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Di cosa si parla

Disabilità mentale nell’età evolutiva: il caso dell’autismo

4/10/2013

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di Paola Bolgiani
 
Il testo sull’autismo approvato il 19 aprile 2013 e pubblicato il 1 agosto 2013 dal Comitato Nazionale per la Bioetica della Presidenza del Consiglio dei Ministri,  è un poderoso testo che si propone di affrontare le questioni bioetiche poste dalla “tematica dello ‘spettro autistico’”, come tema  “che si pone nell’intersezione tra i due grandi temi della salute mentale e della disabilità, ritagliandolo in quelle particolari fasi della vita umana, l’infanzia e l’adolescenza, in cui le capacità mentali evolvono verso la maturità”.[1] Questo tema è stato scelto in quanto si è ritiene che l’autismo sia una condizione paradigmatica delle problematiche che riguardano in generale le cosiddette “disabilità psichiche” (categoria in cui oggi rientra in generale la malattia mentale), ed in particolare la difficoltà di creare una “sensibilità sociale” verso i diritti delle persone che ne sono portatrici. Dato che l’autismo è una condizione che riguarda l’individuo fin dall’infanzia, si considera questa tematica particolarmente sensibile per i problemi più generali legati all’integrazione sociale delle persone  “disabili”.
I

lI testo si compone sostanzialmente di due parti: la prima che si sofferma diffusamente, seppure attraverso delle veloci carrellate, sui risultati delle più recenti ricerche sulla genesi del cosiddetto “spettro autistico”; la seconda, che mette in rilievo gli aspetti bioetici sollevati dalla discrepanza fra i diritti supposti alle persone portatrici di questa difficoltà e la loro effettiva realizzazione, e che si conclude con un elenco di criticità rilevate soprattutto a partire dalle audizioni svolte dal Comitato per la Bioetica con rappresentanti delle famiglie di soggetti autistici o di associazioni che si occupano di autismo.
E’ un testo non privo di interesse da almeno due punti di vista.
Innanzi tutto esso consente di farsi un’idea di come proceda la ricerca di cause organiche nell’autismo, mettendo onestamente in rilievo la grande varietà delle ipotesi fino ad oggi esplorate e la rilevanza puramente statistica dei risultati ottenuti, per giungere a sottolineare - ed è molto interessante - come l’ipotesi oggi più accreditata si orienti verso l’idea di un “deficit” non tanto riscontrabile in un qualche substrato biologico, bensì a livello dell’integrazione del funzionamento di svariati elementi del sistema nervoso, integrazione che risentirebbe del fenomeno “della plasticità cerebrale […] e cioè l’ampiamente accettato concetto di una dinamica dello sviluppo cerebrale – come un processo interattivo fra strutture e ambiente, con esiti solo statisticamente prevedibili”.[2]
Il secondo punto di interesse, a mio parere, risiede nel domandarsi a quale esigenza risponde questo, come altri testi prodotti dal Comitato Nazionale di Bioetica. L’accento più propriamente bioetico posto dalla Commissione è il relazione, come si accennava, alla necessità di creare una sensibilità sociale verso i soggetti autistici. Come hanno messo in rilievo J.-A. Miller ed E. Laurent nel 1996/97 col Seminario L’Autre qui n’existe pas et ses comités d’éthique,[3] si vede bene come la debolezza del simbolico che caratterizza la nostra civiltà produca il venir meno del tessuto del legame sociale, che poteva permettere ai soggetti di trovare un proprio posto all’interno di una comunità. Occorre quindi un Comitato di Etica per ripristinare, in maniera tuttavia artificiale, quel posto che è stato cancellato, e che potrà darsi, a quel punto, solo a partire da un incasellamento diagnostico, che situa quella “differenza” da ciò che è considerato “normale” in una specifica categoria, di cui si suppone conoscere i bisogni e le necessità.
La congiunzione fra discorso della scienza e discorso capitalista in cui ci troviamo ha prodotto la riduzione dell’umano a parametri di funzionamento misurabili e quantificabili in rapporto allo standard. Ciò non può che produrre segregazione e discriminazione. Ora, i Comitati di Etica sono la risposta a questo movimento, che sollecitano, come recita il testo, a “rimuovere alla radice il motivo della discriminazione dei disabili e di rafforzare il senso di responsabilità sociale”,[4] rischiando tuttavia che la cosiddetta “integrazione” non sia che l’altra faccia della segregazione se l’accezione dominante diventa quella di una logica di mercato in cui predomina l’interesse  per la curabilità e per l’integrazione e l’inserimento.
Nel testo del Comitato Nazionale per la Bioetica si fa riferimento a quelle che sarebbero “barriere” o “facilitatori” in rapporto ai soggetti autistici, auspicando la rimozione delle prime e la promozione dei secondi. Ecco un esempio: “Di fronte alla difficoltà di comunicazione e di interazione sociale che caratterizza l’autismo, funziona come “barriera” lo stesso mantenimento dello status quo delle “normali” modalità di comunicazione/interazione, mentre la ricerca di nuove modalità, a partire da una modifica della strutturazione degli spazi e dei tempi del comunicare funziona come “facilitatore”.”[5] Ebbene, c’è da chiedersi se questo principio non sarebbe auspicabile per ciascun soggetto, uno per uno, al di là della diagnosi di cui è portatore.
Infine credo che sia importante sottolineare che le posizioni più violentemente unilaterali si trovano nell’ultima parte di questo testo, quella che riporta i risultati delle audizioni di rappresentanti dei famigliari e delle associazioni per la cura dell’autismo. In particolare esse riguardano la segnalazione, che proviene specificatamente dalle associazioni dei famigliari, della difficoltà di una diagnosi precoce a cui segua “un’adeguata attività di recupero. L’ideale – prosegue il testo – sarebbe rappresentato da 30 ore settimanali di intervento educativo-abilitativo speciale, personalizzato e diretto, basato sulla metodologia Appliedbehavior analisys (ABA), che non solo aiuta i bambini a svolgere le funzioni fondamentali dell’esistenza (vestirsi, mangiare con la famiglia seduti a tavola, prendersi cura della propria igiene, superare l’autolesionismo), ma li abitua ad imparare”.[6] Credo che questa ultima notazione ci dia la misura, oltre che del dramma che vivono le famiglie con bambini autistici, anche di quanto lavoro ancora occorra fare per stabilire legami di fiducia che possano far sentire l’efficacia di un lavoro che non passa solo per l’apprendimento.


[1] Presidenza del Consiglio dei Ministri, Comitato nazionale per la bioetica, Disabilità mentale nell’età evolutiva: il caso dell’autismo, p. 7
[2] Ibid., p. 39
[3] J.-A. Miller, E. Laurent, L’Autre qui n’existe pas et ses comités d’éthique, Seminario 1996/97, inedito.
[4] Presidenza del Consiglio dei Ministri, Comitato nazionale per la bioetica, Disabilità mentale nell’età evolutiva: il caso dell’autismo, p. 43
[5] Presidenza del Consiglio dei Ministri, Comitato nazionale per la bioetica, Disabilità mentale nell’età evolutiva: il caso dell’autismo, p. 43
[6] Ibidem, p. 62

Fonte: SLP-Corriere
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