secoli, che Jakobson mette in relazione tra loro. Lacan ha mostrato come funzionano questi due meccanismi essenziali ne L'interpretazione dei sogni, permettendo di semplificare, di ritradurre, di affrontare il materiale in una maniera più solida, anche se semplice, attraverso piccoli calcoli o formule. In breve, ha consentito di riarticolare ciò che Freud aveva scoperto con la Traumdeutung. Penso che l’incomprensione, il malinteso su Lacan sia ben visibile in quel testo. Non si tratta di criticarlo, ma di studiarlo, come abbiamo fatto di recente a Parigi per un intero anno. Questo testo, d'altra parte, indica un Lacan che non ci basta. Con il Discorso di Roma Lacan ha introdotto la tesi, ancora dominante, dell’inconscio strutturato come linguaggio. Come ho già affermato, questa tesi non deve essere considerata come un’invenzione, perché una volta lanciata diventa la prova del funzionamento dell'inconscio come lo ha costituito Freud. Nell'esperienza analitica non c'è nient’altro che il linguaggio. L'esperienza analitica è costituita da tutti i mezzi di cui l'analista si priva e da tutto ciò a cui rinuncia, come dare una pacca sulle spalle al paziente, far manovre sul suo corpo, dargli una sigaretta di marijuana, occuparsene insieme al papà, alla mamma, ai bambini. La psicoanalisi non accetta la terapia familiare: è una terapia familiare. Tutta la famiglia è presente come significante, è ancora più presente che se il paziente portasse in terapia la sua intera casa. La funzione e il campo della parola e del linguaggio sono quel che rimane quando si toglie quasi tutto. La proposta di Lacan deve quindi essere presa come prova, anche se ci sono molte altre cose. Nessuno è obbligato ad analizzarsi, tanti preferiscono camminare sulla spiaggia. Per fortuna in Brasile questo si può fare, non è necessaria, come negli Stati Uniti, una terapia speciale per fare una passeggiata sulla spiaggia. È possibile che la manipolazione del corpo dia risultati sul piano della posizione soggettiva. Perché no? Queste terapie, tuttavia, appaiono e scompaiono seguendo le mode, mentre la psicoanalisi resiste. C'è una teoria psicoanalitica di Lacan che ha preceduto l’instaurazione in primo piano del significante e del linguaggio: quella che fa dell'immaginario la dimensione essenziale della psiche. La tesi che vale come prova non è quindi l'inizio di ciò che ha detto e su cui ha riflettuto Lacan. Lo stadio dello specchio Non ho intenzione di ripercorrere la storia del pensiero di Lacan, ma voglio fare qualche commento sull'inizio della sua relazione sullo stadio dello specchio, che incontrò delle resistenze. Lacan ha fatto il suo ingresso nella psicoanalisi presentando un’osservazione al Congresso di Marienbad nel 1936. In quel momento Ernest Jones gli impedì di continuare a parlare, sostenendo che i dieci minuti a sua disposizione erano scaduti. Lacan ha sempre avuto, fino alla fine, un certo risentimento nei confronti di Jones, il cui intervento fu davvero un peccato, perché impedì a Lacan di concludere il suo discorso e Freud, che avrebbe potuto venirne a conoscenza, non lo potè invece mai leggere. Ecco un esempio di incontri mancati. A partire dalla concettualizzazione de Lo stadio dello specchio, Lacan ha fatto altre esperienze molto importanti. Ha partecipato al primo seminario in Francia su Hegel, tenuto da Alexandre Kojeve. Insieme a lui, fra altri, hanno partecipato Raymond Aron e Raymond Queneau., Questo seminario fu, di fatto, un momento importante nella storia degli intellettuali francesi. Hegel: Lo stadio dello specchio e oltre A quell’epoca Hegel era assolutamente proscritto: l'università non ammetteva corsi su di lui. Solo a partire dal 1940 – su iniziativa di Merleau-Ponty, Sartre e Hyppolite – Hegel divenne un autore riconosciuto dai filosofi accademici francesi. Lo stadio dello specchio non è certamente un’esperienza pura, e se Lacan ha avuto la sensibilità necessaria per teorizzarla è perché aveva già presente in testa lo schema hegeliano di padrone e schiavo. Lo stadio dello specchio