Conferenza tenuta a Torino il 7 luglio 2017 nell'ambito del seminario di politica lacaniana Jacques-Alain Miller Ho voluto completare la mia prima conferenza in cui facevo l’elogio degli eretici. Vi avevo mostrato i meriti dell’eresia, avevo argomentato in favore della posizione eretica. Ne avevo tratteggiato alcune affinità con la posizione dell’analista. Prima di questo avevo annunciato una rivista che avrebbe avuto come titolo Heretics. Per farlo mi sentivo autorizzato, avevo un precedente: la dichiarazione di Lacan nel Seminario XXIII – Il sinthomo, dove si definisce come eretico nel modo giusto. Lo diceva a proposito di James Joyce, lui stesso eretico rispetto a San Tommaso d’Aquino e rispetto alla Corona britannica. Cosa ne è derivato? Un fenomeno di moda nel Campo freudiano. Tutti parlano d’eresia. Ognuno si dice eretico. C’è come uno snobismo dell’eresia. È un’esperienza, un’esperienza viva. Non completerò quindi la mia prima conferenza sviluppando i punti che avevo enunciato alla fine, ma piuttosto parlandovi dell’ortodossia e – perché no? – dei meriti dell’ortodossia. Parlare dei meriti dell’ortodossia sarà il mio modo di essere eretico in un Campo freudiano ormai popolato di eretici. La moda eretica
Mi trovo così a ripetere la mossa di uno scrittore inglese, un umorista che è stato anche filosofo, si chiamava Gilbert Keith Chesterton. Anche lui all’inizio dell’ultimo secolo aveva notato in quella che possiamo chiamare la vita culturale del suo paese, una spinta all’eresia, e si era impegnato a controbatterla: Lo ha fatto a tal punto e così bene che si è convertito alla religione cattolica. Ha combattuto il trionfo dell’eresia in due libri, pubblicati nel 1905 e nel 1908, intitolati rispettivamente Heretics – come la rivista che ho annunciato – e Orthodoxy (1). Chesterton notava come un fatto nuovo, prima impensabile, che si dicesse ormai con soddisfazione: “Sono eretico”, mentre fino a quel momento questa parola era infamante. Cito qualche frase della prefazione del suo Heretics. “Non soltanto il termine eretico non significa più ‘avere torto’, significa in realtà essere ‘lucido e coraggioso’. Non soltanto il termine ortodossia significa che si ha ragione, significa in realtà che si ha torto”. Questa scelta per l’eresia ha un certo numero di conseguenze enumerate da Chesterton, e queste conseguenze ci accompagnano ancora, la loro attualità si è anche accentuata all’inizio del Ventunesimo Secolo. Si tratta innanzitutto di una certa mancanza di gusto, o meglio di un disgusto per il tutto. Come dice Chesterton: “Le teorie generali sono dappertutto disprezzate. Nell’arte, nella politica, nella letteratura, siamo sempre più portati a discutere dei dettagli”. Disgusto per il tutto e gusto per il dettaglio. Oggi una vera e propria industria raccoglie le opinioni particolari degli individui: si fanno dei sondaggi, si fanno dei calcoli, e all’occasione si regolano i propri comportamenti in base a questi calcoli. “L’epoca – diceva Chesterton – è dominata dall’epigramma perfetto di Bernard Shaw: la regola aurea è che non c’è regola aurea”. Se cerchiamo l’equivalente del principio di Bernard Shaw per la nostra epoca, potremmo dire che è: “Anything goes”, titolo di una commedia musicale di Cole Porter degli anni Trenta. La formula è stata ripresa dall’epistemologo Paul Feyerabend per qualificare il movimento stesso della scienza, per dire cioè: va tutto bene se è efficace. Chesterton aveva d’altra parte notato che la preminenza dell’eresia ha come conseguenza il dominio di una parola chiave: la parola efficacia. Sotto il dominio del criterio dell’efficacia Chesterton vedeva “la prova dell’indebolimento e della sterilità di cui era caduto preda il popolo inglese”. Poiché l’efficacia qualifica i mezzi, esalta i mezzi invece dei fini. “Nessun uomo forte delle epoche forti avrebbe capito cosa intendiamo per lavorare in modo efficace. Ildebrando - il papa Gregorio VII - avrebbe detto che lavorava non per l’efficacia ma per la Chiesa cattolica”. Questo