Conferenza tenuta a San Paolo il 17 ottobre 1981 Jacques-Alain Miller Ieri sera abbiamo interrotto la conversazione perché avevamo bisogno di andare a mangiare e dormire. Ma la questione è: abbiamo davvero bisogno di mangiare e di dormire? In psicoanalisi nulla di quel che sappiamo si basa sul bisogno. Consideriamo che l’essere parlante sia fatto di desiderio. Per me è chiaro che non sono andato a cena per bisogno, ma per il desiderio di entrare in contatto con il Brasile. Quanto al sonno, è certo che si dorme per sognare. Ieri avremmo potuto continuare a parlare, ma altri desideri hanno interrotto i nostri discorsi. Due aspetti del desiderio Il desiderio è un concetto complesso, che secondo Freud può essere rimosso e realizzato nei sogni e, soprattutto, può essere modificato nell'esperienza analitica. In verità, la domanda teorica è sapere cosa sia il desiderio. Stando a Freud, è l'essenza stessa di ciò che dimostra la sua esperienza: il desiderio è sessuale. Questo aspetto è presente anche negli animali, nei quali si osservano cicli di comportamento atti a realizzare l'incontro tra i sessi. Il desiderio può quindi essere correlato a cicli di comportamento che terminano quando si verifica la soddisfazione e il desiderio risulta appagato. Il desiderio sessuale, nella misura in cui determina un ciclo di comportamento osservabile, non è la stessa cosa del desiderio che viene interpretato in psicoanalisi: c'è uno iato. Il desiderio che viene interpretato in psicoanalisi è un desiderio che per definizione non è noto. L'ignoranza del proprio desiderio è un effetto prodotto dal dispositivo analitico. Per il fatto stesso di entrare nel dispositivo, il soggetto si situa nella posizione di essere interpretabile, si separa dal proprio desiderio che diventa per lui enigmatico. Lo era anche prima, ma al limite. La distanza dal proprio desiderio è indotta dal dispositivo che colloca il soggetto in una posizione di misconoscimento e, quindi, in una posizione in cui questo desiderio gli viene rivelato. L'interpretazione freudiana si occupa di questo: far uscire il desiderio che risiede nel sintomo, nel lapsus, nel sogno e nell'atto mancato. La domanda allora è: cosa significa che il desiderio sessuale è presente in queste formazioni? Qual è il rapporto tra il desiderio che porta al lapsus, all'atto mancato, al sogno, e il sessuale che determina un comportamento anche nell'essere umano?L’essere umano si riproduce, anche se giunge a farlo in modo estremamente complicato, e questo permette alla specie di continuare. C'è uno iato – che nell'insegnamento di Lacan si sposta, e che non è necessariamente colmato – tra i due aspetti in cui il desiderio si presenta: quello dell’ immagine, che abbiamo in comune con l'animale, per quanto si manifesti in noi in modo diverso, e quello in cui il desiderio appare legato all'altro. I due aspetti possono essere sovrapposti quando si tratta dell'altro simile, speculare o immaginario, mentre sono ben distinti quando si tratta dell'Altro simbolico. In questo contesto è importante situarsi tra la dimensione immaginaria del desiderio e la dimensione simbolica. Qual è il problema clinico che Lacan si è posto sul desiderio? Nella misura in cui l'analisi può operare sul soggetto, il problema è quello di spiegarne, di dimostrarne e di inventarne la struttura. Lacan, all'inizio, ha trovato il dispositivo analitico e un certo numero di effetti. Non lo ha trasformato, anche se la sua costruzione lo ha reso reso più puro. Il suo lavoro è stato mettere in risalto le ragioni di questi effetti. Trattandosi del desiderio, quale deve essere la x dell'esperienza che può essere modificata in un dispositivo che non prevede si attui il ciclo del comportamento sessuale, in un dispositivo costruito sull'astensione da tale comportamento, e che non si basa sull’utilizzo dell’immagine? L'analisi infatti si ritrae da questa dimensione, la sua forza sta nel fatto che essa non si presenti, che il desiderio non venga colto offrendo la propria immagine come desiderabile. Nell'esperienza analitica si tratta di cogliere il desiderio senza utilizzare il fascino dell'immagine. Se nella traslazione c'è seduzione, questa passa attraverso l’astensione dal lato immaginario, e non attraverso la sua accentuazione. Il desiderio di riconoscimento La tesi di Lacan, una specie di assioma, è che il desiderio nel genere umano deve farsi riconoscere. È abbastanza strano che Lacan abbia messo in evidenza termine filosofico del riconoscimento, estratto dalla lettura di Hegel fatta da Kojève, dando centralità, tra tutte le figure che si dispiegano nella Fenomenologia dello Spirito, a quella della coppia padrone e servo, di cui si è proposto di chiarire il nodo centrale. Lacan è rimasto fedele a questo riferimento, che lo ha accompagnato per tutto il suo insegnamento, come un matema a cui attribuisce, in tempi diversi, significati diversi. Il più delle volte questo è ciò che rende difficile rendersi conto quanto l'insegnamento di Lacan sia cambiato durante la sua vita, pur rimanendo fedele agli stessi paradigmi, alle stesse espressioni. Lacan, per esempio, usa il riferimento al padrone e al servo prima del Discorso di Roma, e quando nel 1970 costruisce i quattro discorsi, uno dei quali è il discorso del padrone – con il posto del padrone e del servo, posto che può essere occupato a rotazione da significanti diversi – continua a operare con lo stesso paradigma hegeliano. Nell'insegnamento di Lacan c'è uno iato tra lo scarso numero di certi riferimenti essenziali e la ricchezza dei loro significati. Nella Fenomenologia dello Spirito si trovano una di fronte all’altra due coscienze, ciascuna della quali compie le stesse operazioni, poiché non si distinguono in nulla se non per il fatto di essere due. All'inizio hanno le stesse proprietà, e Hegel mostra che il confronto implica una situazione instabile. Ciascuna delle due parti deve uccidere l'altra. Presa nella sua forma pura, la relazione duale non può giungere a nessun accordo, perché alla fine ciascuna può solo volere la soppressione dell’altra. In questo senso appare qui essenzialmente un: «O lui o me». Lacan si riferisce a questa idea quando considera la paranoia come la struttura clinica di base per ogni soggetto. In un certo senso comunque, la paranoia resta inattiva, e se in fondo non tutti siamo paranoici è perché riusciamo a mantenere le distanze necessarie per non attaccarci a vicenda. Proprio questa incompatibilità delle coscienze, secondo Hegel, permette di definire il padrone e il servo, perché il padrone affronta la morte, mentre il servo, trovandosi nel rischio della morte cede, riconoscendo così l'altro ma non venendo riconosciuto dall’altro. La definizione del padrone e del servo è: il servo riconosce l’altro e il padrone non riconosce nessuno. Hegel conclude poi alla fine che nel movimento dialettico l'essenziale è che il servo trionfa, perché avendo riconosciuto l'altro è anche suscettibile di essere riconosciuto simmetricamente, e dedicandosi al lavoro diventerà il motore della storia. Il padrone si afferma non riconoscendo l'altro, mettendosi puramente e semplicemente a confronto con la propria morte inevitabile. Assumendo il dominio, si ritira però dal lavoro. Mentre il servo si dedica al lavoro e al godimento, il padrone rimane a contemplare l'acquisizione del proprio dominio, e al tempo stesso esce però da ogni dialettica. Questa finzione ha ispirato Marx, poiché contiene la promessa che il futuro appartenga al servo, a colui che produce. È un punto chiave in Hegel. Per gli appassionati di sincretismo sarebbe interessante immaginare di tracciare nello stesso punto le strade di Freud e di Marx, di Lacan e di Marx, partendo dalla posizione variabile del padrone e del servo. Che cosa ci insegna questo modello? Che non posso essere riconosciuto nella mia umanità come un vero soggetto senza che io riconosca l'altro, che così egli potrà riconoscere a sua volta anche me. C’è, quindi, un circuito del riconoscimento. Non è lontano da: “O lui o me", ma è il punto in cui “O lui o me" passa invece attraverso: “Lui e me”, ovvero: io sono perché l'altro è. La posizione del padrone