solo apparentemente è un’esperienza, anche se in effetti è un fenomeno empirico, perché è un paradigma del padrone e dello schiavo, dove immediatamente l’io è posto nella posizione di padrone parassita. Non si tratta, tuttavia, di ricostruire ora la storia: interessante è la teoria che Lacan ne ricavò, affermando che l’essenziale in psicoanalisi è la funzione delle identificazioni. Questa è la sua teoria, prima di evidenziare la funzione del significante. Il soggetto per tutta la vita è catturato dalle immagini con cui successivamente si identifica, e quindi il suo io è, come dice Freud in uno dei suoi testi, una sorta di bazar, costituito da identificazioni che possono essere tra loro contraddittorie. I momenti essenziali della vita sono scanditi dal passaggio da un'identificazione all'altra, facendo supporre che l'immagine ha effetti reali. La prova, secondo Lacan, è nell’etologia animale, che dimostra chiaramente la reale efficacia dell'immagine. Negli Scritti è possibile trovare riferimenti alla colomba, all’aragosta e ad altri animali. In fondo, possiamo ammetterlo, questa teoria ha una sua consistenza, anche se sappiamo bene qual è l'ostacolo che incontra: non tutte le identificazioni sono equivalenti. All’uscita dal complesso di Edipo, per il soggetto si presenta una nuova identificazione che permette di costituire il proprio mondo in un modo stabile, e di tenere una buona relazione con gli oggetti. Dov'è la differenza tra queste identificazioni? Perché la seconda ha questo merito? Come si formula la presenza dell’immagine nell’inconscio? Una cosa è trarre esempi dall’etologia animale, senza la necessità di avere un'ipotesi sull’inconscio, dove siamo in presenza di fatti che hanno carattere di automatismo osservabili anche in alcune specie di pesci: i congeneri si riconoscono, c'è una relazione tra i sessi, e il rapporto tra maschio e femmina deriva da una formula. In questo caso può presentarsi la simulazione, e tutto può svilupparsi bene, basta individuare i tratti pertinenti. Qui c’è rapporto sessuale come lo intende Lacan, non le relazioni sessuali, ma il rapporto come una formula che, secondo la tesi di Lacan, non esiste nella nostra specie animale. Ho visto, se non sbaglio, il volume di Desmond Morris sul tavolo della casa di Forbes. Quell’etologo si era già dimostrato saggio in un’altra occasione, prima di iniziare a fare cose rivolte al grande pubblico, come La scimmia nuda. Si è sempre molto divertito a confrontare la specie umana con la specie animale, e ha cercato di scrivere trattati sul comportamento umano assumendo come modello il comportamento animale. Ma è proprio nel tema del sesso che si evidenzia l’ostacolo. Per quanto riguarda la sessualità non è possibile isolare i tratti pertinenti di ciascuna specie. Non si può dire che l'uomo desideri la donna alle stesse condizioni in cui si desiderano gli animali. Ecco perché tutti cercano segreti, si appassionano al problema, ma non è possibile chiedere a ciascuno, e rivelare ogni caso individualmente. L'unico tratto pertinente al genere umano individuato fino ad ora è la dilatazione della pupilla: esperienze dettagliate di alcuni psicologi avrebbero dimostrato che l'uomo, in generale, considera più erotica la donna la cui pupilla è dilatata. Perché non tutte le identificazioni sono equivalenti e non sussistono nell'inconscio come immagini? L’inconscio ha le orecchie, ed è qui che la questione si complica per via del malinteso. D'altra parte anche nel detestabile schema della seconda topica di Freud – criticata da Lacan a Caracas nel suo ultimo seminario pubblico – troviamo delle specie di piccole orecchie. Freud segnalava che il Super-io è formato da residui auditivi. L'inconscio ha orecchie e non ha occhi, anche se non ascolta i consigli, e per questa ragione esiste la psicoanalisi. Lacan, un tempo, per rendere l’idea della sussistenza dell'immagine nell'inconscio, usava il termine imago. Questo tuttavia non si è rivelato molto vantaggioso. La parola era ambigua, stava tra l’immagine reale e l’immagine