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Di cosa si parla

Il corpo parlante. Sull'inconscio nel XXI secolo

5/12/2014

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Presentazione del X Congresso dell'Associazione Mondiale di Psicoanalisi.

di Marcus André Vieira, responsabile del Congresso

Il nostro corpo ci dice qualcosa in ogni momento. Per i medici, i suoi segni indicano lo stato di funzionamento della macchina. Il corpo può però dirci molto di più, perché è anche la nostra storia vivente, il risultato di tutto ciò che, nei nostri incontri, e anche prima della nostra nascita, ci ha segnato e costituito.
È quel che ci ha insegnato Freud. Inoltre, proprio toccando queste parole si  toccano anche la vita stessa del corpo e il suo godimento.
Che cosa, nella pioggia di parole che cade su di noi, conta? Cosa ci segna e cosa diventerà parte di noi, costituendoci come soggetto? L'unità del nostro corpo non è un dato di fatto. Abbiamo bisogno di qualcuno, la madre o chi si prende cura di noi, per dargli man mano consistenza, ed è nella misura in cui sono in grado di vivere lo sciame di sensazioni e di pensieri che mi attraversano come miei, che questo corpo, fino a quel punto parlato diventa un corpo che parla, diventa il mio corpo.



Oggi, quel che un tempo sosteneva l’identificazione immaginaria rischia d’essere sostituito dall’esplosione della legione di saperi che, da Google in poi, nel bambino intervengono in tempo reale. Siamo in posizione di chiederci se qualcosa non si sia messo in movimento nello specchio dell'Altro.
È ciò che il nostro manifesto vuole in primo luogo mostrare. Riprende il lavoro di Vik Muniz, pittore brasiliano che ha preso un quadro classico di Eckersberg e lo ha rifatto utilizzando frammenti di riviste. L'artista chiama Specchi di carta la serie d’immagini di cui fa parte quest’opera.