implica che il padrone non riconosca nessuno, e che quindi non possa essere riconosciuto da nessuno, perché per quanto riguarda il soggetto che lo riconosce, il servo, non essendo questi riconosciuto dal padrone nella sua umanità come un vero e proprio soggetto, il suo riconoscimento non vale nulla per lui. Il padrone è effettivamente inumano, finché il servo non è riconosciuto. Riconoscere l’altro, entrare nella dimensione del riconoscimento, permette di fondarsi sull’altro. Simmetria e asimmetria Questa costruzione, seducente ed equivoca al tempo stesso, si ritrova nel grafo di Lacan. È ciò che scrive la cellula primordiale nel grafo. Se, per esempio, colloco un soggetto qui e un altro là, posso farlo solo a condizione che uno riconosca l’altro. È questa la cellula base del grafo di Lacan, che può essere utilizzata in varie questioni in modi diversi: si può scrivere il circuito del riconoscimento con l'aiuto di questo schema. Devo, in un primo momento, riconoscere l’altro, così da poter essere riconosciuto da lui. Posso essere riconosciuto nella mia identità solo a condizione di fondarmi sull’ altro. Questo schema sostiene gli esempi di frasi in cui Lacan vedeva delle parole di verità. La frase: "Tu sei mia moglie” presuppone che mi fondi sull’altro, cioè mia moglie, per poter esistere come marito. Non posso dire: "Io sono” e basta, perché posso sapere ciò che sono solo se l'altro è d'accordo con la posizione che gli propongo, e solo nel ritorno può emergere la mia identità. Un altro esempio è: "Tu sei il mio maestro”. È vero solo se lui accetta di dire che io sono suo discepolo. Ora, questo è uno schema equivoco, perché richiede simmetria, ma al tempo stesso pone l'altro in posizione asimmetrica rispetto alla prima, la pone come istanza pura dell’altro. Nello schema le due posizioni possono essere differenziate. Se l'altro acconsente, lo schema diventa simmetrico, resta però equivoco perché può essere letto in due modi. Il primo è: "Mi presenti lo schema ma, in ogni caso, c’è l’altro", e il secondo: ”Mi presenti uno schema che funziona in modo uguale per entrambi”. Questo è uno schema simmetrico se lo si osserva rispetto alle posizioni, ma è composto da due posizioni asimmetriche che non funzionano esattamente allo stesso modo. Se poniamo l'accento su una lettura o sull'altra, otteniamo cose sensibilmente diverse. È necessario che questo punto di Lacan sia chiaro a sia voi sia a me, anche se è un punto che più avanti lui stesso ha rifiutato: non è necessario infatti che il desiderio sia di riconoscimento. Dal punto di vista hegeliano, questa storia non implica la questione sessuale, che sarebbe: devo riconoscere una donna come tale per essere da lei riconosciuto come uomo. Lo schema non è abbastanza chiaro per poter essere articolato in questo modo, poiché vorrebbe dire inscrivere la differenza tra i sessi nel registro del riconoscimento. La relazione tra padrone e servo funziona per quanto riguarda l'umanità: riconoscere l'altro come umano è molto diverso dal riconoscerlo come sessuato. Per il piccolo Hans sarebbe molto semplice: nella sua concezione tutti gli esseri animati possedevano un pene. Per lui c'era un significante di umanità che poteva funzionare. Qui c’è invece l’equivoco della frase: "Tu sei mia moglie", scritta come attribuzione simbolica, quindi come patto. È ben diverso da: “Tu sei una donna", espressione che Lacan non ha commentato, ma che è stata la direzione verso cui si è mosso il suo insegnamento. Questo, tuttavia, non è il problema del: “Tu sei la mia donna”, giacché la cultura ha trovato molti modi per dirlo. "Sei una donna" è invece molto più complesso. Nello stadio dello specchio l'altro in questione, l'altro speculare, è dello stesso sesso. Ciò che segretamente abita questa prima costruzione di Lacan è un'assenza di considerazione per la differenza tra i sessi, sia in modo speculare sia filosofico. I filosofi hanno sempre avuto grandi difficoltà a integrare la considerazione che ci sono due sessi. Possiamo leggere la Critica della ragion pura, la Critica della ragion pratica o la Critica del giudizio di Kant, senza sospettare che ci siano due sessi. Ovviamente, nella Fondazione della metafisica dei costumi Kant considera l'esistenza di entrambi i sessi. Anche nell’Antropologia dal punto di vista pragmatico tiene conto che esistono due sessi. I filosofi hanno grandi difficoltà ad ammetterlo, e c'è anche chi costruisce una dimensione dove una tale differenza non si presenta, per cui diventa necessario spiegare che ci sono piccole differenze sessuali o che ce ne sono una molteplicità. Ciò testimonia la difficoltà per la filosofia nel renderne conto. Lo stesso Lacan è partito da lì, estraendo una dimensione in cui questa differenza si diluisce. Cosa ha inventato Lacan? Una creazione teorica dove mostra che il desiderio in gioco nell'esperienza analitica, il desiderio sessuale, è inscritto nel registro del riconoscimento, è all'interno di quel circuito e dipende dalla mediazione costitutiva. Quel che succede in un punto dipende dalla mediazione, il punto non è isolato, non è una monade. Ciò che accade al punto uno può essere raggiunto solo con il passaggio al punto due, attraverso la sua mediazione, attraverso il suo intermediario. Qualcosa del genere si vede quando Lacan spiega che c'è una clinica del riconoscimento e che c'è un desiderio in una struttura speciale che vi si adatta molto bene, non essendo questa una invenzione completamente sua. Lo si osserva nella struttura clinica dell'isterico. Lacan considera la formula generale del desiderio – punto di partenza del suo Discorso di Roma – la cui funzione, nell'essere umano, è di far riconoscere il proprio desiderio. Inscrive allora il desiderio in una relazione intersoggettiva, potendo così spiegare perché l'esperienza analitica è in grado operare sul desiderio. Se il desiderio è infatti intersoggettivo, funziona in un'analisi ugualmente intersoggettiva. Il circolo logico Quale definizione ci dà Lacan del desiderio? Parla di un desiderio evanescente, il cui unico oggetto e la cui unica soddisfazione è essere riconosciuto dall'altro. Non ha nessuna sostanza. Quel che lo dominerebbe, lo inquadrerebbe, lo abiterebbe, sarebbe il desiderio di riconoscimento. Per quanto estremamente sofisticato, si può dire che in questo concetto c’è qualcosa come un circolo logico. Cos'è il desiderio? È il desiderio di far riconoscere il proprio desiderio. È un circolo vizioso: dal punto di vista logico, non si riesce a definire il desiderio se non da sé. Questa definizione conserva lo statuto di una x, e mostra di aver a che fare solo con mancanze, come nella vertigine di ieri sera. Ha la stessa aria di infinito, di pseudo-infinito del sintomo di ieri. Questo non gli dà nulla di sostanziale, nessun oggetto che abbia sostanza: il desiderio non è altro che il riconoscimento del desiderio. Di quale desiderio? Del desiderio di riconoscimento, ecco il circolo vizioso. C’è un indice tuttavia utile per collocare questa costruzione nell'insegnamento di Lacan, riprendendo l’altro paradigma, quello che lo accompagna lungo tutto il suo insegnamento: il fort-da. Dal desiderio di riconoscimento alla morte della cosa Lacan riprende decine di volte, e ogni volta in modo leggermente diverso, il momento in cui Freud ha colto il gioco del bambino con il rocchetto. Come si presenta il fort-da nel Discorso di Roma? Cosa sembra indicare il modo in cui Lacan lo presenta? C’è per un verso quel che lui chiama un campo di forze del desiderio, che non è molto chiaro, e poi c'è un desiderio in via preliminare, un desiderio grezzo. Il fort-da segna il momento in cui questo desiderio grezzo – mettiamo sia qui il desiderio della madre in quanto grezzo – si trova preso nell'operazione del fort-da, e viene raffinato e negativizzato, dato che d'ora in poi quel che sarà richiesto è il ritorno del rocchetto, e non più della madre. In quel momento, dice Lacan, quando il bambino percepisce il fort-da, teorizza quell'azione, la considera il proprio oggetto. Il desiderio grezzo è in un certo senso negativizzato e sostituito, direi, da un’auto-riflessione del desiderio. Allo stesso