mi sembra molto giusto. Il calcolo costi-benefici è venuto a sostituire le cause finali, alle quali non crediamo più, che oggi sono devitalizzate, delibidicizzate. La critica del dominio dell’eresia ha condotto Chesterton a un atto, un atto di conversione, ad abbracciare, nel 1922, la fede cattolica, e a diventarne l'apologeta. Non è il cammino che voglio seguire, vorrei piuttosto cercare di capire cosa Chesterton ha percepito a modo suo, che era un modo satirico. Eredità, filiazione, tradizione Diciamo, per approssimazione, che ha percepito la crescita dell’individualismo moderno, legato alla promozione della categoria di scelta, che è al cuore dell’eresia, del suo concetto, come mostra l’etimologia stessa. Hairesis, αἴρεσις in greco, lo ripeto, è la scelta; da qui il termine ha preso la deriva verso il senso di una scelta particolare, diversa dalla scelta della maggioranza, che qualifica quindi la setta, soprattutto quella deviante. Oggi la scelta è divenuta in se stessa un valore, il valore supremo dell’individuo consumatore, ma anche, al di là di questo, si può dire che è diventato l’atto per eccellenza del soggetto. La promozione della categoria di scelta viene fatta a detrimento del suo contrario, al quale daremo il nome di “eredità". La scelta prevale sull’eredità, la domina, tende a dominarla. Niente lo mostra meglio che la storia della religione. Fino ai tempi moderni la religione è stata una faccenda di eredità. Appartenere a una religione aveva sempre significato inscriversi in una tradizione. In questo senso, credere, avere la fede, voleva dire “seguire”, seguire la via della propria famiglia, del proprio villaggio. Lo spirito della modernità invece, animato dallo spirito della scienza, azzera le tradizioni. Nella conferenza tenuta a Nizza nel 1974 Lacan ha utilizzato questa formula, che non riassume tutto il suo pensiero, ma che riassume forse lo spirito della modernità: “Una tradizione è sempre una cazzata”. È una grande parola di liberazione, di emancipazione, se pensiamo quanto ancora pesino le tradizioni nella modernità e quanto rispetto ispirino, anche quando vanno contro gli usi e i costumi dei popoli. Questo è molto presente oggi rispetto ai problemi posti dall’inserimento della religione musulmana in Europa. Nell’Islam l’ortodossia non ha mai avuto l’importanza che ha assunto invece nel cristianesimo. Lo si vede dall’assenza, o dalla quasi assenza, di guerre di religione nella storia musulmana. Le guerre di religione sono invece state determinanti nella storia d’ Europa. Tuttavia i testi islamici chiamano l’innovazione col nome di bid‘a, che riguarda dottrine o le pratiche che non hanno dei precedenti nel Corano e nella vita del Profeta – si tratta per me di un sapere di seconda mano, mi riferisco all’eccellente dizionario dell’Islam politico, pubblicato dall’Oxford University Press (2). Un ḥadīth, un aneddoto tradizionale legato al Profeta, asserisce che ogni novità è un’innovazione, e che ogni innovazione è una deviazione che conduce all’inferno. L’innovazione richiede la condanna da parte degli eruditi religiosi, gli ulema (ahl alam), l’isolamento sociale e la punizione fisica degli innovatori. Notiamo tuttavia che era esclusa la condanna a morte, diversamente da quel che il cristianesimo faceva subire agli eretici. Nell’Islam il deviazionista continuava ad essere riconosciuto come credente. Lasciamo da parte il fatto che ci possono essere buone innovazioni e anche innovazioni necessarie, come celebrare l’anniversario della nascita e della morte del profeta. Il senso dominante è quello che ho esposto. Se torniamo al cristianesimo, cogliamo una verità che vale anche per l’ebraismo e, forse, in misura minore, per l’Islam: l’esperienza religiosa si basa sempre sull’esistenza di una “linea di discendenza di credenti”. L’espressione è di Daniele Hervieu-Léger, un’erudita di storia delle religioni, con la quale ho avuto la possibilità di dialogare in una serata organizzata dall’Ecole de la Cause freudienne. L’ esperienza religiosa comporta il riferimento a una filiazione costitutiva di una comunità spirituale, che riunisce credenti passati, presenti e futuri. Quando si produce una rottura di questa continuità, avviene ancora in riferimento a una filiazione. La rottura può infatti presentarsi come la restituzione di una filiazione autentica che sarebbe stata snaturata. Lutero, cinque secoli fa, si è sollevato proprio in nome della restituzione di un cristianesimo autentico. Non ci si può impedire di riconoscere la stessa mossa nell’insurrezione di Lacan nel 1953 e poi esplicitamente nel 1963, quando si oppone all’IPA, paragonandola a una Chiesa da cui sarebbe stato scomunicato, sebbene questo riferimento alla Chiesa sia velato dal fatto che al tempo stesso evoca Spinoza e la sua esclusione dalla Sinagoga. La problematica “ortodossia vs eresia” anima sempre la storia della psicoanalisi. Potenziamento della scelta religiosa Nella religione stessa osserviamo oggi un potenziamento della scelta, della pratica della scelta di conversione, la scelta che assume la modalità della conversione. La scelta di conversione è al centro del protestantesimo evangelico, molto presente per esempio in Brasile, dove conquista ogni giorno posizioni rispetto al cattolicesimo. C’è qui un rovesciamento di cui testimonia la pratica del battesimo. Il battesimo era normalmente somministrato alla nascita, segno che la Grazia era ricevuta nel contesto di un’eredità. Per gli evangelici il battesimo è somministrato dopo la scelta di conversione. Questa pratica dà luogo a una comunità fondata sulla scelta e non sulla tradizione. Come non pensare al dispositivo creato da Lacan per la comunità da lui creata? Lacan ha avuto l’idea di una società analitica che sarebbe fondata su una sorta di scelta di conversione effettuata al termine dell’esperienza analitica. Aveva la speranza che questa comunità si mantenesse, si perpetuasse, come comunità della scelta. Ora, anche una comunità fondata sulla scelta soggettiva è sottoposta a quel che i sociologi delle religioni conoscono con il nome di “dinamica della conformità”. Ho appena notato l'esistenza questa dinamica della conformità nella nostra comunità con il lancio della categoria dell’eresia, subito adottata nel Campo freudiano come nuovo standard. È quel che mi ha spinto oggi a fare questa critica. Diciamo che c’è una messa in tensione permanente tra la logica dirompente della scelta e la ricostituzione della conformità. Aggiungiamo che negli Stati Uniti si è sviluppata una sociologia delle religioni fondata su una visione economica della scelta religiosa – la scelta religiosa concepita in termini di efficacia, secondo il calcolo costi-benefici. In questa prospettiva sociologica, dove si ritrovano diverse scuole, il credente è assimilato a un consumatore, che fa una valutazione confrontando i costi implicati dall’impegno religioso e i benefici che a partire da questo impegno gli possono venire. Questo dà luogo a tutta una discussione sugli effetti del mercato aperto generalizzato della religione paragonato alle situazioni di monopolio religioso. Ci sono argomenti da una parte e dall’altra: da una parte la concorrenza può essere uno stimolo per l’impegno religioso: dall’altra si constata anche che le adesioni religiose sono più numerose in una situazione di monopolio. I sociologi hanno in oltre di tanto in tanto il sospetto che la scelta religiosa non sia del tutto assimilabile a un calcolo costi-benefici. Nella scelta religiosa la pura perdita può avere una funzione. Il sacrificio, il dono di sé, non entrano nel calcolo dell’efficacia. La generalizzazione della funzione della scelta è un’innovazione nel campo religioso che traduce il trionfo dell’eresia di cui Chesterton faceva la satira. Il comune, o l’”io” fuso nella massa La scelta soggettiva - possiamo dirlo come di una struttura – si profila sempre sullo sfondo di ciò che è comune, si strappa dal comune. Allora, che cos’è comune? Che cos’è nell’epoca dell’efficacia? Cioè nella