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Bambini e psicofarmaci: l'intervento di François Ansermet

1/6/2013

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di Manuel Zanarini

Il Prof. Francois Ansermet, psicanalista e psichiatra dell’età evolutiva, nonché Docente presso l’Università di Losanna, ha rilasciato di recente un’intervista a “Il Manifesto”, sul problema del trattamento psicanalitico rivolto ai bambini, con particolare riferimento all’uso sempre più frequente degli psicofarmaci. Ne riporto, in sintesi, alcuni passaggi che mi sembrano molto interessanti. Soprattutto perché lo studioso ci offre un’affascinante interpretazione dei trattamenti psicanalitici attualmente in voga in relazione alla mentalità consumistica della società odierna.
 
L’analisi di Ansermet parte dalla considerazione che la mentalità contemporanea si basa sul bisogno indotto dagli “oggetti”, i quali si suppone possano soddisfare tutti i desideri, in modo utilitario e immediato. Allo stesso modo ci si relaziona con gli psicofarmaci. La tendenza è quella di considerare i sintomi di veri o presunti disturbi del bambino, come elementi che infastidiscono la vita dei genitori, nel dorato mondo del mercato globale, nonché il sistema tutto (dai vicini alla scuola ai terapeuti), quindi la soluzione è quella di isolare il disturbo, accordarsi su come definirlo, e trovare la sostanza che “serve” per neutralizzare il “problema”. Ovviamente, tutto questo accade senza tenere minimamente in considerazione la storia e l’unicità del bambino: chi è, cosa c’è dietro quel sintomo, la sua disperazione e le sue speranze. In fondo, nel mondo della mercificazione dell’individuo, tutto va catalogato ed omologato, così da trovare la soluzione il più velocemente possibile!
 
Questo atteggiamento viene definito come “normalizzazione” dei disturbi. Già Focault aveva evidenziato la finalità “repressivo-disciplinare” di questa tendenza. Ansermet condivide questo giudizio; infatti, a suo modo di vedere, è impossibile “normalizzare” un individuo in generale, e un bambino nello specifico, perché possiede un’individualità irriducibile ad uno schema prefissato. Quindi, se si utilizza una terapia che non tenga conto di questa soggettività è evidente che si vuole ottenere unicamente uno scopo repressivo di atteggiamenti considerati come “devianti” rispetto allo standard considerato valido per tutti. Questo tipo di impostazione deriverebbe da quello che viene definito il “declino della clinica”, cioè quella disposizione terapeutica basata sull’esperienza della singolarità dell’individuo, che si oppone al metodo “cognitivo-comportamentale”, che al contrario si basa su modelli e schemi universali, che finiscono col considerare il singolo come un elemento da far rientrare in parametri predefiniti.
 
Il risultato di questo atteggiamento terapeutico ha portato il consumo degli psicofarmaci a livelli “di guardia”, diventando quasi patologico, quasi una nuova forma di tossicomania. Interessante, a riguardo, è la riflessione di Lacan sul “discorso del capitalista”. Secondo Lacan, si sta affermando un nuovo tipo di legame sociale che “pretenderebbe di escludere la dimensione della mancanza e del desiderio in nome di un consumo compulsivo di oggetti, indotto costantemente dalla produzione di pseudomancanze, che gli oggetti dovrebbero colmare”.  In pratica, l’ideologia dominante fornisce l’idea che sul mercato globale sia sempre possibile trovare oggetti (merci) in grado di soddisfare il desiderio dell’individuo. Il tutto sostenuto da una maniacale e costante offerta di oggetti nuovi che dovrebbero soddisfare, seconda la formula “tutto e subito”,  le esigenze create dal sistema stesso attraverso i media (i problemi inutilmente risolti profetizzati da Caraco). Così facendo, il soggetto si trova a creare un sistema che lo “aliena”, spesso senza nemmeno rendersene conto. Esempio tipico sono gli psicofarmaci, o la droga per i tossicomani; infatti il “drogato” è convinto di controllare la sostanza di cui abusa e con essa di soddisfare il suo bisogno. In realtà, più la consuma più si ingenera insoddisfazione, quindi aumenta il “bisogno” di trovare nuova sostanza, aumentando così la necessità di consumarla e con essa la sua insoddisfazione.
 La psicanalisi dovrebbe proprio fornire la via per uscire da questo circolo vizioso, insegnando che l’oggetto del proprio desiderio, e probabilmente la soddisfazione di tutti i desideri umani, non è raggiungibile, al contrario dell’illusione creata dal mercato e dai suoi padroni.
 
Oggi, le famiglie si trovano spesso traumatizzate di fronte alle esigenze dei bambini, maggiormente nei casi di bambini “difficili” (iperattivi, con deficit dell’attenzione, con disturbi del sonno, ecc.). Molte di queste difficoltà sono proprio dovute al “discorso del capitalista”, che illude i genitori di poter trovare sul mercato qualche sostanza in grado di risolvere questo tipo di problema senza troppi impicci, così si ricorre troppo facilmente allo psicofarmaco. Ma, come dice Ansermet, bisogna che si indaghi sulla radice del disturbo manifestato dal bambino, dalla sua storia e da quella della sua famiglia, per cercare di renderlo protagonista della sua vita, al di fuori di schemi prestabiliti ed omogenei in cui “neutralizzarlo”.
 
In conclusione, a commento di questo interessantissimo intervento, vorrei sottolineare, come la logica della massificazione sta sempre più coinvolgendo noi tutti, colpendo spesso le persone più indifese, malati e bambini in primis.
 Bisogna adoperarsi perché questo non accada. E’ fondamentale difendere l’individualità e l’irripetibilità di ognuno di noi, seppur all’interno della “comunità”. Altrettanto fondamentale è combattere il “discorso del capitalista”, per usare le parole di Lacan, affinché il mercato e le lobbies che lo governano non si impossessino delle nostre vite.

Fonte: Arianna Editrice, 24. 07. 2008
 
 
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