tempo mostra l'altro implicato in quel desiderio, e in quel momento formula quest’altro, dicendo che è un alter ego. Lacan non ha ancora delineato l’Altro maiuscolo, che sarà subito un punto chiave della sua teoria -– potrei sicuramente trovare la citazione. Nel momento del fort-da, il bambino con sua azione eleva il proprio desiderio alla seconda potenza, negativizzando il campo di forze del desiderio per diventare il proprio stesso oggetto. Nella solitudine, il desiderio del bambino diventa il desiderio dell’altro, di un alter ego che lo domina. C'è qui allora un alter ego che è una figura duale e al tempo stesso lo domina. Questo presuppone che siamo a un livello superiore dell’alterità. È l'equivoco implicito nello schema, dove oggetto del desiderio è il proprio pensiero. È difficile per noi vedere che Lacan sta nascondendo qualcosa. Il suo stile consiste nel formulare le cose in modo assertivo. Ci troviamo spesso davanti a testi che sono come tavole della legge. Cominciamo dalla prima riga, e poi una mano autoritaria ci prende e ci porta per la sua strada, e noi andiamo avanti fino alla fine, fino all'ultima riga. E il più delle volte, quando commentiamo Lacan, lo seguiamo come galline affascinate, percorriamo le righe del testo fino alla fine, quando ci ritroviamo esausti, e finalmente ci svegliamo, dopo un breve viaggio incantato. Sono anch'io sensibile a questo fascino assolutamente speciale. Tuttavia ciò non dovrebbe impedirci di pensare con la nostra testa, di confrontare un testo con un altro, o di considerare, quando vediamo tre o quattro espressioni su pagine diverse di uno stesso testo, che sono alla ricerca di qualcosa. C'è però qualcosa di insoddisfacente in questi sforzi. Per esempio, l'espressione dell’alter ego che domina questi passaggi è per l’appunto relativamente instabile. Avremmo una funzione che è una negativizzazione. Cosa significa? Lacan vi tornerà in un altro momento. Lo dice in modo del tutto hegeliano, ovviamente molto patetico: il simbolo è la morte della cosa. Che cosa comporta? È ciò che significa l'elefante sulla copertina del seminario. Quando dico “elefante”, anche se l’animale non è presente, di fatto c’è in una forma disincarnata, posso farlo entrare attraverso le parole. Da che lo nomino, l’elefante scompare come sostanza. Gli uomini sanno che gli elefanti esistono e hanno cominciato a dar loro un nome, il nome elefante, nome che gli elefanti non sanno. Gli elefanti non sanno che per noi sono elefanti. Ciò non impedisce che questo abbia un effetto sulle loro esistenze, perché noi lo sappiamo e li abbiamo denominati. Gli elefanti, come specie, da quando iniziano ad avere un nome, non sopravviveranno a lungo. Esaltiamo sempre quel passo della Bibbia: "Davano nomi alle specie” e così via. Che bello! Gli uccellini! D'altra parte, ci chiediamo sempre in che lingua abbiano dato quei nomi. Tutto ciò è meraviglioso, ma nel momento in cui Adamo dà dei bei nomi a tutta la creazione, questa è condannata allo sterminio. Lo vediamo ogni giorno che ci stiamo evolvendo così, e tutti gli ecologisti del mondo, così amichevoli, così consapevoli degli effetti del progresso della scienza, non possono fare nulla contro questa logica. Il simbolo è la morte della cosa, anche materiale, e la nostra stessa specie cerca i mezzi per metterci a repentaglio come specie, ma non troviamo il modo per mettere in pericolo i singoli individui, o le grandi comunità. Ora sappiamo, specialmente con quelle cosette che facciamo con le nostre cellule, che abbiamo qualcosa a partire dalla quale possiamo portare al limite la morte della cosa, della cosa che noi stessi siamo. È sempre patetico dirlo. La dimensione introdotta con la negativizzazione del significante permette di annullare il riferimento sostanziale. Il che fa dire a Lacan, per esempio, nel suo Seminario Ancòra, nel 1972-1973: “Il linguaggio non ha referente". Tutti allora restarono attoniti: "Che novità! Come può dirlo Lacan?”. Per me è quel che ha già detto nel Discorso di Roma, che il simbolo è la morte della cosa. È solo un altro modo per dirlo. Il primo è hegeliano, il secondo è logico-positivista. Si sta dicendo tuttavia la stessa cosa. È la negativizzazione del significante che gli dà la possibilità di cogliere un tratto non spiegato a priori dal circuito del riconoscimento. Il desiderio, nel senso freudiano, è eterno, non ha fine. Eterno tra virgolette, ma non è esattamente il tipo di desiderio che trova soddisfazione alla fine di un ciclo di comportamento sessuale. Il problema del desiderio in senso freudiano è che non c'è soddisfazione e che esso, nell'inconscio, è in un certo modo eternato, suppone la scomparsa dell'oggetto. Se il desiderio avesse un oggetto specifico, potremmo immaginare che, una volta colto, potremmo soddisfarlo, ed è qui che Lacan contrappone il naturale al simbolico. Se il desiderio in questione fosse un desiderio naturale, potremmo dire: "Beh, può trovare la sua piena soddisfazione". Se consideriamo la fame come un bisogno, tu mangi e poi sei sazio e poi puoi mangiare di nuovo. Dormiamo quando siamo stanchi e poi rimaniamo svegli. Abbiamo funzioni che conoscono un ciclo di risveglio e di soddisfazione. Secondo Freud la soddisfazione in questione nel desiderio è un'altra cosa, essa non finisce, e questo vale per il desiderio come anche per la pulsione. Quando si tratta di desiderio, le uniche cose che lo soddisfano sono quelle che non esistono. Il sogno è un appagamento del desiderio che si soddisfa con cose che non esistono. Il desiderio è il desiderio dell’Altro La teoria nel Discorso di Roma è equivoca: da una parte abbiamo il desiderio come desiderio di riconoscimento, dall'altra abbiamo l'eterno desiderio nel soggetto, eternato in lui dalla negativizzazione del significante. Sono due costruzioni che non hanno la stessa logica, e che sarà necessario far combaciare in un punto. L'espressione che da qui in poi Lacan promuoverà, "Il desiderio è il desiderio dell'Altro" – un'espressione estremamente seducente – a seconda della prospettiva da cui viene considerata può avere evidentemente significati diversi. Inizialmente può riferirsi a un piano semplicemente immaginario: voglio ciò che vuole l'altro, lo desidero solo perché l’altro lo desidera. Lacan illustra questa rivalità con l'esempio di Carlo V ed Enrico VIII: "Ciò che vuole mio fratello lo voglio anch’io". Questa è un'espressione di accordo o di rivalità? È difficile capirlo, credo si colga lo stesso senso anche in portoghese. Sarà a volte un'espressione di rivalità, altre, al contrario, un'espressione di accordo. Quindi a seconda che l'altro sia scritto con "a" minuscola o con "A" maiuscola ci si pone in una dimensione immaginaria, di rivalità, o in una dimensione simbolica, d’intesa. Per altro verso, a partire dal momento in cui Lacan in effetti scrive l'Altro e situa il simbolico, le due dimensioni che ho esposto, i due aspetti, si possono incontrare. Avete un buon esempio del modo in cui si sviluppano questi equivoci proprio nel primo seminario di Lacan, l’unico, fino ad oggi, tradotto in portoghese, l'unico pubblicato in Brasile, mi domando perché. È possibile che Lacan sia meno letto di Maud Mannoni, è un peccato per il Brasile. Ho pensato di sfruttare la mia permanenza qui per trovare gli editori in questione e scoprire cosa li motiva a non pubblicare altri seminari. Vedrete, soprattutto nella parte centrale del seminario intitolata “Al di là della psicologia”, che nei tre capitoli “L’altalena del desiderio", "Le fluttuazioni della libido" e "Il nucleo della rimozione", si può verificare fino a che punto questi problemi non vengono risolti. Prendiamo per esempio il capitolo 13, p. 212: «All'origine, prima del linguaggio – dice Lacan – il desiderio esiste sul solo piano della relazione immaginaria dello stadio speculare, proiettato, alienato nell'altro. La tensione che provoca è allora sprovvista di sbocco. Cioè non ha altro sbocco, Hegel ce lo insegna, che la distruzione dell'altro". Aggiunge poi: Il desiderio del soggetto non può in questa relazione essere confermato se non in concorrenza, in rivalità assoluta con l’altro nei confronti dell'oggetto