![]() Presentazione del Seminario VI al Convegno che ha avuto luogo il 26 maggio 2013 a Parigi presso la Maison de la Mutualité di Jacques-Alain Miller Nell'edizione che mi sono procurato, questo libro ha seicento pagine ed è diviso in ventiquattro capitoli. Il suo spessore rende difficile riassumerlo, tanto più che il valore sta in un’analisi dei dettagli. Questo libro inoltre, come altri libri del seminario, non è un trattato. Non è l’esposizione di un progetto compiuto. Non è un testo dove la fine sia contemporanea all’inizio. È un testo che richiede una lettura fatta alla luce del suo tessuto temporale, e questo è formato da una presa di parola che si sussegue settimanalmente per un intero anno accademico. Ci sono dunque, da una lezione all’altra, avanzamenti, correzioni, cambiamenti di prospettiva che di volta in volta devono essere riconosciuti, registrati, precisati. E ci sono formule di Lacan che appaiono a volte nette, definitive, e tuttavia non saranno più riprese da lui né in un seminario né in uno scritto. Chi legge deve quindi sapere ogni volta se ha sotto gli occhi una pepita, un termine che vale la pena di raccogliere e di diffondere, di sviluppare, o se, al contrario, si tratta di un elemento marginale, di uno scivolamento che viene poi corretto. Sfogliando di nuovo, ancora una volta, questo seminario, questa volta in forma di libro, mi sono reso conto di come la questione potrebbe presentarsi per molte frasi, anche per molte parole. Quando Lacan definisce qua o là un termine in modo che rimarrà unico, dobbiamo porvi l’accento nella nostra riflessione? Si tratta di qualcosa da riprendere, perché Lacan sta rivelando un aspetto trascurato, o si tratta piuttosto di uno scivolamento, di una deriva che varrà poi corretta? L'esercizio di lettura di un seminario, per chi lo legge, per chi lo redige – avendolo redatto lo sto anche di nuovo leggendo – è sapere che di volta in volta la prospettiva si trasforma, si sposta e che vengono fatte delle correzioni, di solito in modo implicito. In questa massa di significanti tirerò allora un un filo, uno solo. È un filo che, all’inizio del seminario, è molto sottile. All'inizio del seminario questo filo è perso in un groviglio, ma man mano che l’elaborazione procede, questo filo s’ispessisce, e alla fine diventa una corda che non possiamo più non vedere. Nessuno può ignorarla. Questo filo è quello del fantasma. Il seminario s’intitola “Il desiderio e la sua interpretazione” e in effetti si avvia con la questione dell'interpretazione del desiderio. Poi man mano che procede, il seminario si rivela diverso. Si trasforma continuamente. Come si vede accadere nelle figure topologiche, cambia forma senza lacerazioni. E alla fine presenta una configurazione sensibilmente diversa, anche molto diversa da quel che era all'inizio. Non si conoscono libri del genere. Comunque per il momento non ne vedo comparabili. Ce ne sono altri comparabili nel seminario di Lacan, ma questo è tuttavia una sorta di libro del tutto speciale. Per andare rapidamente direi che questo seminario contiene, elabora la prima logica del fantasma costruita da Lacan. Più avanti ci sarà il Seminario XIV, che avrà come titolo “La logica del fantasma”. Questa seconda logica del fantasma, quella vera se si vuole, sarà affiancata all’articolo di Lacan che, devo presumere, è stato studiato da molti qui, intitolato "Posizione dell’inconscio”, che Lacan ha commentato nel Seminario XI, “I quattro concetti fondamentali”, a partire dalla coppia di alienazione e separazione. In una nota nell’edizione degli Scritti, Lacan segnala che questo scritto, "Posizione dell'inconscio " è il complemento e quasi la nuova partenza di ciò che aveva aperto con il suo testo inaugurale "Funzione e campo della parola e del linguaggio”. Già a suo tempo mi ero interrogato sul particolare valore che Lacan dava a questo testo, redatto al tempo in cui teneva il Seminario XI, e che ha incluso nei suoi commenti durante questo seminario.