sussistente nell’inconscio. Ho già mostrato come introducendo la funzione simbolica i domini si separano: da un lato abbiamo l'immaginario – che riguarda effettivamente l’ordine dell’immagine – dall'altro, il simbolico – che è relativo alll’inscrizione significante. Partendo da qui è possibile distinguere identificazioni immaginarie sempre più aggressive, come nello stadio dello specchio – l’altro con cui mi identifico sono io stesso – strutturate sull’alternativa: “O l'altro o me". Sono identificazioni guerriere, che non portano né stabilità né pace. In secondo luogo ci sono le identificazioni simboliche, che riposano sulla mediazione della parola e che operano in modo totalmente diverso. È così che nasce il simbolico in Lacan, per risolvere la guerra immaginaria implicata nel narcisismo. A questo punto inizia a svilupparsi un vero e proprio romanzo, e un taglio nell'insegnamento di Lacan, che lui stesso sottolinea, ma di cui nessuno si è mai accorto. Evoluzione nell’insegnamento di Lacan È quel che dice in un testo, poco commentato, che compare negli Scritti, e che integra il Discorso di Roma. Usa qui frasi singolari, perché accanto all'ampio Discorso del 1953, dove introduce la funzione e il campo della parola e del linguaggio, quel testo sembra di poco valore. In appena una decina di pagine formula alcuni concetti espressi ne Il Seminario 11. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Nessuno immagina che questo breve testo abbia lo scopo di riequilibrare il primo: vedo proprio qui l'inizio della rettifica in Lacan, quando la funzione dell'oggetto in psicoanalisi assume un posto essenziale nella sua teoria. Alla base del suo discorso, per dieci anni – e continua ad essere relativamente popolare – l'accento era posto sul desiderio, sul desiderio in opposizione alla domanda. A un certo punto, come vi ho detto, l’accento si sposta su qualcos'altro che non ha la stessa legge di funzionamento, vale a dire il godimento. Non ci si è accorti di come Lacan avesse cambiato la punteggiatura tra desiderio e godimento, in un modo che lo ha portato a rielaborare la questione del godimento femminile, rimasto un'incognita per Freud e per molti psicoanalisti fin dai dibattiti degli anni '20 e ’30. La questione del desiderio ha tormentato a lungo Lacan, e sarebbe riduttivo cercarne una definizione in qualche sua pagina e dire: "Per Lacan il desiderio è…”. Non è così che si legge Lacan. È necessario sapere che spostandosi da un luogo all’altro ha tentato di delimitare qualcosa. Questo desiderio non esisteva da sempre, al contrario, essendo definito da lui, è un concetto creato, che per di più comporta alcune difficoltà, che profila più o meno bene i fatti clinici. Questi concetti si trasformano man mano in modo molto sottile. È anche necessario far attenzione ai punti di rottura che può inserire nelle proprie idee. Tutto questo è negli Scritti: è un libro molto più voluminoso di quanto sembri, come se fosse una biblioteca in un unico libro, con trasformazioni estremamente sottili e minuziose. Devo aggiungere ancora qualcosa prima di darvi la possibilità di dire la vostra. Sono d’accordo di affrontare ora con voi la questione del significante, che è ben più complicata di quanto sarebbe se fosse solo un fonema o una parola, e che presuppone la riduzione dell'interpretazione analitica a un gioco di parole. Si può pensare sia così leggendo L’istanza della lettera, e senza dubbio è una dimensione presente nell’interpretazione analitica. Maneggiare il significante è però più complesso che far giochi di parole. Lacan introduce il significante all'inizio come funzione di mediazione essenziale, che è un modo piuttosto ottimista di concepirlo. Prendiamo come esempio di parola mediatrice, di parola piena, la famosa frase: "Tu sei la mia donna”. Per determinarmi come marito devo prima dare all'altro la sua identità, da cui viene poi la mia. Meraviglioso! Il Lacan successivo avrebbe tuttavia sorriso di fronte a questo esempio, che sembra inscrivere il rapporto sessuale sul piano del