verso cui tende”. Il desiderio nel linguaggio Ora, cosa cogliere in questo paragrafo? La storia in cui "All'origine, prima del linguaggio, il desiderio esiste solo…" È chiaro che Lacan vedeva oltre: non era l'essere cronologico, non gli interessava lo sviluppo. Sia nello stadio dello specchio sia nel fort-da troviamo qualcosa di interessante, c’è una certa considerazione dello sviluppo. Tuttavia Lacan non si è occupato della cronologia ma della logica della questione, il che rende le cose più difficili. A quel tempo per lui – lo dice chiaro e tondo – esiste uno statuto del desiderio preliminare al linguaggio. Vedremo poi come, al posto di questa costruzione, e per risolvere precise difficoltà teoriche, Lacan postuli che, al contrario, non c'è desiderio se non a partire dal linguaggio, se non come effetto del linguaggio. Qui, questa costruzione è ancora sostenuta dall'assunzione di un desiderio anteriore, logicamente anteriore al linguaggio, che imporrebbe, in ultima istanza, un secondo e anche in un terzo tempo di mediazione del desiderio. Se possiamo costruire partendo da qui, sarà intorno a quel che Lacan va inseguendo in questi seminari, che sono seminari di ricerca. Non sono seminari di un soggetto che sa e dalla cima della montagna ci dice: “Le cose stanno così". Lui si fa in quattro per riuscire a tenere insieme tutte le sue proposte. Se comprendiamo la sua teoria, il primo tempo, in senso logico, è quello di un desiderio che sarebbe grezzo, una sorta di impulso vitale, un istinto. Il secondo tempo sarebbe quello del desiderio come immaginario, che trova la propria struttura nello stadio allo specchio, che evidentemente è già diverso da quello dell'animale, poiché all'animale non importa della propria immagine, e questo già ci distingue sul piano dell’immaginario. Si tratta del luogo essenziale dell'immagine di sé, dell’immagine del proprio corpo. Tutto ciò che è relativo all'immaginario in noi può essere ricondotto a questo. È ciò che Freud chiama narcisismo. Quel che ci interessa è la nostra stessa parvenza. Tutte le forme immaginarie sono infatti deducibili da quest’immagine. Questa è la teoria che Lacan mette a punto. Continuo con l'enumerazione dei tempi: il terzo tempo sarebbe quello in cui il desiderio si simbolizza, è mediato, questa è l'espressione usata da Lacan. Sentite:"Il desiderio nel soggetto umano è realizzato nell'altro, dall’altro, presso l'altro", cap. 14, p. 221. «Questo è il secondo tempo – dice – il tempo speculare […]”. A partire da qui – ecco il terzo tempo – il desiderio dell'altro, che è il desiderio dell'uomo, entra nella mediazione del linguaggio […] entra nel rapporto simbolico […] in un rapporto di reciproco riconoscimento e trascendenza, nell'ordine di una legge già predisposta a comprendere la storia di ciascun individuo». Abbiamo qui il Lacan umanista che dice che, alla fin fine, la comunità umana trova la propria consistenza nel simbolico. Ecco la definizione che dà della parola, p. 223: «La parola è quella ruota da mulino per il quale il desiderio umano si media incessantemente rientrando nel sistema del linguaggio». Vi mostrerò che quel che viene dopo questa costruzione è completamente diverso. Non si tratterà più del desiderio inserito nell'ordine del linguaggio ma, al contrario, del desiderio come effetto del linguaggio. Lacan è indotto a un completo capovolgimento. Il seminario prende allora una piega pastorale. Per esempio quando dice che tra l'uomo e la donna le cose potrebbero funzionare. Vediamo cosa dice quando commenta, per esempio, il testo di Balint a p. 268: "Se l'amore è tutto preso e invischiato in questa intersoggettività immaginaria sulla quale desidero concentrare la vostra attenzione, esige nella sua forma compiuta la partecipazione al registro simbolico, lo scambio libertà-patto, che s’incarna nella parola data». Questo è un frammento di sermone, di predica, quindi è straordinariamente ottimista. Leggi della parola e leggi del linguaggio Quel che è singolare – mi sono chiesto cosa lo abbia portato a questa teoria di cui vi segnalo i tratti fantastici – è che non si riconosce il Lacan a cui siamo abituati. Direi che è così perché in fondo ciò che egli attribuisce all'inconscio in questo momento, sono le leggi della parola. Per lui, il circuito di riconoscimento costituisce il campo delle leggi della parola. L'inconscio è strutturato secondo le leggi della parola. Cerco di fare ordine nel labirinto del suo insegnamento nel quale mi dibatto da molto tempo. Ovviamente ci riuscirò se sovrappongo a queste espressioni altre espressioni di Lacan. Il senso del suo insegnamento non può che venire da un altro, non in posizione di metalinguaggio, ma in grado di realizzare una ritraduzione di certi termini. Ci sto provando con tutte le mie forze, è una cosa molto difficile, e seguo questa strada con cautela. Lacan ha attribuito all'inconscio le leggi della parola, e quel che è cambiato proprio con L'istanza della lettera è stato attribuire all'inconscio non le leggi della parola, ma quelle del linguaggio. Si può quindi vedere che la sua concettualizzazione cambia. In un primo momento, quando Lacan elabora il circuito del riconoscimento, lo attribuisce propriamente all’inconscio. In un secondo momento ci sono le leggi del linguaggio, che funzionano come metafora e metonimia, e che non obbediscono a quel circuito. Ovviamente, essere riuscito a presentare lo stesso schema per le leggi della parola e per quelle del linguaggio è un colpo da maestro, che ha finalmente permesso la nostra comprensione. Ma non dobbiamo riceverlo come qualcosa di dato, come, appunto, le tavole di legge: è il risultato di un lavoro teorico estremamente complesso ed eterogeneo. Per fissare le idee sul punto in cui si trovava Lacan, il testo più chiaro sull’argomento ritengo sia Varianti della cura-tipo. Vorrei leggervi due o tre citazioni, perché penso che ora possiate capirne tutto il valore. Lacan esprime a pagina 346 degli Scritti: “Il fatto è che l'uomo, nella subordinazione del suo essere alla legge del riconoscimento” – questo implica le leggi del riconoscimento, e aggiunge, p. 347: “Nessuna parola vera è soltanto parola del soggetto, perché essa opera sempre fondata sulla mediazione a un altro soggetto, e con ciò è aperta alla catena senza fine [. ..] delle parole in cui nella comunità umana si realizza concretamente la dialettica del riconoscimento.” Sull'orizzonte di tale costruzione si delinea quella comunità umana, quel grande discorso universale in cui, grazie a tutte le parole, si sa dove ogni soggetto trova il proprio posto. Direi che tra questo e il sarcasmo lacaniano degli anni '60 e '70, potremmo avere l'impressione di avere a che fare con due autori diversi. Siccome siamo totalmente accecati dall'idea dell'autore, rimaniamo insensibili a questa straordinaria variazione. Inoltre, le leggi della parola permettono di situare la psicosi come preclusione di queste leggi. Nell'ambito di questa concezione, Lacan considererà lo psicotico. Questi rifiuta il circuito del riconoscimento. Lo psicotico è colui che rifiuta la legge del riconoscimento. In Varianti della cura-tipo, Lacan specifica l'azione dello psicoanalista, p.354: «Ma se, conformemente alla legge della parola, è in lui in quanto altro che il soggetto trova la propria identità, è per mantenervi il proprio essere». L’analista, in accordo con la legge della parola, è al posto dell’Altro. In questo modo l'esperienza analitica rispetta la struttura della legge della parola. L’analista, collocato in quella posizione, permette al soggetto di ritrovare la sua vera identità. È una teoria completa dell'esperienza analitica. Totalmente diversa dall'identificazione narcisistica, poiché è proprio un'identificazione attraverso la mediazione dell'Altro e non attraverso la fusione identitificativa, perché, p.354 (traduzione modificata): “L’identificazione narcisistica […] lascia il soggetto in una beatitudine senza misura, esposto più che mai a quella figura oscena e feroce che l'analisi chiama Superio, e che va compreso come lo iato aperto nell'immaginario da ogni rigetto (Verwerfung) dei comandamenti della parola.” Qualsiasi