Il Seminario VI, come prima logica del fantasma, rimane nel filo di "Funzione e campo della parola e del linguaggio”, e progressivamente si incentra sulla formula che Lacan dà del fantasma: $◇a. Si scrive S maiuscola con una barra, poi quel che chiamiamo punzone, che è una losanga, e per finire “a”, che è una “a” minuscola in corsivo. Possiamo subito affiancare la parola fantasma con un aggettivo che compare essenzialmente nel capitolo XX, a pagina 434, l’aggettivo "fondamentale". Questa espressione, quando Lacan la proferisce nel capitolo XX, è già apparsa nella sua scrittura, in particolare nel testo esattamente precedente il Seminario VI, ovvero "La direzione della cura." "La direzione della cura" è un rapporto pubblicato nel luglio del ’58, e Lacan inizia il Seminario VI nel novembre dello stesso anno. Il Seminario VI prolunga quindi il tema di "La direzione della cura." Prolunga in particolare la conclusione del testo, che verte specificamente sull'interpretazione del desiderio. Il Seminario VI si inaugura dunque seguendo questo filo. Quel che viene affermato alla fine dello scritto è problematizzato all'inizio del Seminario VI, che lo riprende. Lacan conclude il suo articolo e, seguendo lo stesso filo, riapre la questione e la sposta. In "La direzione della cura" si trova già due volte l'espressione “fantasma fondamentale” che in questo scritto non è ancora usato in modo preciso. Lo si trova usato con precisione solo nel Seminario VI. L’espressione "fantasma fondamentale" mi è sembrato meritasse di essere posta come titolo del capitolo XX e il fantasma fondamentale si dice solo al singolare. In Lacan il termine non circola nella forma “fantasmi fondamentali”, e quando appare nel suo discorso è messo al singolare. In cosa è fondamentale? È una domanda che già una volta mi sono posto, e che ci eravamo posti in una ristretta cerchia, e non avevamo a disposizione un testo in quel momento che ci permettesse di determinare il valore di questo aggettivo “fondamentale”. In cosa è fondamentale? Penso che ora siamo in grado di fornire la risposta: lo è nella misura in cui è minimo, vale a dire che si scrive con i due termini della formula e consiste nella relazione a doppio ingresso che collega i due termini. Questa relazione è a doppio ingresso, perché può essere letta in un senso e nell’altro. I due termini e la relazione a doppio ingresso che li collega si suppone diano la struttura minima del fantasma. Mi sembra si possa dire che è una struttura minima del fantasma nel senso che Lacan successivamente darà alla struttura minima della catena significante, scrivendo S1–S2. L’accostamento tra queste due strutture minime è a maggior ragione giustificato in quanto più tardi Lacan le raggrupperà, le articolerà nella formula del discorso del padrone, punto di partenza, trama di fondo del quartetto dei discorsi. Ancora prima della scrittura memorabile del discorso del padrone si trova già, a partire dal Seminario XI, l’accostamento di queste due coppie di termini minimi. Nella stessa pagina 434, Lacan presenta questa formula minima come la vera forma della pretesa relazione d’oggetto, e qui non è una ricorrenza unica, non è detto una volta, ma ritorna più volte durante il seminario. La vera e propria relazione d’oggetto che ha costituito il tema del Seminario IV di Lacan, la vera relazione d’oggetto si trova sul piano del fantasma. Non dovremmo accettare quest’affermazione come se andasse da sé. Significa, secondo Lacan, che la relazione d’oggetto non si situa sul piano della pulsione. Perché? Perché in fondo, in questa fase, in Lacan, mi sembra, non c’è un oggetto pulsione propriamente detto. Il fatto è che in questa fase nell’elaborazione di Lacan la pulsione ha lo statuto di una domanda, e di una domanda che è tanto più imperativa in quanto è inconscia. Come domanda non è