nostra epoca, quella della devitalizzazione delle cause finali? A questo comune qualcuno ha dato un volto al tempo in cui ancora era vivo Chesterton, nel 1927, in un modo filosofico che non esclude affatto una componente satirica: penso ad Heidegger in Sein und Zeit. Il volto del comune contemporaneo è il Si, categoria esistenziale sviluppata da Heidegger. In questo trattato filosofico, senza dubbio molto difficile, il Si fa un’entrata in scena teatrale, come se fosse un personaggio nuovo, un personaggio della nostra epoca che soppianta l’Io. Il Si è l’Io fuso nella massa. In questa analisi fenomenologica ci sono degli echi con la Massenpsychologie di Freud. Heidegger tratta un problema contemporaneo che aveva trovato una sua prima espressione nella celebre opera sulle folle di Gustav Le Bon. Si potrebbe fare una lettura comparata tra Sein und Zeit e Massenpsychologie. Non la svilupperò, potrà essere oggetto di un altro seminario. Nella massa il soggetto cessa di essere singolare, diventa equivalente a ogni altro. Cito Heidegger: “Nell’uso dei mezzi di trasporto pubblici in comune, nel ricorso a organi di informazione, (il giornale, oggi aggiungeremmo la radio, la tv e internet), ogni altro equivale all’altro”. In Heidegger il Si è la personificazione della massa. La mia ipotesi è che rappresenti il comune. Nel Si il Dasein è disperso, si è perduto, e da qui la necessità di ritrovarsi. Nel seguito di Sein und Zeit, Heidegger mostra così che il Dasein si ritrova quando prende una decisione fondamentale, cioè quando fa una scelta autentica. La finalità di Sein und Zeit è mettere il Dasein nella condizione di fare una scelta autentica. Heidegger parla anche del Man-Selbst che è stato tradotto in italiano con “Si-stesso”, sono io in quanto faccio corpo col Si, in quanto seguo/sono, je suis, gli altri. Il traduttore francese propone il doppio senso dell’espressione je suis che significa io sono e io seguo. Questo Si-stesso, nota Heidegger, è quello che dice più forte e più spesso “io”. Oggi questo s’incarna negli apparecchi che tutti abbiamo e che comportano delle opzioni. Quanto più gli apparecchi sono numerosi e sofisticati, tanto più si prestano a essere personalizzati. Quando comprate un iPhone per esempio, vi danno sempre la scelta: del colore, della dimensione, delle applicazioni. Quanto più più regna l’equivalenza tanto più si moltiplicata la scelta in una forma meccanizzata. Il Si heideggeriano è il volto del comune di oggi. Quando leggiamo le sue analisi del 1927 si vede che la storia del mondo si è sviluppata in quel senso, ed è sempre più un’evidente. In Heidegger questo comune sembra dato come già costituito nell’esperienza immediata dell’esistenza. Carattere secondario dell’ortodossia A questo comune contemporaneo opporrei il comune della tradizione che era un comune costruito, ovvero precisamente quel che abbiamo chiamato ortodossia. Dobbiamo qui completare, correggere l’analisi di Heidegger, che è un’analisi fenomenologica, e non storica. In effetti quel che appare come il Si di un’analisi fenomenologica dell’esistenza contemporanea risulta anch’esso da una costruzione. I mezzi pubblici di trasporto in comune sono infatti determinati da una burocrazia che li pensa e che li finanzia. I giornali sono prodotti da redazioni e amministrazioni, sono il risultato della storia di correnti di pensiero. Sono le multinazionali che producono gli apparecchi di comunicazione, come tutti i prodotti industriali. In un certo modo è l’ortodossia di oggi. Ma prendiamo il comune nel modo in cui è stato costituito come ortodossia nel discorso che le ha dato un posto della più grande importanza, cioè nel discorso cattolico. L’ortodossia è il risultato di una costruzione, viene dopo in rapporto all’eresia. Questa può dunque essere designata come tale solo a posteriori, dopo la costituzione dell’ortodossia, che è costruita come una sinfonia a partire da una cacofonia, la cacofonia delle opinioni particolari. Questo si coglie molto bene nei primi tempi