rifiuto della mediazione costitutiva del desiderio – e la parola “rifiuto", sarà tradotta più tardi con “forclusion”, in tedesco “Verwerfung" – precipita il soggetto direttamente davanti a quella figura, non più imprigionata nel riconoscimento: questo è il valore che Lacan attribuisce al Superio freudiano. Di fatto l’altro presente nella psicosi schreberiana, non è un altro gentilmente situato nel circuito del riconoscimento, un altro che fa bene il proprio lavoro direzionando le cose verso il soggetto, così da trovarvi, diciamo, la propria identità perduta. Da questo punto di vista quindi si tratterebbe per il soggetto di ritrovare la propria identità perduta come soggetto del proprio desiderio. Il desiderio inestinguibile Tornando un po’ indietro, Lacan articola essenzialmente due cose: primo, articola il desiderio con la funzione dell'immagine, più precisamente con il narcisismo. Il desiderio si relaziona con la dimensione dell'immaginario attraverso il narcisismo. Secondo, articola il desiderio come qualcosa di inestinguibile – dimensione che diventerà sempre più importante nella psicosi – per dar conto di come sia possibile che quel desiderio inconscio sia eternato. In questo modo, il desiderio è messo in relazione con la funzione simbolica. È anche possibile immaginare che a volte Lacan ponga l’accento più su un aspetto che sull’altro. In primo luogo, il desiderio è legato alla dimensione dell’immaginario, in secondo luogo, il desiderio è legato alla dimensione simbolica. Voglio sottolineare una cosa: l'insegnamento di Lacan non ha mai smesso di trasformarsi, c'è però per lui un punto di sintesi provvisoria, un punto di riferimento. Lacan con questo grande grafo – conoscete il grafo a due piani – ci ha fornito l'elemento necessario per capire ciò che verrà, la funzione che Lacan isolerà in Freud proprio per dimostrare la duplice relazione con il desiderio: la relazione con la dimensione immaginaria e quella con la dimensione simbolica. È davvero necessario fare questa ricostruzione per capire perché Lacan ha tanto sostenuto quel termine di Freud che è il fantasma. La prevalenza, l'importanza capitale del fantasma nell'insegnamento di Lacan deriva dal fatto che in esso, appunto, la funzione immaginaria si presenta dove si sostiene il desiderio. E al tempo stesso c’è una funzione simbolica, poiché è uno scenario che infatti porterà alla costruzione che ora vi mostro. Che cosa ci fornisce la formula che compare nel grafo di Lacan, dove troviamo d per desiderio, ––> una freccia, $ barrata, ◇ punzone, a minuscola (d ––> $ ◇ a) la formula cioè Lacan che dà per il fantasma? Abbiamo qui, di fatto, una soluzione provvisoria, a causa di tutte le difficoltà che troviamo nell'articolare le cose. In questo modo Lacan riesce ad articolare la dimensione immaginaria con la dimensione simbolica del desiderio. Una volta giunti a questo punto, vedremo che a Lacan interesserà poi la dimensione reale della questione, motivo per cui dovrà trasformare ancora una volta questa struttura. È certo tuttavia che le cose devono essere posizionate a partire da queste due dimensioni, immaginaria e simbolica. Di cosa dobbiamo render conto ora? Di ciò che implica la teoria freudiana del narcisismo: che il desiderio si aggrappa alle forme narcisistiche. Lacan lo sviluppa ancora nel Seminario 1, quando si riferisce all'amore a prima vista di Werther per Carlotta, scatenatosi quando Werther vede Carlotta che sta distribuendo maternamente fette di pane a dei bambini. Qui vediamo la coincidenza dell'oggetto con l'immagine fondamentale. Possiamo spiegarlo con il fatto che Werther stesso si pone nell'immagine presentata dall’idea dell’altro, e colloca l'amore a prima vista come metafora del desiderio sessuale. Il suo desiderio si fissa lì solo se mette la sua immagine nello spettacolo che gli si presenta. Abbiamo qui un paradigma della fissazione immaginaria del desiderio a partire dal quadro di fronte a cui il soggetto si trova. Lacan ne conclude che è il narcisismo ad avvolgere le forme del desiderio, a segnare la dipendenza primaria del desiderio del soggetto in relazione alla propria immagine. Da una parte c'è questa dimensione di un modello immaginario – come si esprime Lacan – e dall'altra la dimensione della ripetizione del desiderio inestinguibile. È precisamente ciò che Lacan chiama la rimemorazione permanente del desiderio nel sintomo. Manca una giuntura tra queste due dimensioni. Lacan cerca di darne conto dicendo ne La cosa freudiana, p. 423 (traduzione modificata): "L'insistenza ripetitiva di questi desideri nella traslazione e la loro rimemorazione permanente in un significante di cui si è impossessata la rimozione, cioè in cui il rimosso fa ritorno, trovano la loro ragione necessaria e sufficiente, se si ammette che il desiderio di riconoscimento domina in queste determinazioni il desiderio da riconoscere, conservandolo come tale fino al momento in cui sia riconosciuto.” Finché non c'è riconoscimento del desiderio da parte dell'Altro, il desiderio si conserva indefinitamente, e questo spiega ciò che aveva detto Freud. Non è molto convincente, perché non è possibile supporre che il desiderio sia soppresso dal riconoscimento dell'Altro. Sarebbe conservato come tale perché non riconosciuto, come esigenza di riconoscimento. Nel momento in cui fosse riconosciuto, verrebbe in qualche modo soppresso. In questo breve paragrafo vedete che Lacan prova una formula che lui stesso non trova molto convincente, perché poi preferirà le costruzioni con i più e con i meno che compaiono nell'introduzione de La lettera rubata. Lo schema elementare di questo testo – diverse generazioni vi si sono scervellate – è un esercizio di logica abbastanza semplice, un esercizio di combinatoria. Effettivamente Lacan preferirà questa forma. Possiamo immaginare, quasi ciberneticamente, quale sia la persistenza di un significante che si ripete, senza che sia necessario coinvolgere il desiderio di riconoscimento. Aggiungo che nello scritto intitolato La cosa freudiana, c'è una teoria molto carina per spiegare perché è il desiderio sessuale – e non la fame – a venir rappresentato nell'inconscio. L’umanità ha due grandi desideri: la fame e il desiderio sessuale. Solo il desiderio sessuale è rappresentato nell'inconscio. Come mai? Perché la prima combinatoria di scambio di donne si basa sul rapporto sessuale. È il rapporto trai due sessi che dà la propria sostanza, la propria materia, i propri oggetti, alla combinatoria dello scambio delle donne. Lacan cerca di spiegare cosa pensa dell'origine del rapporto tra desiderio e significante. La combinatoria è quella del significante. Succede allora che il rapporto sessuale dà la propria materia, i propri oggetti, alla combinatoria significante. Per altro verso dice: la fame non è rappresentata nell'inconscio perché riguarda solo la conservazione dell'individuo. Essa appare solo sul versante immaginario, nella lotta tra padrone e servo, che riguarda la vita e la morte. È una distribuzione molto elegante: coglie infine la fame, ma riflessa nella dimensione immaginaria, nella lotta a morte, mentre il desiderio sessuale è simboleggiato dal fatto che la prima combinatoria è basata sui materiali della relazione sessuale, cioè riferito alla relazione tra i sessi. Al tempo stesso si tratta di una costruzione completamente speculativa. Parte dal presupposto, appunto, che deve essere considerato ciò che è rappresentato nell'inconscio, perché tutta la questione sta qui: di tutto quel che è fisico, anatomico o naturale, di tutto quel che esiste nella realtà, che cosa di tutto questo è presente nell’inconscio? La scoperta di Freud in fondo, quando si tratta della relazione tra i sessi, è che la donna non è rappresentata nell'inconscio come l'uomo. Di fatto è un vantaggio per le donne, anche se da questo punto di vista c'è un difetto nel significante: il significante, in questo senso, non riflette ciò che crediamo sia il mondo. La scienza ci permette di creare il rapporto sessuale e ci permette di descrivere la relazione tra lo sperma e l’ovulo. In questo abbiamo una formula scientifica del rapporto sessuale. Ma questa formula non