collegata a degli oggetti, ma a dei significanti. Ci sono a volte alcune variazioni su questo punto da parte di Lacan, ma credo di poter dire che la pulsione nel Seminario VI, come in "La direzione della cura”, designa un rapporto inconscio con il significante e non con l’oggetto. Il rapporto con l'oggetto non si situa sul piano della pulsione ma su quello del desiderio, e grazie all’intermediario del fantasma. Così, nel grafo, Lacan fa della pulsione il vocabolario, o più precisamente il codice – è il termine che utilizza all’epoca – della domanda inconscia, scritta $ ◇ D, mentre il fantasma è scritto $ ◇ a, dove “a” è l'oggetto. Detto altrimenti e curiosamente per coloro che seguono l’insieme dell’insegnamento di Lacan e a volte vi sono entrati a partire dal suo ultimo insegnamento, con la pulsione così com’è quando si legge il Seminario VI, non si esce dal significante. Solo tramite il desiderio si ha un rapporto con l’oggetto, e passando per il fantasma. In certo qual modo penso che finché Lacan ammetterà solo oggetti immaginari, ci sarà oggetto in senso proprio solo nel fantasma. Si volta pagina solo alla fine del Seminario VI. E appena voltata pagina Lacan mette da parte il grafo a due piani che presuppone questo divario tra la pulsione e il fantasma. Finché Lacan ammetterà solo oggetti immaginari, finché ammetterà solo oggetti provenienti dalla fase dello specchio, finché ammetterà solo oggetti provenienti dall'immagine dell’altro, vale a dire dall'immagine del corpo proprio, l'oggetto è quello del fantasma. La difficoltà quindi per coloro che leggeranno il Seminario VI essendosi formati sull’insegnamento successivo di Lacan, è mettersi in posizione di leggere e di studiare a partire dall’idea che questo seminario è elaborato in base al divario tra pulsione e fantasma, e un divario tale che il fantasma eclissa la pulsione. Solo alla fine Lacan dà una sorta di colpo di timone, con un movimento improvviso che si verifica nel capitolo ventidue. Nel filo che si tesse si comincia a vedere la pulsione riprendere i propri diritti e l’evocazione di uno statuto dell'oggetto che sia reale, dell'oggetto come reale. Questo statuto rimarrà così incerto che anche nel Seminario XIV “La logica del fantasma”, o forse ne “L'oggetto della psicoanalisi”, non ho avuto tempo di controllare, Lacan sorprenderà il suo pubblico dicendo che lo statuto dell'oggetto è uno statuto reale, e questo, se si vuole, compare già in alcune righe del Seminario VI. Questo cambiamento in fondo è tale da non essere stato registrato dal pubblico, e Lacan stesso per anni non ha consolidato la sua concezione dell’oggetto, che è rimasto radicato nell’immaginario, e precisamente nella relazione speculare, nello stadio dello specchio, nella relazione tra l’io e l’altro minuscolo. Quel che si può notare di questo cambiamento è che sarà dispiegato e sancito solo alcuni anni dopo. Evidentemente vi sto riportando in un'altra epoca, vale a dire al fondamento stesso dei discorsi che facciamo. Non so se esagero dicendo che, considerando per esempio il nostro Convegno, il termine “fantasma”, che avrebbe potuto essere evocato in molte presentazioni cliniche, si potrebbe pensare che al contrario è quasi caduto in disuso. Ciò significa che non dobbiamo leggere questo seminario solo come testimonianza di un'epoca passata, e occorre forse ritrovarvi alcuni dei fondamenti della nostra pratica. Vi troveremmo di che ridar colore o precisione alle nostre presentazioni cliniche di oggi. Stando a quel che ho sentito nei dibattiti che hanno avuto luogo sul genere di soggetti e sulle loro aspirazioni al cambiamento – dove François Ansermet notava giustamente che in fondo vi è certezza, e in effetti ci sono, se posso riprendere il titolo di un romanzo, cinquanta sfumature di certezza – per specificare queste sfumature riferirsi al fantasma sarebbe molto utile e renderebbe più precise le nostre costruzioni. Sarà