del cristianesimo, in un tempo in cui l’avvenimento Gesù Cristo è stato prima colto nel contesto dell’ebraismo come una sorta di meteora. È un reale che ha mandato all’aria un ordine simbolico plurisecolare, provocando sconvolte conversioni, per dare un senso all’evento Gesù Cristo nel quadro della problematica ebraica. In certo qual modo tutti questi discorsi erano eretici, e alla fine sono stati giudicati eretici quando si è delineata l’ortodossia. Non poteva essere altrimenti, nella misura in cui il cristianesimo è nato nel contesto ebraico, a differenza dell’Islam che è nato, per così dire, su una pagina bianca, pur subendo d’altra parte influenze ebraiche e cristiane. All’inizio c’è dunque stata necessariamente la cacofonia. Nello stesso modo, i primi approcci fatti all’evento Freud, sono stati falsati, perché anche Freud è giunto come una meteora in un contesto di pensiero in cui si è inscritto come una totale sorpresa. Per questo motivo Lacan è potuto venire come quello che ha detto che tutto andava ripensato a partire da Freud, mentre all’inizio la prima mossa era stata di catturare l’evento Freud nelle categorie preesistenti. Finalità dell’ortodossia L’ortodossia cattolica è stata animata da un τέλος, (telos) una finalità, una causa finale, che è mancata ai discorsi rivelatisi eretici. Questa finalità consisteva nello stabilire ne varietur un discorso che sia universale, un discorso che valga come un canone, come uno standard. Certo alcuni storici della religione, essi stessi preti, sono portati a credere che l’ortodossia fosse già lì prima di venir formulata e le attribuiscono una realtà trascendentale. È la situazione descritta da Ernest Renan nel seminario di Saint-Sulpice di cui era allievo: bisognava credere che tutti i dogmi della Chiesa, tutti i sacramenti fossero già stati istituti da Gesù Cristo. In alcune pagine davvero divertenti narra tutta la sottigliezza di questi maestri nel giustificare alcuni lampanti anacronismi, che lo hanno portato ad abbandonare il Seminario e la religione cattolica con grande pena. Essendosi impegnato nella linea della critica storica dei testi, non poteva più tornare indietro. In un certo modo l’ortodossia ha iniziato a disfarsi quando il sapere testuale è diventato oggetto di una ricerca di tipo scientifico, cosa cominciata nel XVII secolo. Mi riferirò qui a un libro che mi piace molto, un libro inglese che si intitola The Making of Orthodoxy, (3) una raccolta in omaggio a uno storico del cristianesimo primitivo, Henry Chadwick. Vi leggiamo che in fondo l’eresia è la precondizione dell’ortodossia e che le prime forme di credenza cristiana hanno in comune che la sacralità appariva legata a un luogo particolare. Che si tratti di un edificio o della casa di un eccellente parlatore, oratore credente, la vita religiosa si sviluppa intorno a questo luogo come un’esperienza condivisa, che offre un’identità ed è basata su un insight, su una scelta di conversione che può prendere la forma di un’iniziazione. Si vede subito cosa distingue l’ortodossia: il suo affioramento presuppone una delocalizzazione della sacralità, una deterritorializzazione, per usare un termine caro a Deleuze e Guattari. Perché affiori l’ortodossia occorre che la religione come locale, come in un primo tempo locale, sia stata messa in crisi e si sia rivelata troppo debole per gestire questa crisi. La sacralità locale esige una stabilità del mondo in cui è situata. Se il mondo conosce dei cambiamenti, delle rotture, dei disordini, la sacralità locale non riesce più a mantenersi, le ci vuole un ambiente più vasto. Hanna Arendt è citata in The Making of Orthodoxy per aver sollevato questione: come può esserci un legame sociale abbastanza forte da sostituire il mondo? L’ortodossia ha risposto a questa questione. La deterritorializzazione, la delocalizzazione è incarnata qui dal personaggio di San Paolo, dai suoi viaggi incessanti come missionario, per trasmettere a una Chiesa locale il messaggio di Salvezza delle altre, in modo da