simbolico. La religione dice la stessa cosa: usa l'assenza di rapporto sessuale e la sfrutta per proporre al suo posto un suo surrogato, a condizione di effettuare alcune operazioni simboliche ritualizzate. La differenza dei sessi può essere colmata con parole mediatrici? Il Lacan degli anni Settanta – il Lacan che finì per dire che l’uomo e la donna, nella specie umana, sono due razze diverse, soprattutto le donne, che sono lì per incarnare l'Altro per gli uomini – si sarebbe preso gioco del Lacan degli anni Cinquanta. Quel Lacan non avrebbe più potuto promuovere il: "Sei la mia donna" come risoluzione mediatrice di un razzismo strutturale. Continuerò in questo senso domani, partendo dal desiderio in Lacan e dalle sue trasformazioni. Dibattito P: La mia domanda riguarda qualcosa di curioso: ho sempre pensato ci fosse una grande differenza tra Freud e Lacan. Quest’ultimo, parlando in termini cronologici, avrebbe forse lavorato come clinico più a lungo di Freud. Noto, come grande differenza tra i due, il fatto che Freud ha scritto i suoi famosi cinque casi clinici – che non hanno tutti lo stesso statuto, perché Freud non ha analizzato direttamente Schreber, né il piccolo Hans, della cui analisi ha semplicemente pubblicato il resoconto – e che Lacan non ha pubblicato casi clinici. C'è qualche spiegazione per questo? J.-A.M.: Sarebbe formidabile se Lacan lo avesse fatto! A parte la pubblicazione di un interessante caso psichiatrico nella sua tesi, discussa nel 1932 – all’epoca era psichiatra – dopo questo si è dedicato alla psicoanalisi e in effetti non ha scritto casi clinici. Nel caso della tesi si trattava di una paziente che aveva scritto sui suoi deliri. Lacan si era trovato davanti allo stesso tipo di materiale che Freud aveva avuto in mano in relazione a Schreber. Spesso, abbiamo un'idea un po' semplificata di cosa sia un caso. Lo vediamo come il romanzo di una vita: inizio, sviluppo, ed eventuale risoluzione. In psicoanalisi c'è ancora un'altra dimensione che, essendo etiologica, è quella che la regola. In senso psicoanalitico le formazioni dell'inconscio possono provocare dei casi. Noi stiamo parlando ora dei cinque casi clinici di Freud, però anche quelli che troviamo in Psicopatologia della vita quotidiana o ne L’interpretazione dei sogni sono casi, sono cose che accadono nella vita. Dobbiamo ampliare il nostro concetto di caso, e includere i lapsus, gli atti mancati. Lacan ha considerato e analizzato questo genere di frammenti. Negli Scritti ce n’è un bell'esempio nel testo La direzione della cura. Considerare questo aspetto è importante per essere in grado di concettualizzare cos'è un caso. C'è stata invece nella psicoanalisi una crisi del racconto dei casi. Forse questa pratica del racconto di casi è appartenuta a un certo periodo, ed è continuata fino a quando non ci si è resi conto che un caso psicoanalitico è sempre il caso dell'analista stesso. Freud riprende il caso Dora per dire: "Ho sbagliato a credere…". Si era sbagliato su cosa? Ha assunto che il signor K prima, e poi lui stesso, avrebbero dovuto esercitare un’appassionata attrazione su Dora. Credeva nel rapporto sessuale, nella formula sessuale: la giovane con il giovane, la donna con l'uomo. Si sbagliava, perché a Dora interessava la donna, per quanto fosse isterica. L'isterica testimonia a sfavore del rapporto sessuale. Lei è interessata a un rapporto essenziale con La donna, attraverso il quale fa barcollare gli uomini, o almeno ci prova. Il caso di Dora, esposto da Freud, diventa il caso di Freud. L’interpretazione dei sogni e la Psicopatologia della vita quotidiana ci hanno permesso di scrivere il caso di Freud. Una cosa è veramente indicativa: sebbene lo psicoanalista si rifiuti di pubblicare casi perché sa di esporsi, e questa paura spiega in gran parte la sua astensione, la clinica psicoanalitica si basa sulla traslazione, e nessun altro ha elaborato e rielaborato questo tema più di Lacan. Tutte le sue innovazioni teoriche hanno conseguenze o sono state sviluppate contemporaneamente alla teoria della