è nell’inconscio. Vedete dunque che quel che va sottolineato in quel paragrafo a p. 423, è l'idea: che cosa è effettivamente rappresentato nell'inconscio? Che cosa troviamo di effettivamente inscritto? Il rapporto sessuale può essere inscritto nel discorso della scienza solo se, in qualche modo, si fa a meno dell'individuo: è quel che si chiama fecondazione artificiale, quando viene eliminato l'individuo paterno, quando viene eliminato il superfluo. L’idea, insomma, sarebbe questa, e non la realizziamo ancora pienamente eliminando l'altro individuo, quello materno, perché è un'utopia. Però ci si prova, ci si lavora, non c'è motivo per impedirlo. Qui vediamo bene come può incarnarsi un'espressione della relazione sessuale: incarnarsi, però, in modo completamente disincarnato. Tutta la questione è: che cosa esiste nell'inconscio? Quel che vedremo nell'insegnamento di Lacan è quanto sia complesso dar conto della durata del desiderio nell'inconscio, della durata infinita del desiderio nell'inconscio, del suo ancoraggio nel significante. Per un certo tempo Lacan ha lavorato su un altro aspetto, e quando ne L'istanza della lettera definisce il desiderio come metonimia, l'aspetto del desiderio come legato al significante diventa dominante. Allo stesso tempo però in cui dà questa definizione, ne presenta un'altra sul piano immaginario. Si tratta di qualcosa di cui, nel suo insegnamento e fino a quel momento, non si era mai sentito parlare, e che non è fatto per rientrare subito nel discorso sul riconoscimento. Il fallo Vediamo il suo sforzo per dare conto della durata inestinguibile del desiderio a partire dalla catena significante. Allo stesso tempo, la problematica del desiderio sul piano immaginario dovrà dare conto di un elemento che non è assolutamente compatibile, che non è in alcun modo stabilito da questa costruzione, ed è il fallo come oggetto del desiderio. Finora siamo rimasti in una dimensione del tutto estranea a questo. Rileggendo il Discorso di Roma, troviamo Lacan che parla del fallo. Il fallo è molto importante ma lui ne parla a malapena. È necessario che lo si rilegga ancora una volta facendo attenzione. Non è difficile percepire in un testo delle parole che non ci sono. Non tutte le parole sono interessanti nello stesso modo quando non sono nel testo. È l’assenza a metterle in evidenza, me ne sono accorto molto più tardi. Devo rileggere il testo, e consiglio anche a voi di farlo. Ma in ogni caso, nel suo insegnamento, il problema del fallo affiora in un momento correlato all'approfondimento del rapporto del desiderio con la catena significante. La seduta di questa mattina risulta sicuramente molto faticosa. Vorrei scusarmi per aver percorso i meandri delle domande su cui ho già tanto riflettuto, meandri che io stesso ho seguito di nuovo per cercare di riscoprirli all’interno dell’insegnamento di Lacan. Spero di andar più veloce questa sera, ma non credo si possano evitare le difficoltà poste da questo argomento. Evidentemente è più impegnativo che se io continuassi a parlare delle verità prime. Costruisco un percorso tra me e voi sui punti fondamentali l'insegnamento di Lacan, sui quali egli stesso ha innalzato architetture sorprendenti. Proprio qui, con una fioca lanterna, attraversiamo i luoghi più oscuri, riscoprendo alcuni vecchi concetti relegati da molto tempo nel bazar dell’antiquariato. Spero però che quando leggerete gli Scritti di Lacan li sentirete più familiari. DIBATTITO D – Approfittando della sua esposizione su Hegel, e quindi della lettura di un filosofo, riflettevo su come fosse possibile capire il rapporto tra l'idea che Lacan aveva del discorso filosofico, cioè un discorso che funziona per astrazione, e il fatto che per un certo tempo Lacan lasci da parte i casi individuali e tutto il suo interesse clinico, per studiare nello specifico le psicosi. A partire da questo le chiedo come va inteso il discorso di Lacan sul desiderio visto che il suo discorso è forse ancora più vicino a un discorso filosofico – quindi, a un discorso astratto – e rende difficile l’applicazione su casi particolari, cioè lo studio di un problema clinico di psicosi o di nevrosi. J.- A.M – La sua osservazione è interessante. Questa parte dell’insegnamento di Lacan è la più filosofica. Ciò che la distingue da una pura costruzione filosofica è che Lacan usa gli elementi presi da Hegel per cercare di dare conto dell’esperienza analitica. Questo permette in un primo tempo di spiegare perché ci si può aspettare, conversando con qualcuno o ascoltandolo parlare di una qualsiasi cosa, di modificare qualcosa del suo desiderio. Questa è un’idea folle. Quando Aristotele parla dell’utero come di una cosina che si trova nell’organismo della donna, in nessun modo riconduce all’idea che tale cosina abbia orecchie e che ci si possa conversare per modificare l’ancoraggio del desiderio. È necessario coinvolgere l’altro nel desiderio per rendere conto dell’esperienza analitica. È stata la prima forma che Lacan ha trovato, ed è una forma, un modo, una spiegazione filosofica. A questa se ne contrappone un’altra: quella di dar conto del fatto che il desiderio può modificarsi, ma anche permanere in modo inestinguibile. Sono d’accordo con l’idea di tenere in considerazione i riferimenti clinici, ma ciò che è interessante è che Lacan li prenderà in considerazione quando elaborerà l’ancoraggio del desiderio al significante. Il primo esempio che prende in considerazione è la nuova analisi del sogno della bella macellaia in La direzione della cura. Abbiamo indizi su come dobbiamo intendere il desiderio: è il desiderio dell'Altro, espressione che si applica soprattutto nella clinica dell’isteria. Quella che ho sviluppato questa mattina è stata la prima filosofia di Lacan. L'importante è rendersi conto che non si è fermato a questo. Avrebbe potuto fermarsi, gli amici filosofi lo applaudivano. Lacan per un certo periodo fu molto legato ai filosofi, gente come Hyppolite, Merleau-Ponty e così via. Per contro i filosofi venuti dopo hanno avuto con lui un rapporto diverso, un rapporto che sarebbe diventato di vera ostilità e aggressività. D – C'è una certa ripetizione nel gruppo, c'è un certo sintomo che riguarda la clinica, la differenza tra filosofia e psicoanalisi. Mi sento un po' bloccato su questo sintomo. La domanda che voglio porre, e non so se ha senso, è relativa a un filosofo legato a Lacan, Althusser. È la questione "Uccidere mia moglie", perché Althusser fece analisi con Lacan, o con un lacaniano, fin dall’epoca in cui cominciò a riflettere su questa domanda. Quando Lacan lavora sul reale nel 1974, sappiamo che Althusser uccide sua moglie. Ieri lei ha parlato della questione del Nome-del-Padre rispetto alla psicosi. Mi piacerebbe pensare alla questione dei filosofi o della filosofia e della clinica psicoanalitica a partire da “Uccidere mia moglie”. È possibile articolarla con il sintomo del gruppo? J.-A.M – Si nota che il cattivo gusto non fa paura. È vero che Lacan ha giocato con l'omofonia francese di Tu es ma femme ("Sei mia moglie") e Tuer ma femme ("Uccidere mia moglie"), cosa che gli permette in un certo senso di riunire nella stesso luogo di parola l'evento simbolico del nominare e l’assassinio implicato in ogni significato. Riguardo alla clinica, sarei felice se tra i presenti, una sessantina o una settantina, qualcuno, questo pomeriggio o domani mattina, presentasse un caso e ne discutessimo per un’ora. Sarebbe molto gradevole e istruttivo. Abbiamo fatto questo esercizio a Buenos Aires per un'intera giornata: al mattino è stata l'équipe medica dell'ospedale psichiatrico a presentare un caso, e nel pomeriggio ci sono stati quattro casi successivi che ci hanno regalato una giornata molto ricca., Mi sembra quindi molto probabile che affronteremo un caso clinico in questo fine settimana. D – Ha esposto una sequenza logica relativa al desiderio: prima allo stato grezzo, poi immaginarizzato e infine simbolizzato. D'altra parte, le psicosi sfuggono a questa sequenza a causa di una posizione strutturale della Verwerfung, la preclusione. In terzo luogo: l'analisi punta a una riformulazione sul piano del desiderio. Mi chiedo quale sia il futuro dell’analisi rispetto alla struttura della psicosi. È possibile proporre un lavoro sul piano della Verwerfung, la preclusione, aprendo la strada al soggetto psicotico sul percorso, sul passaggio dal grezzo all'immaginario e dall'immaginario al simbolico? J.