con un movimento a rovescio che, più tardi, la pulsione ritroverà il proprio posto e si aggiungerà al fantasma, che l'oggetto verrà riconosciuto come appartenente al registro del reale e che, nell'ultimo insegnamento di Lacan, fantasma e pulsione saranno combinati nel sinthome inteso come modo di godere. Detto altrimenti, il balletto che vi sto abbozzando tra fantasma e pulsione ha un grande futuro nell’insegnamento di Lacan, fino al punto in cui i due termini si trovano combinati nell'uso che Lacan fa del termine di sinthome. Così, quando si è introdotti all’ultimo insegnamento di Lacan, ci vuole uno sforzo per accomodare la vista sul Seminario VI e per poter apprendere a partire dalla prospettiva che propone sull'esperienza del desiderio. “L'esperienza del desiderio” è un’espressione che Lacan utilizza nel seminario. Per non lasciarla nel vago vi do un esempio lampante. L’esempio sarebbe il modo in cui il soggetto ricorre al fantasma quando ha a che fare con l'opacità del desiderio dell’Altro maiuscolo, dove questa opacità, questa illeggibilità ha come effetto la Hilflosigkeit freudiana, la disperazione del soggetto. È lì che il soggetto ricorre al fantasma come difesa. Nel seminario di Lacan è detto solo una volta, ma una volta di cui occorre tenere conto. Il soggetto ricorre al fantasma come una difesa, vale a dire, attinge alle risorse della fase dello specchio che offre una serie di posture, dal trionfo alla sottomissione, ed è allora, dice Lacan a pagina 29, che il soggetto si difende con il proprio io. È un’esperienza simile che permette di parlare di uso del fantasma, che abbiamo poi ripreso. Bisogna vedere che questo ha radici proprio in questo punto: l'uso del fantasma come difesa di fronte all’opacità dell’Altro, e questa esperienza permette di parlare di uso del fantasma perché, per dirlo propriamente, è strumentalizzato per ripararsi dalla disperazione. Quel che Lacan in questo seminario chiama esperienza del trauma rimane segnato dal ricorso al fantasma. Christiane Alberti e Marie-Hélène Brousse, nei documenti diffusi in preparazione delle prossime giornate dell’ECF sul tema del trauma, hanno dato i riferimenti al trauma presenti nel Seminario VI. Poiché in questo momento ho il seminario sul mio computer, con tutti i capitoli uniti, ho avuto solo bisogno d’inserire nel computer la parola “trauma” e ho sono stato in grado di fornire loro tutte le ricorrenze. Possiamo dunque contare sul fatto che, essendoci abbastanza tempo da oggi alle giornate dell’ECF, chi parteciperà avrà il tempo di leggere il Seminario VI, senza omettere, trattandosi del trauma, di dare un posto adeguato all’uso del fantasma, e in particolare all'uso del fantasma come difesa. Mi è stato detto che le cinquecento copie portate qui come primizia, poiché non sono disponibili ancora in nessuna libreria in Francia, sono state vendute tutte. Possiamo aspettarci che l'interesse per le costruzioni di Lacan delle epoche precedenti sarà mantenuto, perché in fondo, le nuove costruzioni di Lacan non annullano le precedenti, le prolungano. A volte però le nuove prospettive cancellano i rilievi che quelle vecchie mettevano in evidenza, e penso che per quanto riguarda il fantasma sia proprio così. Anche se il fantasma è stato ripreso dal Seminario XIV “La logica del fantasma”, si tratta di un termine – e credo che il nostro convegno lo provi – che è un po’ caduto in disuso, e che potrà riacquistare colore dopo che si sarà studiato questo seminario, in ogni caso, con il filo che propongo. Accosterei il passaggio a pagina 29 a un altro, a pagina 108, dove Lacan isola ciò che chiama il punto di panico del soggetto. Il termine punto qui non vale come negazione. Il punto indica ciò che normalmente si ottiene facendo intersecare due linee. Questo punto di panico del soggetto, dice, è quello in cui il soggetto si cancella dietro un significante. Con questa cancellazione