creare un sentimento d’identità condiviso tra comunità distanti nello spazio. La forma letteraria dominante nel cristianesimo primitivo è la lettera, la missiva, l’epistola cattolica. La lettera è stata innalzata alla dignità del canone. È stato attraverso la lettera e i viaggi che i missionari hanno creato il sentimento di un mondo comune. Qui l’insight soggettivo, la scelta di conversione, l’έννοια (ennoia) greca, il risveglio, l’illuminazione, assumono minor importanza rispetto alla comunità e al problema delle sue relazioni con la città, come nei primi tempi della pratica ebraica a Gerusalemme. Quando l’ortodossia prende forma, il ruolo di missionario è attribuito al vescovo, in particolare nell’opera di Eusebio di Cesarea, il cui il punto di mira è l’unità della Chiesa, la costruzione di un Uno articolato sul molteplice delle comunità, che all’inizio passa attraverso contatti personali. Cito: “Nella prima generazione l’ortodossia dipende dalla mobilità dei credenti e dei missionari, e poi dalla mobilità degli emissari dal centro”. Spazi-tempo distinti Tra l’ortodossia e le credenze locali che saranno qualificate come eretiche, non c’è solo una differenza in termini di spazio, c’è una differenza sul piano della temporalità. Nella conversione, la temporalità si riassume nell’istante, quello dell’insight, l’istante di vedere, secondo l’espressione di Lacan, istante che cancella la storia, l’origine, il processo. Lo si avvera in particolare nell’esperienza gnostica. Al contrario, nell’ortodossia cattolica la relazione tra chi insegna e chi apprende è fondamentale. Detto altrimenti, l’ortodossia è animata dalla temporalità del tempo per comprendere. È quel che differenzia il cristianesimo dalla gnosi: la fede non si riduce all’illuminazione, all’istante di vedere. La fede si sviluppa secondo una temporalità estesa. La relazione del credente con Dio non si riduce a un’interiorità atemporale, ma prosegue attraverso le deviazioni storiche. Gesù non dà una risposta definitiva acquisita una volta per tutte. Il fatto stesso che il suo insegnamento si sia realizzato attraverso parabole, chiama, richiede l’interpretazione. Queste interpretazioni sono passibili di essere criticate, completate, sostituite. L’insegnamento attraverso parabole introduce una temporalità regolata sul tempo per comprendere. Nel cristianesimo c’è così il Dio interiore di cui S.Agostino dice che è intimo o intimo meo, in me più di me – frase che Lacan riprende a proposito dell’oggetto a – ma c’è anche il Dio esterno, quello dell’incarnazione, che collega il credente al mondo come va, al corso del mondo. Il Dio dell’incarnazione non è un Altro immobile. Qualcosa che si muove in lui, il suo desiderio se vogliamo. Il mondo è un momento necessario della gloria di Dio. È molto diverso dall’Islam, dove il Corano procede direttamente dalla divinità, dove l’interpretazione e la storia non hanno un posto religioso assegnato. Senso comune… o peggio L’ortodossia è definita da dogmi che, non essendo chiari – diceva Pascal – non per questo sono meno validi, perché riflettono le contraddizioni e i paradossi stessi dell’uomo. Questo ha dato luogo a un senso comune che – possiamo dire con Lacan – appare nelle nostre società come il senso comune che lui ha indicizzato col nome di San Tommaso d’Aquino. Lacan lo credeva così fermamente che ha cominciato a fare del Nome del Padre il perno della sua clinica. Cos’è il Nome del Padre? Una categoria ereditata direttamente dalla fabbrica dell’ortodossia. Lacan gli ha dato un posto centrale nella sua clinica, al punto di definire la psicosi attraverso la preclusione del Nome del Padre. È una categoria clinica, senza dubbio ma le cui fondamenta sono integralmente teologiche. Ecco perché Lacan ha potuto mettere in rapporto la psicosi con una scelta originaria, come se si trattasse di un’eresia clinica. Solo che, come già notava Chesterton, l’eresia ha trionfato, cosa che Lacan formula in termini clinici quando enuncia che “tutti sono pazzi”. Vale