-A.M – I tre tempi logici che ho distinto sono relativi a un momento dell'insegnamento di Lacan: quello del Seminario 1. Potrei mostrare nel seguito come ricolloca le cose. Oggi questo schema non mi sembra molto soddisfacente per una riflessione sulla psicosi. Abbiamo però già i preliminari della teoria di Lacan. Egli situa la psicosi a partire da una preclusione che si trova nel registro simbolico. La questione è sapere come definisce questo registro simbolico. Al tempo, l'essenziale del registro simbolico è dato dalle leggi della parola, dal circuito del riconoscimento. In primo luogo lo psicotico rifiuta, viene rigettato, si esclude dal circuito del riconoscimento. Poi Lacan parla della Verwerfung del Nome-del-Padre, Verwerfung delle leggi della parola. Quando Lacan cambia la sua definizione del registro del simbolico, non lo considera più con le leggi della parola ma con le leggi del linguaggio. La Verwerfung è formulata come la Verwerfung del Nome-del-Padre, non delle leggi della parola: è la Verwerfung della metafora paterna. Lacan ha potuto concepirla come metafora perché per lui l'inconscio è struttura dalle leggi del linguaggio. Ma se facciamo nuove ricerche sulle psicosi, possiamo chiederci da quale definizione dell'ordine simbolico procederemo per situarne il crollo. Molte questioni, coinvolte qui, si trovano in un punto successivo nell'insegnamento di Lacan. Dal momento in cui Lacan posiziona il godimento nell'ordine simbolico, siamo costretti a dire che è necessario operare da quel punto. In questo c’è una relazione con i trattamenti clinici, che dipendono da un'ipotesi sulla struttura dell'inconscio. La posizione dell'analista cambia in base a ciò che ipotizza a proposito della struttura. Per esempio, Lacan non ha in alcun modo mantenuto l'idea che non ci sia l’Altro per lo psicotico. Non lo ha mantenuto nello schema che fa di Schreber, anche se vi introduce dei buchi. Lacan mantiene la struttura del rapporto tra l’io e il simile. Dice: in verità, ritengo che Schreber si sostenga in due modi molto chiari: uno è che continua ad avere un rapporto di amicizia coniugale con la moglie. L’altro è che Schreber si rivolge a qualcuno, vi si rivolge realmente perché vuole fare del suo caso un caso clinico, la clinica Schreber. Non lo si può disapprovare, vuole lasciare la sua clinica all’umanità scientifica. Dire che lo psicotico è fuori dalle leggi della parola è un po’ esagerato. D – Sostenendo che il simbolico dovrebbe essere definito a partire dal Nome-del-Padre, penso che la mia domanda rimanga sospesa: quale sarebbe il futuro in relazione alla possibile posizione dell'analista rispetto alla mancanza del Nome-del-Padre? J.-A.M – Preferisce che risponda prima a questa domanda o vuole porne già un’altra? D – Penso che sia meglio porre ora la mia domanda. Quando ha cominciato a riflettere sulle crepe che emergono in una lettura come quella che ha fatto, soprattutto alla fine della sua presentazione, le sue domande sono diventate le mie. Tutti questi momenti, l'istante del desiderio grezzo, l’istante dello psicotico che precede la legge del padre, quello di quel corpo smembrato che sappiamo essere l'immagine stessa dello psicotico. Mi chiedo dove si inscriva il corpo nella psicosi. La donna che, diversamente dall’uomo, non è inscritta nell'inconscio, è il primo corpo. È in questa relazione di reale che la inscrive Lacan. Quando però si parla di psicoanalisi del corpo, sappiamo che si sta parlando dell'oggetto a, sottintendendo che si parla di tutto ciò che lei oggi presenta riferendosi anche soprattutto alla psicosi. Come si inscrive quel corpo nell’inconscio? D – Vorrei spendere qualche parola in più sulla psicosi. L’ho sentita dire che lo psicotico è fuori dal discorso. Pensa che ci sia qualche possibilità di inscrivere questo discorso o no? J.-A.M – Ci sono, in effetti, tre domande correlate. Lacan si è dedicato alla questione della psicosi in Su una questione preliminare, testo incluso nei suoi Scritti., Il suo rapporto con la psicosi non è tuttavia finito lì. È proseguito, per esempio, con la presentazione dei malati. Dopo quel grande testo non c'è però stato niente di paragonabile in tutto il suo insegnamento. Gli sono state poste domande in proposito, una volta, cinque o sei anni fa, da un piccolo gruppo che si incontrava nella Scuola freudiana. Gli abbiamo chiesto perché non avesse fatto altri progressi sulla questione della psicosi. Ha risposto gentilmente che era perché non aveva visto abbastanza psicotici e non aveva abbastanza esperienza per formulare una dottrina adeguata sull’argomento, segno di grande umiltà clinica. Gli abbiamo chiesto se avesse avuto psicotici in analisi. Ha risposto di sì. Gli abbiamo domandato se li avesse curati. Ha risposto che era successo, ma che non sapeva come aveva fatto. Ci ha parlato della cura per i bambini psicotici, riferendosi a Maud Mannoni. Ci stiamo con questo fermando su un determinato punto della storia, ma vorrei sapere cosa è successo due anni o un anno dopo. Non sono convinto che abbiamo delle certezze sulla cura. La domanda è se sia possibile, attraverso una forzatura, con un innesto, reinscrivere lo psicotico nell'ordine simbolico da cui è stato rigettato? È quel che prova a fare Melanie Klein con i bambini, la famosa forzatura edipica che conduce con il piccolo Dick di cui parla Lacan nel Seminario 1. Mette in lui il simbolismo dicendogli come strutturerà le cose con suo padre, sua madre, essendo lui il pene. Ciò costituisce un'imposizione forzata del simbolico affinché ci si ritrovi. Sembra piuttosto scandaloso. I filosofi trovavano scandaloso l'intervento di Melanie Klein. È tuttavia meglio che inginocchiarsi davanti a uno schizofrenico credendo che quella sia davvero la posizione soggettiva suprema, dove in realtà è un delirio irresponsabile. Non era quella l’opera filosofica a cui mi riferivo. L’Anti-Edipo non è un'opera da prendere sul serio. I suoi stessi autori hanno affermato di non avere una risposta per i problemi che hanno formulato lì. È normale, quindi, che nessuno abbia davvero pensato di praticare la schizo-analisi, nemmeno loro stessi. Lacan non ha certo preso posizione teorica su questo, è noto che ci sono stampelle immaginarie per questi fallimenti simbolici. Queste stampelle hanno permesso al presidente Schreber di rimanere fino all’età di cinquantuno anni con la falla essenziale di cui nessuno si era accorto. Ci sono stampelle immaginarie che la vita, l'esistenza, offrono allo psicotico, ma che lo pongono in estrema dipendenza da quell’elemento contingente. Se la vita rimuove quelle stampelle, il soggetto rimane senza sostegno. Quando quella falla si rivela, possiamo provare a inventare stampelle immaginarie, nuove stampelle. È vero che l'ancoraggio di questa o quella relazione psicoterapeutica può funzionare così, tuttavia la preclusione non viene suturata. E anche se qualche aspetto è guarito, si tratta di un'attività di sostegno che offre un appoggio sufficiente affinché, con quella ferita aperta, il soggetto riesca ancora più o meno a stare in piedi. È molto difficile costituire un legame sociale per la psicosi, perché essa non genera un legame sociale, sfugge al legame sociale. Chi finisce negli ospedali psichiatrici, almeno in Francia? Le persone non stabilizzate nel legame sociale. Alla fin fine è la polizia a fare la selezione per gli ospedali psichiatrici, la polizia e le famiglie. Vi si porta soggetto quando non si adatta alle esigenze della socialità, quando fallisce in relazione al legame sociale. Non c'è niente di straordinario nel dire che la psicosi è fondamentalmente fuori dal discorso. Ciò non significa fuori dal linguaggio. Il discorso è una concrezione del linguaggio, speciale, istituzionalizzata. Ora, riguardo alla psicoanalisi del corpo, bisogna essere chiari: non c'è psicoanalisi del corpo. Il corpo è inscritto e rappresentato