traslazione. Nei testi di Freud, è impressionante quanto la loro ricchezza vada al di là del suo sapere. Testi simili richiedono la scrittura, in modo tale che questa diventi interminabile. Freud ci ha regalato i miti del secolo XX: il piccolo Hans, il presidente Schreber, l'Uomo dei lupi, l'Uomo dei topi. Sono la nostra Odissea, la nostra Iliade. Giungono a fornire espressioni come: Achille piè veloce. Lacan non ha fatto come Freud, la cui rotta si era ormai esaurita. Sulla rivista Ornicar? volevamo aprire una sezione sulle formazioni dell'inconscio, con brevi frammenti. È molto difficile ottenere contributi, tenendo conto poi che io stesso non ho ancora contribuito. Nell’Ecole de la cause freudienne oggi ci chiedono se sarebbe possibile ritrovare la grande vena classica. Questa è anche stata la preoccupazione che ha ispirato il tema dell'incontro di febbraio approvato da Lacan: La clinica psicoanalitica, casi e formazione dell'inconscio, ipotizzando di poter presentare casi attuali o di riprendere casi classici. È attraverso questo scambio clinico che potremmo essere più utili gli uni agli altri. E risolveremmo anche il problema della discrezione, che a volte impedisce di pubblicare i casi nel proprio paese d’origine. Queste sono alcune delle considerazioni essenziali che ho fatto l'anno scorso su ciò che turba lo psicoanalista: che il paziente vada a leggere la propria storia pubblicata. Senza dubbio l'Uomo dei Lupi era felice di leggere il proprio caso, di sapere di esistere ma, in realtà, questo non gli ha fatto bene. P: La mia domanda è clinica. La formula lacaniana della psicosi attraverso la preclusione, la Verwerfung, viene postulata come funzione dell'inconscio diversa dalla rimozione. Come si possono comprendere le funzioni metonimica e metaforica dell'oggetto a senza esempi di casi clinici? J.-A.M: Si può, senza l’ausilio di dettagli di nuovi casi clinici. Lacan ha ripreso quanto scoperto da Freud. Non si identificava con lui, né credeva di aver inventato la psicoanalisi. In un movimento di rilettura e di critica, ha estratto quel che poteva trasmettere e la logica del suo insegnamento. Scherzando ha detto di aver fatto dell'insegnamento di Freud un giardino alla francese. Non dobbiamo dimenticare che Lacan ha ripreso un'enorme quantità di letteratura psicoanalitica per dimostrare i suoi concetti. Non essendo stato il pioniere della psicoanalisi, è emerso nel momento esatto in cui si concludeva l'opera di Freud. Non ha lavorato solo sull'insegnamento, ma anche su quel che succedeva all’epoca di Freud e intorno a lui, cercando di definire il punto di applicazione dei concetti psicoanalitici su Dora, sull’Uomo dei topi, sull’Uomo dei lupi, su Schreber, sul piccolo Hans, ciascuno dei cinque casi clinici. Il caso Schreber fu oggetto di un anno di lavoro che gli permise di estrarre, seguendo attentamente il testo, le caratteristiche che clinicamente gli erano sembrate essenziali. Lacan fu il primo in Francia a interessarsi a Melanie Klein, a tradurre Winnicott nel 1955, a divulgare Balint, e ha sempre apprezzato la critica di Franz Alexander. La sua opera si avvale di casi classici che tutti conoscono, che tutti hanno analizzato, e non si può dire che siano casi inventati dallo psicanalista stesso per attagliarvi la sua tesi: per questo sono ancora più utili come prova. Per quanto riguarda la differenza tra preclusione, rimozione e la posizione dell'oggetto a rispetto alla metafora e alla metonimia, cercherò di elaborare risposte più dettagliate. Quando Lacan articola metafora e metonimia ne L’istanza della lettera non ha ancora inventato l'oggetto a. È vero che Freud ha messo l’accento in modo deciso sulla castrazione solo negli anni Venti, e gran parte del lavoro di Lacan è consistito nel riprendere i temi precedenti di Freud riordinandoli a partire dal problema della castrazione: Lacan ha fatto una lettura retroattiva. Bisogna fare attenzione ai fatti che possono emergere solo a partire dalle categorie estratte da Lacan come: soggetto barrato, oggetto a, significante 