non bisogna intendere che il soggetto è identificato, ma che è come depennato: è il punto in cui non può più dire nulla di sé, dove è ridotto al silenzio, e si aggrappa allora all'oggetto del desiderio. È la stessa logica del fantasma che opera sul piano dell’inconscio, dove il soggetto non ha la possibilità di designarsi, dove è messo di fronte all'assenza del proprio nome di soggetto. Ricorre allora al fantasma, ed è nel rapporto con l'oggetto di desiderio che sta la verità del proprio essere. Il Seminario VI esplora un campo poco esplorato, che si trova al di là del significante, e che è designato come quello del fantasma. È articolato, dice Lacan, a partire da una concertazione tra il simbolico e l'immaginario. Questa concertazione è evidenziata per l’appunto dalla scrittura $ ◇ a. L'oggetto “a” viene dall’immaginario, è improntato alla fase dello specchio, al balenìo della relazione speculare, mentre il soggetto S barrato è il soggetto del significante, il soggetto della parola. I due elementi di Lacan si trovano qui riconciliati. Sappiamo che Lacan successivamente, nel Seminario IX sull’identificazione, darà un'articolazione topologica di questua giunzione di due elementi eterogenei. Ma possiamo dire, riferendoci al successivo insegnamento di Lacan, che questo campo del fantasma funziona come un reale. Questo termine di “reale” s’imporrà gradualmente nell'ultima parte del seminario. È chiaramente così nella prima parte del seminario, dedicata principalmente all'analisi del famoso sogno del padre morto. Vi ricordo il testo di questo sogno, che Freud ha prima incluso nelle sue "Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico" e che poi ha integrato ne “L’interpretazione dei sogni”. Il padre è ancora vivo, parla al figlio, che è il sognatore. Il figlio ha la sensazione dolorosa che il padre sia già morto, ma senza saperlo. Lacan espone in dettaglio, anche nel grafo, il modo in cui Freud tratta il sogno attraverso il significante, e lo interpreta restituendo le clausole che ritiene siano state elise dal testo del sogno, in particolare la famosa: "Secondo il suo desiderio". C’è il trattamento del sogno da parte di Freud, che Lacan riprende, e c’è il trattamento del sogno da parte di Lacan. Il sogno Lacan lo tratta principalmente attraverso l’oggetto, e non attraverso il significante, e trattando il sogno attraverso l'oggetto, lo vedrete in particolare a pagina 75, implica nel sogno il fantasma. Si pone la domanda: questo confronto tra padre e figlio, questa scena strutturata, questo copione, che cos'è? È un fantasma? Pone poi altre domande, ma c’è anche una risposta, espressa una sola volta da Lacan, dove dice che effettivamente si tratta di un fantasma. Asserisce che ci troviamo qui di fronte a un fantasma di sogno. Lacan dunque, nell'interpretazione del sogno, non è portato a procedere con un'analisi significante, ma ad assumere la rappresentazione immaginaria che il sogno offre, e a qualificarla come fantasma, una categoria del fantasma che è il fantasma di sogno. Ammette che un fantasma è passato nel sogno. Questo ha senso proprio perché siamo sul piano delle rappresentazioni immaginarie, al punto che Lacan può dire che il fantasma è in grado di mantenere la stessa struttura e lo stesso significato in un altro contesto che non sia più di Verneinung ma di Verwerfung, che non sia più di diniego, ma di preclusione, che non sia più di sogno ma di psicosi. In altre parole, abbiamo qui l'inizio di una gradazione, una gamma di sfumature del fantasma, dove c’è il fantasma di sogno, ma c’è anche il fantasma di psicosi. Ne dà l’esempio folgorante dicendo che, mutatis mutandis, nella psicosi sarebbe la sensazione di stare con qualcuno che è morto, ma che non lo sa. Detto altrimenti: l’unità del fantasma può passare dal sogno alla psicosi. Aggiunge che dopo tutto può succedere anche nella vita quotidiana, quando si frequentano persone