Eric Laurent Il desiderio dello psicoanalista e il suo rapporto con la scrittura Nel 1973 Lacan invia una lettera ai suoi allievi italiani [1] in cui propone loro di formare un gruppo dove il reclutamento proceda dall'esperienza della passe, e dove essi stessi fungano da passeurs. Precisa in questa lettera cosa intenda con l'autorizzazione particolare che consente una psicoanalisi: “Non qualsivoglia essere parlante potrebbe autorizzarsi a fare un analista. [...] Solo l'analista, non chicchessia, si autorizza da sé” [2]. Distingue quindi, nel passaggio allo psicoanalista, i soggetti che funzionano come psicoanalisti – il che rende solo probabile che ci sia psicoanalista – e la questione dell'ex-esistenza dello psicoanalista. Lacan evita con cura di evocare l'essere psicoanalista. Si attiene alla questione che ci sia psicoanalista. Il sapere e la scrittura
L'autorizzazione che individua si basa su un sapere. Un sapere ottenuto dall'analisi al di là del lamento: “sapere che del lamento l'analisi usa solo la verità» [3]. Al di là del lamento e degli effetti di verità, si situa un sapere, «il sapere in gioco [...] è che non c'è rapporto sessuale, rapporto che possa essere messo in scrittura.” [4]. Questo impossibile, questo reale, permette di costituire una nuova dimensione [dit-mension] del sapere. La torsione si basa sul fatto che quel che impossibile scrivere produce una fioritura di lettere, quelle evidenziate da Lacan. Queste lettere permettono di annotare le peripezie che ciascuno incontra con il desiderio e con il godimento, al di là degli effetti della verità che affiorano quando si evidenziano il fantasma e il suo funzionamento. Scrivere questo nuovo sapere presuppone un soggetto che voglia farlo. È un desiderio nuovo nella storia: quello di diventare agente del discorso dello psicoanalista. È un desiderio che non esisteva prima dell'esperienza psicoanalitica, perché quel che esiste è «un'umanità che non è fatta per il sapere poiché non lo desidera” [5]. L'umanità, il per ogni uomo, che poi Lacan chiamerà LOM, non ne vuole sapere, vuole continuare a sognare la felicità. Perché questo nuovo desiderio venga alla luce è quindi necessario un soggetto che rompa con il discorso comune. “C'è analista solo se gli viene questo desiderio, o perché già in tal modo egli è il rifiuto della cosiddetta (umanità).” [6] Ciò che Lacan ha in prima battuta chiamato desiderio dello psicoanalista si precisa con il discorso dello psicoanalista. Presuppone un soggetto che voglia venire al posto dell’agente. Lo scienziato e lo psicoanalista Questo soggetto di un desiderio nuovo presuppone un soggetto preliminare, lo scienziato, che è già esistito nella storia. Questi produce un sapere inedito attraverso un’operazione particolare. “Lo scienziato produce il sapere attraverso la parvenza di farsene il soggetto” [7]. Lacan sviluppa qui la sua riflessione sulla storia delle scienze a partire non dall'oggetto di una scienza, ma dal soggetto che se ne fa l'agente del discorso. È quanto aveva già evidenziato in “Scienza e verità”[8] L'originalità dello scienziato non sta nell'oggetto della scienza, ma nella sua posizione soggettiva di scienziato. È lui che si rende responsabile del progresso della scienza. Il discorso della scienza non si tiene tuttavia nell'empireo. Lo scienziato più che unirsi al politico, o al padrone, come denunciava Max Weber [9], si unisce al discorso dell'isteria. Risponde alla domanda di sapere formulata dall'isterico che, lei o lui, si fonda esclusivamente sulla passione per la verità. Se è necessario fare qualche deviazione per legare il discorso dello studioso con quello dell'isterico, è manifesto che Freud ha estratto la posizione del discorso dell'analista dal suo legame con i soggetti isterici. "Qualunque cosa la scienza debba alla struttura isterica, il romanzo di Freud sono i suoi amori con la verità” [10]. Il romanzo di Freud è anche il suo ricorso al mito per fornire i quadri del sapere [11]. Ciò da cui l'analista deve cadere, ciò da cui deve separarsi, è la dimensione del romanzo e dei significati che esso incarna nei personaggi. Ma anche dalla dimensione del mito, «tentativo di dare forma epica a ciò che sta accadendo della struttura” [12], per attenersi alle lettere e volersene fare l’agente. Il paradosso del desiderio dell'analista e del suo desiderio di sapere è che passa attraverso il confronto con «la causa del suo orrore, del suo stesso, distinto da quello di tutti, orrore di sapere” [13]. Vedremo nella nostra prossima cronaca come opera questo specifico orrore nel suo rapporto con la lettera. Eric Laurent ____________________________________ [1] Cf. Lacan J., « Note italienne », Autres écrits, Paris, Seuil, 2001, p. 307-311. [2] Ibid., p. 308. [3] Lacan J., « Note sur le choix des passeurs », mai 1974, inédit, disponible en ligne. [4] Lacan J., « Note italienne », op. cit., p. 310. [5] Ibid., p. 308. [6] Ibid. [7] Ibid., p. 307. [8] Lacan J., « La science et la vérité », Écrits, Paris, Seuil, 1966, p. 855. [9] Cf. Weber M., Le Savant et le politique, Paris, 10/18, 1963. Également disponible en ligne. [10] Lacan J., « Note italienne », op. cit., p. 309. [11] Cf. Dumézil G., Du Mythe au Roman, Paris, PUF, Collection Quadrige, 1993. Publié aussi dans Cahiers pour l’Analyse, n°7, mars-avril 1967. [12] Lacan J., « Télévision », Autres écrits, Paris, Seuil, 2001, p. 532. [13] Lacan J., « Note italienne », op. cit., p. 309. Fonte Hebdo-Blog n° 273
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