1, significante 2. Sono i termini che gli hanno permesso di strutturare i quattro discorsi. Non è evidente che tali categorie possano riguardare la psicosi. Ricordo di avergli chiesto, durante la Sezione clinica – il dialogo è anche pubblicato in un numero di Ornicar? – se queste categorie fossero applicabili alla psicosi. Con sorpresa generale, rispose di sì. Gli fu chiesto poi di dirci qualcosa di più su questo, e lui rispose: “La prossima volta" e non tornò più sulla questione. È stato molto gentile da parte sua non aver risposto, perché abbiamo tentato noi di rispondere a quella domanda per tutto l'anno di lavoro nella Sezione clinica, cercando di isolare anche la funzione di oggetto a nella psicosi, in particolare nel caso del presidente Schreber. Quando parlava di psicosi Lacan metteva in evidenza, nel testo del Presidente Schreber, la funzione dell'oggetto a, sebbene non gli avesse ancora dato un nome. Questa funzione si manifesta quando il presidente Schreiber si lascia andare, il momento critico in cui viene lasciato cadere. Lacan caratterizza così l'oggetto a in una delle sue frasi: è l'oggetto che cade dall'articolazione simbolica, è l'oggetto che se ne stacca. Uno dei momenti cruciali del delirio di Schreber è quando il Presidente si trova a essere un oggetto che cade dalla parola divina e che da essa si separa. È più di un'identificazione con l’oggetto: egli è il proprio oggetto lasciato cadere. Qui è stato situato l'oggetto a, chiarendo una serie di domande, compreso quella sul godimento del Presidente Schreber. Schreber sta lì, nella mortificazione e nella sofferenza, ma al tempo stesso nel godimento: nuota nel godimento quando è vestito da donna, lo specchio riflette, per lui, la donna essenziale, la donna di Dio. Lacan diceva che La donna non esiste, se non nella psicosi. La donna Schreber esiste. P: A noi interessa sapere come si può trasmettere la psicoanalisi, considerando che il discorso di Lacan ci ha insegnato la differenza e non l'analogia. Se prendiamo i casi clinici come esempi, mi sembra che stiamo ancora pensando in modo analogico. D'altra parte ci troviamo a insegnare la psicoanalisi a molte persone. Come si possono comprendere i mathemi al di fuori di un pensiero analogico? J.-A.M: Non ho ben capito cosa intende lei per analogia. Può precisarlo? P: Per analogia intendo un ragionamento che parte da un punto di riferimento fisso, un riferimento considerato assoluto. Mentre la metafora sarebbe uno slittamento, una sostituzione e un continuo movimento diacronico. In Funzione e campo della parola e del linguaggio Lacan dice che l'analogia non è una metafora. J.-A.M.: Non esiste analogia nell'esperienza analitica. In essa, ogni referente è sospeso. Freud ha cercato di verificare atteggiamenti e detti dei suoi pazienti. L'unico parametro di riferimento è il discorso stesso, senza che ci occupiamo dei principi di analogia. Può avere, tutt’al più la consistenza del significante, e ciò che ha un ruolo di riferimento sono la logica e la topologia del significante. Per chi ha spirito empirista, questo non basta. Ma cosa mostra l'esperienza della psicoanalisi? Che le persone non sanno quel che dicono: ripetere loro una parola importante che hanno appena detto, può avere su di loro un effetto straordinario. Lacan è partito da questo: cosa deve essere il linguaggio? Cosa deve essere il soggetto perché le persone non sappiano quel che dicono? Ha utilizzato grandi riferimenti e si si è dedicato ai casi clinici di Freud, già teorizzati dall'autore, facendone una nuova lettura. È una prova ben più rilevante che non portare un caso per sostenere la propria tesi, e dimostrare che i casi stessi di Freud la sostengono. I casi di Freud fanno parte ancora della scrittura classica, sono gli ultimi romanzi del XIX secolo. Noi siamo post-joyceani, veniamo dopo James Joyce, al quale Lacan ha dedicato un seminario, e non possiamo più raccontare le storie come venivano raccontate prima. Traduzione di Micol Martinez
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