L’opera ci dà una sensazione di forte contemporaneità: l’immagine di sé tiene solo fino a che la guardiamo da lontano. Questo non esprime tanto l'idea comune: “Da vicino si vedono i vizi e i segreti nascosti" quanto piuttosto mostra come l’immagine di sé, corpo incluso, sia costruita.
Ma il manifesto vuole anche indicare qualcos'altro (incarnato dal titolo che fluttua da qualche parte tra l’immagine e noi). Presenta il tema del nostro Congresso: Il corpo parlante - Sull'inconscio nel XXI secolo.
Non è tuttavia ciò di cui abbiamo appena parlato. Non è il corpo parlato o il corpo che avrebbe acquisito la facoltà di parlare, ma il corpo parlante.
Assumere infatti la scommessa dell’inconscio significa accettare questo: quel che ci sostiene come uno non è quel che ci rimanda lo specchio, è piuttosto trovare sostegno in una proliferazione di ricordi dove si mescolano immagini e frammenti di discorso.
Nel caso in cui si persegua l’impresa quanto più in là possibile, ogni volta che ci si avvicina al godimento più essenziale di un corpo, quando ci si accosta a ciò che tiene vivo qualcuno, alla punta ultima della sua singolarità, non ci si trova di fronte a nessuna unità, ma sempre a qualcosa che è fatto al tempo stesso di linguaggio e di godimento (quel che Lacan chiama lalingua). È quel che si scopre nelle testimonianze di quanti hanno condotto la loro analisi fino a questo punto, e che, avendo offerto il loro racconto al dispositivo della passe, sono stati nominati Analisti della Scuola.
E il corpo? Dopo la passe, il nostro corpo è un vero e proprio "collage surrealista" (come dice Lacan nel Seminario XI a proposito della pulsione). È un po' come quello della donna del manifesto.
Ora, c'è qualcosa che fa la differenza tra il corpo esploso di oggi e il corpo come ce lo fa considerare un'analisi: è che l'analisi ci rivela fino a che punto ci si sostenga proprio su questi pezzi di godimento che sono al tempo stesso pezzi di lingua.
Non sono poi così numerosi. Nel corso degli incontri ci si accorge di qualcosa che dà loro il la, come una nota che incessantemente ritorna in una melodia – e non è un caso se qui spesso si parla di percussione, perché questo qualcosa non ha molto senso, solo torna ripetutamente a incidere nel nostro dire. Chiamiamola, con Lacan, sinthome.
Da questo punto di vista, la donna del manifesto ha corpo solo perché il sinthome, questo primo conio dell’Altro del linguaggio sulla vita, si fa parola e, cominciando a parlare, questa donna si intreccia con altre parole e compone un mosaico linguistico che dà una parvenza di unità. È per il fatto di parlare che può avere un corpo, e che può credere di essere, da qui il termine proposto da Lacan negli ultimi seminari: parlêtre.
Questo non vuol dire che si sappia già come fare. Siamo più abituati ad aver a che fare con un soggetto che viene a vederci considerando il proprio corpo piuttosto come un’unità chiusa, che, per esempio, non accetta di modificarlo in ogni momento, perché ci tiene come a un luogo sacro della sua anima. Supponiamo di aver sempre più a che fare con un corpo come quello di questa donna, che non crede più tanto di avere un corpo, ma che piuttosto che l’ha e che lo lavora come può, senza tuttavia potersi servire dell’appoggio dato dal suo sinthome.
Capisco allora perché J.-A. Miller ci abbia proposto nella sua presentazione del tema (http://bit.ly/1uHYSwy) di affrontare l’esplosione dell'immaginario contemporaneo facendo leva sul concetto lacaniano di parlêtre e scommettendoci. Faremo dunque nostra la sua proposta: "Scommettiamo che analizzare il parlêtre è quel che già si fa, basta saperlo dire”.
Non si tratta semplicemente di opporre soggetto e parlêtre, come se uno appartenesse al passato e l’altro all’avvenire, ma di esaminare al presente gli effetti della sostituzione dell’uno all'altro innanzi tutto nella clinica. Si tratterà di dire cosa accade nella nostra pratica quando si dà come partner il parlêtre, vale a dire, quando ha di mira il parlante del corpo e non tanto quel che  parlare produce come parvenza d’identità.
Il fatto è che la nostra pratica ha sempre più a che fare con un'altra divisione rispetto a quella teorizzata da sempre come divisione tra l'anima e il corpo.
Si può pensare a quella di qualcuno che ha il potere e ne gode, ma vede nell'uso senza limiti che fa della cocaina qualcosa che lo mette in pericolo, o all'esempio di una donna che può essere nella relazione d’amore solo come oggetto maltrattato, ma che al tempo stesso riesce nel mondo degli affari come nessun altro. Si tratta dunque della divisione di due di godimenti, entrambi del corpo, e non di quella tra l'anima e il corpo.
Bisognerà servirsi della tensione proposta da J.-A. Miller tra sinthome e sgabello, giacché quest'ultimo parte dalla "negazione dell'inconscio", con cui ci si può "credere padroni del proprio essere." Si prende allora uno sgabello dalla cultura, qualcosa "su cui il parlêtre si erge, si arrampica per farsi bello, per farsi avanti e fare il glorioso".
Dovremo anche riprendere quel che ci propone come una triade composta da debolezza mentale, delirio e inganno come veri e propri assi clinici riguardanti i tre registri immaginario, simbolico e reale nel quadro dell'esperienza con il parlêtre. In effetti, il sinthome annoda la debolezza mentale di prendersi come un corpo, il delirio di articolare quel che permette di crederci e l’inganno di lasciarsi andare attraverso il loro potere di cogliere “un reale a cui credere senza aderirvi, un reale che non ha senso, indifferente al senso, e che può essere solo quel che è”. Possiamo dire che abbiamo accesso a questo piano nell'esperienza clinica quotidiana? Mi sembra prudente servirsene come di una griglia per orientarsi, per traversare le forme attuali delle nostre sofferenze, delle nostre erranze e dei nostri godimenti.
È una grande esigenza clinica. Comincerà con lo sforzo di ridurre il divario che si produce a volte tra quel che leggiamo, quel che scriviamo e quel che facciamo.
Solo una comunità come la nostra può prefiggersi un tale compito.
I nostri Congressi, ogni due anni, sono attualmente il momento di  convergenza del lavoro di questa comunità, dei membri dell'Associazione Mondiale di Psicoanalisi. Siamo sparsi in tutto il mondo, ma stiamo lavorando  a partire dallo stesso orientamento. Assicurarsi che questo orientamento sia attivo nella nostra associazione è l'instancabile lavoro del nostro presidente che segue da vicino la preparazione di questo incontro.
Presto conoscerete il sito web del Congresso, tutte le informazioni pratiche sulle iscrizioni e sui mezzi per raggiungerlo.
Una parola infine per dire che il Brasile, sede del Congresso, può svolgere adeguatamente il proprio ruolo. È un paese che prende molto sul serio, nel bene o nel male, la potenza del corpo, che ha la tradizione di grandi manifestazioni dove il parlante del corpo si fa presente, ordina e tiene insieme masse che si contano a volte a milioni. I membri della Scuola Brasiliana di Psicoanalisi sono all’ascolto delle conseguenze che attraverso l'insegnamento di Lacan se ne può trarre.
Penso sia importante sottolineare quel che accade quando il parlante del corpo c’è a sostenere un dire, in quel che potrà generare come riso o come scandalo.
Non è un po’ quel che spiega il gran numero di presenze nelle nostre giornate e nei nostri congressi? È che si sa di poter leggere tutto su Google e di poter vedere tutto su Facebook, ma che per essere nel gioco della scommessa, la scommessa dell'indecidibile, di quel che un dire può provocare quando incontra il corpo, bisogna esserci.
La sfida dell’analisi resta il fatto dell'incontro con un dire che cambia la vita, e per questo, come scrive il poeta: "Non c'è equilibrio, solo equilibristi”. Per questo motivo vi invito a venire a incontrare i membri dell’AMP nel lavoro che svolgeranno in Brasile.
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