nell'inconscio. Come viene rappresentato? Sotto la forma frammentata, espressa essenzialmente dai quattro oggetti coinvolti nel circuito della pulsione: il seno, le feci, a cui Lacan ha aggiunto la voce e lo sguardo: quattro rifiuti del corpo che hanno una funzione nell'inconscio. Vi si aggiunge la forma immaginaria che del corpo dell’uomo si imprime nell’inconscio, e che si chiama fallo. Il corpo nell’inconscio è così, non è la carne, è ciò che fa sì che nell'inconscio non vi sia rapporto sessuale. Da un lato c'è la rappresentazione di un unico elemento a partire dal quale devono essere determinati i due sessi, entrambi in relazione allo stesso simbolo sessuale. Per altro verso ci sono quattro oggetti, sostanze dell'oggetto a, oggetti asessuati. In realtà ci sono due sessi, ma nell'inconscio c'è un unico simbolo per entrambi. Quanto al resto, è asessuato, il che non facilita la vita al corpo. Possiamo sempre sognare di ritrovare l'armonia con il corpo, di reintegrare il soggetto nel proprio corpo. Per la separazione pluralizzante che ho appena evocato, non c'è rimedio. Quando il discorso della scienza era meno virulento di oggi, era possibile trovare un modo chiaro per meglio accomodarsi al godimento del corpo. C'era la saggezza, un saperci fare rispetto al godimento del corpo. Naturalmente sogniamo, è tutto quel che possiamo fare, non possiamo più praticarlo, e man mano che il discorso della scienza si espande, si approfondisce, tutto questo si perde, quella saggezza è irrimediabilmente smarrita. Man mano che il disagio si estende, la psicoanalisi estende la propria iniziativa, continuando da questo punto di vista a resistere. È chiaro che dipende da dove ci troviamo nel mondo, dalla penetrazione nel territorio di quell'entità astratta che è il discorso scientifico. E i luoghi in cui non ci si sarebbe adattati completamente a quel discorso sarebbero i luoghi in cui apparentemente ancora è possibile quell'armonia con il godimento. È la leggenda che abbiamo creato in Francia sul Brasile, che qui ci sarebbe più facilità con il godimento. Lo si dice perché il Brasile è lontano, per esotismo. Ma la vostra presenza qui, voi che esercitate la psicoanalisi, mostra che non è così. La psicoanalisi vince. D – Vorrei farle una domanda sul desiderio. Nella prima delle teorie pulsionali di Freud, ci sono le pulsioni di auto-conservazione e le pulsioni sessuali, e il primo modello presenta un conflitto tra la pulsione di autoconservazione, o pulsione dell’Io, e le pulsioni sessuali. Questa teoria è superata da un'altra opposizione: quella tra pulsione di vita, Eros, e pulsione di morte, Thanatos. Quel che vedo in Lacan sarebbe questo: abbiamo l’io e al contempo l'opposizione in relazione al desiderio. Il desiderio è ciò che trabocca, mette sotto scacco l’io. Quell'opposizione si iscrive allora in un altro termine di conflitto che sarebbe il godimento. La funzione del desiderio in un certo modo sarebbe quella di vagliare fino a preservare una certa unità narcisistica. J.-A.M – Può darsi che questa simmetria sia un po' artificiale, che non ci sia simmetria tra il termine sessualità, che lei esprime in primo luogo, e il desiderio che figura in secondo luogo. Sono d'accordo con questo: ego in opposizione a desiderio. Al punto, invece, in cui siamo arrivati riguardo alla costruzione del concetto di desiderio in Lacan, esso appare, in questo momento, legato all'io immaginario, che implica proprio la teoria del narcisismo in Freud, ovvero il fatto che il desiderio nell'essere umano è condotto lungo le vie del narcisismo, che è più parlato che parlante. Vedete allora che al momento del Discorso di Roma, Lacan prende molto sul serio il fatto che l'uomo è parlante e dice che quando è parlato è pazzo. Vedrete che è molto diverso da quello che dirà più avanti, quando considera che proprio l'inconscio implica che in fondo sia parlato ed anche parlante, e che è ancora più parlato che parlante perché è determinato da un significante che gli è esterno. Questo lo porterà persino a formulare l’espressione: "parlessere", che esprime allo stesso tempo l'essere parlante e l'essere parlato. Nel Discorso di Roma ha una posizione diversa, sottolinea il carattere attivo del parlare, e questo si accompagna alla teoria del pieno e completo riconoscimento dell'identità del soggetto nel suo desiderio. Questo è un grande punto di rottura nel suo insegnamento: dobbiamo isolare il momento in cui Lacan rinuncia all'idea del riconoscimento del desiderio. È un punto chiave da cui Lacan riparte, e spero di potervi portare a quel punto prima di passare ad altre cose. Solleverò ora alcune questioni riguardanti la clinica. La clinica psichiatrica, la clinica di osservazione, non riguarda un dato grezzo. La grande clinica psichiatrica costituitasi nel corso dell'Ottocento, soprattutto in Francia e in Germania, era formata da due scuole che avevano fra loro una certa rivalità, ma anche una complementarità. Poi sono finite, e noi ne abbiamo assorbito tutto ciò che potevamo. Tutto è finito negli anni 1920 e 1930, dopodiché non si è trovata nessuna altra entità clinica. Con i mezzi della clinica psichiatrica si è raggiunto un quadro soddisfacente, che ha una sua completezza. L'ultima grande tesi psichiatrica della scuola francese è la tesi di Lacan, nel 1931, è l'ultima espressione della psichiatria clinica. Un giovane psichiatra non lacaniano, Paul Bercherie, ha pubblicato la sua tesi Fondamenti della clinica, in cui tenta di dimostrare che la psichiatria clinica è finita cinquant'anni fa. Da allora, ovviamente, da un lato la psichiatria continua, e dall'altro c’è la biologia molecolare, che promette a breve di decretare la fine della psichiatria, o di ridurre la psichiatria ad assistenza sociale, e va detto che già in molti luoghi è ridotta a questo. A partire dal momento in cui sono stati inventati farmaci per la malattia mentale, di quale clinica abbiamo bisogno? Di una clinica degli effetti dei farmaci. Della grande clinica classica, che era così sottile, così piena di sfumature, sono rimasti semplicemente gli elementi che ci permettono di dire che un tal farmaco ha un tale effetto. È una clinica costruita sull'efficacia del farmaco. Mentre la clinica psicoanalitica non è vicina alla fine, si distingue dall'altra per il fatto che è il paziente stesso a dichiarare il proprio sintomo: la differenza fondamentale è che è il suo sintomo a portarlo all'analisi. Dal momento in cui il sintomo invoca come complemento lo psicoanalista, questo nell'esperienza analitica viene per unirsi al sintomo. Gli conferisce identità, il sintomo prende una forma propria. Questo dice Freud quando afferma che solo nell'esperienza analitica i sintomi acquistano una forma coerente nell'enunciazione che ne è fatta. La clinica psicoanalitica ha una particolarità che la rende difficile da oggettivare, difficile da trasmettere, poiché include colui che si definisce osservatore e lo include in modo essenziale. Questo vale anche per la psichiatria clinica. Sappiamo che Charcot aveva qualcosa a che fare con le manifestazioni delle sue isteriche: quanto più l'interlocutore dell'isterica funge da soggetto supposto sapere, quanto più imita il soggetto supposto sapere, tanto più si ingrandiscono le manifestazioni dell'isteria, tanto più crescono, offrendo un teatro puro. Può essere necessaria una certa deflazione da parte dell'analista, se non vuole che l'isterica si agiti eccessivamente. Ma non esiste una clinica grezza in psicoanalisi. La clinica psicoanalitica è sempre quella della traslazione: non se ne può astrarre la questione della posizione dell'analista. Un caso è sempre segnato, deve essere segnato da questa sospensione. Nella narrazione del caso analitico si tratta sempre di un analista che spiega la propria idea della propria posizione. Da lì deriva il modo in cui si teorizza il desiderio, il godimento, la sessualità, la fame, e così via. Quando Lacan ci parla di desiderio, di godimento, di riconoscimento, sta facendo clinica, ci mostra come di per sé si apprenda il fenomeno dell'esperienza analitica. Traduzione di Micol Martinez
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