a dire cioè che ormai ciascuno fa la propria scelta. Lo sappiamo, il mondo in cui viviamo e vivremo sarà animato dalla frenesia della scelta, che si estende oggi fino alla scelta del sesso. Riconosciamo qui la dinamica del mondo contemporaneo. Dobbiamo aderirvi? In ogni caso non dobbiamo farlo senza domandarci se il regno della scelta non sarà peggio del regno del padre, peggio del senso comune della ortodossia. Lacan si è posto la questione: è quel che significa il titolo misterioso del suo seminario “…Ou pire”. Père ou pire, padre o peggio. Scelta forzata In ciò che abbiamo sotto gli occhi non possiamo non riconoscere la presenza della scelta forzata, espressione forgiata da Lacan, che è evidentemente un’espressione paradossale. Designa la scelta che si fa quando non si ha scelta. Ma è una scelta. È il richiamo al fatto che non c’è puro determinismo. Il soggetto s’inscrive nella relazione causa-effetto attraverso la scelta. C’è una relazione della causa con l’effetto, ma occorre ancora che il soggetto vi acconsenta. Può rifiutare il suo consenso. Cos’è il rifiuto della scelta forzata? Questo non impedisce che la scelta resti forzata. Ma per il soggetto questo consiste nel mettersi nella posizione di colui che frena, il Katechon (κατέχον) di cui parla San Paolo, colui che tenta di ritardare il trionfo di Satana. La Chiesa cattolica resta oggi tesa verso questa posizione, anche se ha superato il Syllabus del Vaticano I, secondo il quale la Chiesa cattolica non doveva conciliarsi con la modernità. La Chiesa è andata oltre questa posizione, ma è tutta presa nell’azione di colui che frena. L’ortodossia non è più la scelta forzata universale, è essa stessa oggetto di una scelta. Ci sono cioè soggetti che fanno la scelta della tradizione. Su questo bisogna dire alla psicoanalisi e agli psicoanalisti, de te fabula narratur. Poiché la storia dell’ortodossia e dell’eresia, del senso comune e della scelta soggettiva, è anche la storia della psicoanalisi. E in particolare di quella del Campo freudiano, che tende verso la Scuola Una, che ha anch’essa i suoi missionari, i suoi viaggiatori, i suoi emissari, le sue pubblicazioni e adesso ha anche la sua radio e la sua televisione, che tende la stessa tela di ragno sulle comunità analitiche che nei primi secoli era tesa del cristianesimo sulle comunità dei credenti. Riconosciamovi semplicemente l’azione della stessa struttura, della struttura del discorso. C’è da fare una scelta tra il significante padrone e l’oggetto a. La scelta lacaniana è dal lato dell’oggetto a, cosa che si traduce nel fatto che l’eresia abbia la meglio sull’ortodossia. È il paradosso per cui la psicoanalisi è in sintonia col mondo contemporaneo, come avevo già detto al congresso di Commandatuba. Sono cose che succedono nel corso del mondo. Ma quando un membro del Campo freudiano si sposta in un’altra comunità, come io oggi, che da Parigi vengo a Torino per la seconda volta in breve tempo – pur essendo anche altrove, perché mi è stato detto che questa conferenza è filmata – lavoriamo per costruire un senso comune tra quanti esercitano la psicoanalisi come lacaniani. Resta la necessità di non cadere nel Si, cosa che richiede vigilanza per permettere di mantenere la scelta nel quotidiano. Questa è la nostra politica, è dialettica: non lasciare che si dissolva il senso comune di quanti esercitano la psicoanalisi, non lasciare che questo comune si irrigidisca in dogmatismo e, a questo scopo, occorre continuare a farsi interrogare dalla pratica analitica. 1) G. K. Chesterton, Eretici, Lindau, Torino 2010; ID. Ortodossia, Lindau, Torino 2016 2) Rethinking Political Islam, (Edited by Shadi Hamid and William McCants), Oxford University Press, 2017 3) The Making of Orthodoxy: Essays in Honour of Henry Chadwick, (a cura di Rowan Williams) Cambridge University Press, 2002. Trascrizione e traduzione di Marianna Iacona e Andrea Tringali Revisione di Marco Focchi Testo non rivisto dall’autore
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