mummificate e si ha la sensazione che non sappiano di essere a fine corsa. Si può pensare che a questo proposito abbia in mente quelli che sono i suoi avversari nella psicoanalisi. La conclusione dell’interpretazione freudiana è che questo è chiaramente un sogno sogno edipico, e il desiderio ultimo di un sogno edipico è legato al padre, è il desiderio di castrazione del padre. Ebbene, non è affatto così! Non è la conclusione di Lacan, giacché ritiene che il fantasma concepito come risposta ultima al punto di panico vada al di là del desiderio edipico. Vediamo che l’Edipo è ancora nel campo del significante, e che Lacan pensa che con il fantasma si tocchi un al di là di ciò che è l’Edipo stesso. Lo dice: il fantasma va al di là del desiderio edipico. Lo trovate a pagina 118. Più essenziale, più profondo della sofferenza del figlio, c'è il confronto con l'immagine del padre come rivale nella fissazione immaginaria. Detto altrimenti, l’interpretazione ultima punta al fantasma, punta alla presenza irriducibile dell'immagine. Possiamo dire che questa funzione di resto è proprio l'indice del reale di cui quest’immagine è portatrice. In un soggetto c'è sempre un punto di panico, si può dire, in quanto nella relazione del soggetto con il significante c’è un’impasse essenziale che fa sì che, cito Lacan, non ci sia altro segno del soggetto che il segno della sua abolizione come soggetto, e per questo si aggrappa all'oggetto immaginario. La seconda parte del seminario consiste nella ripresa di un sogno analizzato dalla psicoanalista inglese Ella Sharpe. Ritroverete qui una dialettica tra sogno e fantasma. Ricordo l'episodio che precede l'analisi e la comunicazione del sogno all'analista: il soggetto ha l’abitudine da qualche tempo, di tossire prima di entrare nello studio dell'analista. Si trova alle pagine 181, 182. Il soggetto riferisce un fantasma che aveva avuto e Lacan convalida l’idea che si tratti di un fantasma. Quel che si tratta di analizzare è il fantasma, dice, e senza capirlo, cioè ritrovando la struttura che rivela. Nel capitolo X Lacan consulta metodicamente il fantasma e il sogno e trova che tra fantasma e sogno – è alle pagine 211, 212 – c’è una struttura simmetrica e rovesciata. Questa dialettica del fantasma e del sogno è tanto più significativa che, a pagina 269, osserva che si può distinguere il piano del fantasma e quello del sogno. "Possiamo anche dire che c’è fantasma su due versanti, ci sono fantasmi del sogno e fantasmi della veglia. "In altri termini l’espressione fantasma del sogno appare qui per la seconda volta nel seminario, e vi invito a ritrovarlo nella lettura. Questa dialettica del sogno e del fantasma fa la specificità dei sogni analizzati in questo seminario rispetto a quelli che si trovano, per esempio, nel Seminario V. L'originalità di queste interpretazioni di sogni è che coinvolgono il fantasma e questa categoria singolare del fantasma è il fantasma di sogno. Si vede qui una sorta di dinamismo della categoria del fantasma: non appena c’è rappresentazione c'è fantasma e, nella stessa linea, potremmo dire che il sogno è fantasma. Lacan si spingerà ancora più lontano fino a dire che la realtà è fantasma. Questa categoria ha un grande dinamismo, e il nostro uso non ne sfrutta la specifica vitalità, la specifica vitalità concettuale, che è qui messa chiaramente in evidenza. Si noti che alle pagine 274, 275 l'ultima parola sull’interpretazione del sogno proposta da Lacan verte sul sogno del paziente di Ella Sharpe. Ella Sharpe ha analizzato questo sogno molto a fondo, e Lacan la sovrainterpreta. La sovrainterpretazione lacaninana di questo sogno è un fantasma, e su questo fantasma termina la sezione, alle pagine 274, 275. (Continua) Trascrizione di Carole Dewambrechies, testo non rivisto dall'autore Traduzione di Marco Focchi Fonte: Bulletin Latigazo, n°1 Ottobre 2013
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